Aquile e pomodori
Storie di piloti del 4°Stormo
di Gorizia
1.Raffaele Chianese
La mia infanzia
Sono nato a Calvizzano, provincia di Napoli,
il 14 marzo 1910 in una modesta casa di campagna ove ho trascorso la mia
giovinezza insieme a genitori e numerosi fratelli. Il piu’ anziano di questi
ritornerà a casa nel 1918 dopo aver combattuto sul San Michele,
a 4 km dall'Aeroporto di Gorizia, intossicato il 29 giugno 1916 dall'attacco
con i gas da Cima 4 che lo lascera' provato per tutta la vita. Della Grande
Guerra ricordo ancora con chiarezza un episodio poco noto: un dirigibile
austriaco che sorvola senza trovare ostacoli la citta' di Napoli lanciando
alcune bombe sulla citta' che fanno lievi danni ma provocano panico ed
hanno effetto demoralizzante sui cittadini.
L'arruolamento
Terminate le scuole medie inizio
ad aiutare mio padre in campagna e all'eta' di 18 anni, contro la volonta'
dei miei genitori e falsificandone la firma, presento domanda per
la selezione al Corso Sottufficiali Piloti. Quando mi presento alla visita
medica presso l'Istituto di Medicina Legale di Napoli ho un forte raffreddore.
L'ufficiale medico otorinolaringoiatra mi chiede di ripetere le parole
che pronuncia alle mie spalle e cosi' faccio, almeno sono convinto di farlo,
poi il medico emette un fischio che non sono in grado di ripetere poiche’non
so fischiare. Forse per il raffreddore che limitava le mie capacita’ uditive
o forse per il "fischio", non sono ritenuto idoneo. Dopo circa sei mesi,
nel novembre 1929, ostinato nella mia determinazione, ripresento
la domanda senza menzionare il precedente esito negativo, altrimenti non
mi avrebbero riammesso alla selezione. Incontro lo stesso medico che mi
riconosce e che mi chiede: "… ma tu non eri sordo?" e questa volta supero
la selezione.
Da Capua a Ciampino, Ghedi, Campoformido
Ai primi del gennaio 1930 inizio
l’addestramento militare alla Scuola di Capua insieme ad altri 330 ragazzi.
Ci insegnano la disciplina militare, a marciare e si studiano le materie
correlate al volo: aerodinamica, motori, impianti, ecc. Veniamo alloggiati
tutti insieme in un grande hangar. Divisi in plotoni di una cinquantina
di allievi, marciamo e ci addestriamo all'uso delle armi. Alla fine del
corso mi classifico al 130° posto. Poco dopo veniamo avviati ciascuno
a diverse Scuole di Volo: Roma (Littorio), Ponte San Pietro e Portorose
, dove inizia l’addestramento per conseguire i brevetti di volo civile
di I° grado. Sono destinato all'aeroporto del Littorio (ora aeroporto
dell’Urbe) ed il 20
marzo 1930 effettuo il primo volo
su AS1 mentre il 28 maggio 1930 decollo da solista dopo poco più
di 7 ore di doppio comando.
Il 12 ottobre 1930 inizia il corso per
il conseguimento del brevetto di Pilota Militare e veniamo trasferiti alla
2^ Squadriglia Allenamento Caccia di Ghedi, dove voliamo sull’aereo da
addestramento militare, il CR1 e poi transitiamo sul CR20 che e’ già’
un velivolo operativo, utilizzato nei Reparti.
Il 23 ottobre 1930, mi viene comunicata
la nuova destinazione, la 96^ Squadriglia del IX Gruppo Aeroplani da Caccia
del 1° Stormo di Campoformido, Udine.
A Campoformido inizio l'addestramento
operativo vero e proprio, acrobazia, pattuglia, finta caccia ed addestramento
bellico. Su questo aeroporto, utilizzato intensamente già’ durante
la Prima Guerra Mondiale, sono passati i piu’ famosi piloti. Uno di loro
e’ Rino Corso Fougier, convinto sostenitore dell'Acrobazia Collettiva che
comanda il 1° Stormo Caccia dal 1928.
Fra i primi che conosco c'e’ il serg.
Silvio De Giorgi, uno dei piloti della famosa "Squadriglia Acrobatica
di impiego nazionale" comandata da Ariosto Neri. De Giorgi, classe 1906,
e' scomparso nel 2004 a 96 anni e fino all'ultimo era solito ad intervenire
a tutte le ricorrenze. Fece parte anche del Reparto Alta Velocita' di Desenzano.
L'acrobazia e' di casa a Campoformido ma non esiste un addestramento vero
e proprio, molte manovre si imparano guardando gli altri o provando e riprovando.
Un giorno chiedo ad un collega piu' anziano come si esegue un tonneau e
questi mi risponde: "Semplice, prendi velocita’ poi cabri di circa 30 gradi,
dai piede ed alettone e quando sei rovescio centra i comandi". Convinto
di non avere più problemi decollo, mi porto sulla verticale dell'aeroporto
a circa 700 metri e provo la manovra ma centrando i comandi l'aereo continua
a ruotare, abbassa il muso e scende in verticale, fermo la rotazione a
circa 200 - 300 mt da terra, poi
cabro per ritornare in quota e ripeto
il tutto, ed ogni volta succede lo stesso. Il collega o non sapeva spiegarsi
od il tonneau non l'aveva mai fatto! Quando atterro noto che il personale
dell'aeroporto è fuori dagli hangar e guarda nella mia direzione:
appena spento il motore si avvicina il Comandante di Squadriglia. Penso
che voglia sapere cosa e' successo ed invece mi da' una bella strigliata
e mi affibia una punizione di rigore di 15 giorni. Dopo tre giorni mi chiama
l'Aiutante di Campo di Fougier, il magg. Raul Moore, latore di un messaggio
del Comandante: " ... Non provare piu' a bassa quota queste manovre. Hai
della stoffa e farai strada. Per questa volta te la cavi con tre giorni
di arresti!".
Il 23 agosto 1931 giunge all'aeroporto
di Campoformido il comandante della II Brigata da Caccia, col. Mazzucco,
che passa in rassegna il 1° Stormo ed il 4° Stormo, quest'ultimo
costituito nel mese di giugno per far fronte alle Grandi Manovre del prossimo
agosto. Dalla fine di luglio il IX ed il X Gruppo si allenano per le Grandi
Manovre dell'Armata Aerea che prevede la partecipazione di 900 velivoli
ed il 24 agosto i CR20 dei due Gruppi si schierano, il IX Gruppo su Modena
ed il X Gruppo su Rimini, per poi spostarsi su La Spezia, Milano, Mantova,
Ancona, Pisa, Firenze, Terni e Bologna.
La collisione a terra
Nel corso degli allenamenti, il
18 agosto 1931 sono appena atterrato mentre nel frattempo un Ca100 pilotato
da un maggiore si appresta a decollare. Mentre sto smaltendo velocita'
mi accorgo che l'altro velivolo "scarroccia", interessando la mia zona.
Tento allora un'azione evasiva ma la mia velocita' e' troppo bassa ed oramai
l'altro velivolo mi si avvicina velocemente da sinistra con l'elica minacciosa
che rischia di maciullarmi. Qualche secondo prima dell'impatto, con una
"spedalata", imbardo cercando di proteggermi presentandogli la coda ma
l'elica mi "trita" letteralmente l'aereo fino a pochi centimetri dall'abitacolo:
Fortunatamente non c'e' alcun inizio d'incendio e nessuno rimane ferito.
Il maggiore, facendosi forte del suo grado cerca di giustificarsi e vuole
incolparmi ma l'inchiesta gli dara' torto.
Le grandi manovre
Il 31 agosto 1931 ha luogo a Ferrara l'imponente
Manifestazione Aerea e l'ingente numero di velivoli partecipanti comporta
non pochi problemi ma un solo un incidente. Il 9 settembre il X Gruppo
si trasferisce da Aviano all'aeroporto di Merna - Gorizia e subito dopo,
il 28 settembre, anche il IX Gruppo, di cui faccio parte, lo segue da Campoformido.
A Gorizia
L'11 giugno 1932, il col. Amedeo di Savoia
duca d'Aosta, figlio del generale Comandante della Terza Armata Emanuele
Filiberto che nella zona tra Gorizia e Monfalcone aveva guidato le sue
truppe nel conflitto del 1915-1918, assume il comando del 21° Stormo
Osservazione Aerea dislocato sull'aeroporto di Gorizia. L'anno successivo,
il 1° maggio 1933, il Duca assume il comando del 4° Stormo.
A Gorizia, con l'arrivo del 4° Stormo,
continua e cresce lo spirito dell'acrobazia in formazione appreso a Campoformido.
Le difficolta' non sono poche, soprattutto con macchine dai motori poco
brillanti. L'effetto della "coppia dell'elica" costringe inoltre ad un
continuo uso del timone di direzione. A questo vanno sommate le difficolta'
che incontrano i "gregari" piu' esterni della formazione che tendono a
"sfilarsi" durante le virate poiche' debbono percorrere una traiettoria
piu' lunga. Una particolarita' dell'aeroporto di Gorizia e' che il traffico
in decollo ed atterraggio viene separato dividendo l'aeroporto in due zone,
una a Nord, riservata alla Ricognizione ed una a Sud, riservata alla Caccia.
Queste due zone sono a loro volta
divise in altre due, una per gli atterraggi (al centro aeroporto) ed una
per i decolli (all'esterno) e possono essere utilizzate per atterraggi
e decolli in entrambi i sensi. Considerando la mole non indifferente di
velivoli che si possono trovare contemporaneamente a circuitare sull'aeroporto
(non c'era la radio), si comprende l'attenzione richiesta. Fortunatamente
a Gorizia il comandante dello Stormo col. Felice Porro e' favorevole alle
iniziative dei piloti che "provano" nuove figure acrobatiche. Insieme al
serg. Enzo Callegari proviamo il looping in coppia. Gli altri colleghi
da terra ci osservavano per poi a loro volta imitarci. Callegari perira’
il 28 gennaio 1933 in un incidente durante le esercitazioni a fuoco
al poligono di Aviano, impattando il terreno poco prima del bersaglio,
a causa del complicato collimatore del CR20, un tubo con un oculare sistemato
davanti al viso del pilota che riduceva la visuale.
Nel febbraio del 1932 vengono consegnati
i nuovi CR Asso. "Asso" era il nome del nuovo motore della Isotta Fraschini,
installato sul CR 20.
Volerò quasi esclusivamente
su questa macchina dalle prestazioni superiori fino al maggio del 1935.
Transito per un breve periodo alla 90^ Squadriglia, poi alla 84^ e dal
3 giugno 1932 sono assegnato definitivamente alla 91^, la Squadriglia di
Francesco Baracca che da lui ha ereditato il nome. Il 28 marzo 1934 il
Duca d'Aosta e' nominato generale di Brigata ed assume il comando del 1°
Stormo di Campoformido e del 4° Stormo di Gorizia.
Il 3 maggio 1935 effettuo il primo volo,
da Torino a Gorizia, su un CR32 nuovo di fabbrica consegnatomi dalla Fiat.
Col passare del tempo miglioro le mie doti di pilotaggio il che, unito
ad equilibrio e senso della disciplina, mi evitano probabilmente di seguire
le sorti di quell'innumerevole numero di piloti che proprio a Gorizia persero
la vita per incidenti di volo. Quando giunge a Gorizia il s.ten. Giuseppe
D'Agostinis, di Cervignano, fresco d'Accademia, mi chiede consigli su come
si eseguono certe manovre, consigli che gli sono utili nel migliorare le
prestazioni della pattuglia acrobatica. Molti anni dopo, il 17 maggio 1975,
ad un raduno al Castello di Gorizia nel ristorante "La Lanterna d'Oro",
abitualmente frequentato dai piloti del 4°, l'allora generale mi confida:
"... Chianese, da te ho imparato tanto ...". Considerata la grande stima
che ho sempre avuto per D’Agostinis, e' stato uno dei piu’ graditi complimenti
ricevuti durante la mia carriera.
Gli incidenti di volo e la "ribellione"
dei piloti
Uno dei pochi testimoni sopravvissuti
di quei tempi, il sottufficiale specialista Enzo Vosca, ricorda che la
media dei funerali a Gorizia nei periodi di massima attivita', era di uno
alla settimana. Le salme dei piloti venivano trasportate all'Ospedale Militare
di via Ristori, oggi adibito ad alloggi per le famiglie, si officiava la
cerimonia funebre ed infine le bare prendevano la via del paese di provenienza
della vittima. Gli incidenti a Gorizia raggiungono una frequenza
tale che dell'aeroporto e nelle localita' limitrofe non e' raro incontrare
cippi e lapidi che ricordano eventi nefasti.
Gli incidenti poi hanno un picco in primavera
quando, dopo un periodo di ridotta attivita' dovuto alle condizioni atmosferiche
avverse, si riprende il normale ritmo di volo e la triste media di un funerale
alla settimana a volte viene superata. Ma anche al lunedi', quando ancora
non si sono completamente smaltiti i postumi dei bagordi domenicali, gli
incidenti aumentano ed un certo giorno il Comandante di Stormo sospende
tutti i voli in quella giornata, ma dobbiamo comunque restare in serivzio.
Questo provoca una sommossa. Non dovendo piu' volare accogliamo malvolentieri
la disposizione di essere costretti a rimanere in aeroporto al lunedi e
chiediamo ai superiori di estendere il permesso almeno fino a mezzogiorno.
Non veniamo accontentati ed il malcontento dilaga al punto che viene escogitata
una protesta insolita, organizzata dal serg. Renzo Castelletti. Alla esibizione
del 10 luglio 1935, alla presenza del gen. Francesco Pricolo, comandante
della II Z.A.T. ed altre autorita', ci accordiamo per volare in formazione
"larga". Non il solito metro o metro e mezzo tra velivolo e velivolo bensi'
5-6 metri. Il X Gruppo aderisce alla protesta mentre il IX Gruppo sfila
in formazione compatta. Le autorita' ed il pubblico, nemmeno lo notano
ma il Comandante di Gruppo ed i Comandanti di Squadriglia vanno su tutte
le furie. Castelletti inoltre, dopo il decollo, raggiunta la formazione,
si stacca e rientra in aeroporto simulando un malfunzionamento del motore.
Castelletti paghera' cara la sua iniziativa! Viene punito e alla prima
occasione verrà trasferito al 6° Stormo. Una trentina di piloti
sono consegnati ma un effetto comunque viene conseguito e dopo alcuni giorni
le punizioni sono sospese e le richieste dei piloti accolte.
L'incidente di Cicillo
In quegli anni ci si poteva prendere
qualche liberta' che oggi sarebbe impensabile: il territorio non era densamente
abitato, la popolazione della zona si era abituata a vedere tutti giorni
aerei in volo ed a volte assisteva con compiacimento ai voli a bassa quota
od alle esibizioni. Per i piloti invece il rischio maggiore era essere
individuati dai carabinieri che prontamente passavano il nominativo del
velivolo al Comando d'aeroporto. Capitava cosi' di assistere a Gorizia,
sulla verticale di Piazza della Vittoria, alle acrobazie di un CR Asso
od un CR32 e qualche volta perfino di una pattuglia che assordavano la
tranquilla cittadina quando il regime dei motori era al massimo. Un incidente
conclusosi felicemente accade nell'aprile 1936 ad un giovane ed inesperto
sottufficiale pilota di origini napoletane, il serg. Luigi Iaccarino, soprannominato
Cicillo, da poco allo Stormo. In un volo da "solista" su CR Asso, nell'effettuare
un tonneau iniziato probabilmente con il muso troppo basso sull'orizzonte,
mette
l'aereo in posizione inusuale e non sapendone uscire sceglie di lanciarsi
con il paracadute, atterra nei pressi dell’Isonzo mentre l'aereo va a schiantarsi
sopra un casolare della periferia. Il Duca Amedeo d'Aosta, venuto a conoscenza
dell'insolito incidente, un aereo perfettamente funzionante andato distrutto,
convoca Cicillo e gli chiede spiegazioni. Quest'ultimo che ancora non si
rende conto della gravita' dell'accaduto risponde con la tipica cadenza
partenopea: "Altezza, ho preso paura e mi sono lanciato. La Fiat fa' un
aereo al giorno, la mia mamma di Cicillo ne ha fatto uno solo!". Il 18
febbraio un altro incidente insolito interessa un CR20 Asso che finisce
sul tetto della casa di Tommasi e Cernigoj in via Duca d'Aosta n.28. Il
pilota atterra con il paracadute, presso l'incrocio tra via Duca
d'Aosta e via Trieste, sul tetto della panetteria Viatori.
Il Duca d'Aosta
A proposito del Duca, ricordo che
aveva un CR 32 a sua disposizione custodito dalla 73^ o dalla 91^ Squadriglia.
Quando decideva di andare in volo, l'Aiutante di Volo, ten. Aldo Tait,
telefonava alla Squadriglia per preparare il velivolo. Il Duca arrivava
fino sotto l'aereo con la macchina, non voleva "gente" intorno ma solamente
il motorista. I comandanti di Squadriglia, cap. Giuseppe D'Agostinis e
cap. Vincenzo Dequal, lo osservavano da lontano. Il serg. Enzo Vosca che
era addetto al suo velivolo nel 1937, mi raccontava che, mentre lo aiutava
ad imbragarsi e sistemarsi nell'obitacolo, il Duca era solito dirgli: "Vosca
guarda, guarda come mi controllano. Non si fidano!". Era un buon pilota,
compatibilmente con le poche ore che poteva fare a causa degli innumerevoli
impegni burocratici che lo assillavano. Appena arrivato allo Stormo, il
Duca aveva chiesto al comandante di Stormo, t.col. Augusto Bonola, un pilota
"esperto" per effettuare un paio di voli in coppia e fui incaricato
io. Dopo un briefing nel quale avevamo discusso le manovre da eseguire,
siamo andati in volo ed abbiamo fatto un po' di acrobazia, lui da leader
ed io da gregario. Quando siamo atterrati mi domandò: "Chianese,
come sono andato?". Era una persona umile e carismatica. Quando qualcuno
lo chiamava cerimoniosamente "Altezza", lui rispondeva "Un metro e novantaotto!".
Sotto i ponti
In questo clima quasi goliardico ad alcuni
piloti piu "audaci" viene in mente di passare sotto i ponti. I ponti sull'isonzo
non si prestano molto a questo rischioso esercizio. Qualcuno infatti tenta
di passare sotto il ponte in pietra ad arcata unica di Salcano, ora in
Slovenia, tra il Monte Sabotino ed il San Gabriele, ma il fatto di essere
disposto obliquamente all'Isonzo ed in una gola chiusa, rende alquanto
rischiosa la manovra e, per quello che so io, desistono. Qualcun altro
"ci prova" sul Tagliamento ma non sempre i tentativi hanno successo. Un
giorno volo in coppia con un collega, di cui non ricordo piu' il nome,
quando con un cenno della mano, non esisteva la radio, mi indica un ponte.
Si allontana, si abbassa a pelo del fiume e passa sotto l'arcata
ma, non soddisfatto, cabra quasi in verticale, vira di 180° per ripetere
il passaggio. Quando e' con un assetto di 45° a picchiare si accorge
che la manovra e' impostata male. Tenta a questo punto di passare "sopra"
il ponte ma l'aereo non ha abbastanza velocita', comincia a "spanciare"
e sfiora il ponte passando con la coda a circa un metro il parapetto del
ponte e per un soffio non si schianta. Purtroppo non sarà così
per il serg. Tommaso Diamare. Il 18 gennaio 1932, una pattuglia condotta
dal ten. Ernesto Sanzin rientra a Campoformido dopo avere effettuato esercitazioni
di tiro al poligono di Vivaro. Giunti all’altezza di Sequals, Diamare si
stacca dalla formazione, passa sotto l’arcata centrale del ponte di Sequals,
un ponte a tre arcate, effettua un looping, torna indietro lungo il letto
del torrente Meduna e ripassa sotto l’arcata centrale, la più larga
delle tre. Effettua un altro looping e si appresta a passare sotto l’arcata
di destra, di luce alquanto ridotta rispetto a quella centrale. Fatalita'
vuole che un cavo di una linea telefonica, pendente dal’arcata, agganci
il delicato compensatore fisso che sporge di una quindicina di centimetri
sopra l’alettone destro e, spostandolo, comanda una violenta ed incontrollabile
rotazione del velivolo che si schianta sulla sponda sopraelevata di destra.
Diamare, dotato di innegabili doti professionali, aveva rappresentato lo
Stormo in numerosi meeting all’estero, con la Pattuglia Acrobatica del
ten. Ariosto Neri. Le ripercussioni dell’incidente pesarono significativamente
sul 1° Stormo. A Roma lo Stato Maggiore, che non apprezzava l'operato
Fougier, punisce gli "acrobati" dello Stormo, costituendo a Bresso il Nucleo
Alta Acrobazia e negando a Campoformido il titolo di rappresentanza fino
ad allora detenuto. Ho conosciuto Diamare a Campoformido, aveva un'eccezionale
padronanza del velivolo. Con il CR20, puntava gli hangar scendendo a poco
piu' di un metro da terra per poi cabrare e sfiorare la sommita' della
costruzione. Con l'aereo in salita effettuava tre quarti di tonneau che
terminava alla velocita' minima e poi, abbassando il muso, in scivolata,
virava di 180° sorvolando nuovamente l'hangar.
L'acrobazia a Gorizia
Un giorno il serg. Vittorio Romandini
effettua un volo in coppia e sull'altro velivolo c'e' un allievo ai primi
voli da "solista". Terminata la missione in quota l'accompagna all'atterraggio
provenendo da Ovest, dal lato della ferrovia. L'allievo e' un po' alto
ed inoltre dopo la toccata si sposta verso Romandini, quest'ultimo
dà motore per portarsi avanti e non farsi investire dall'allievo
ma cosi' facendo allunga la corsa di atterraggio.
Sarebbe ancora in tempo per dare
tutto motore e riattaccare ma pensa: "Ce la faccio!". Invece "non ce la
fa", il velivolo supera la fine del campo, travolge la siepe, attraversa
il vialetto sussultando paurosamente e si ferma con il muso appoggiato
alla parete della palazzina degli Uffici Amministrativi, situata
150 mt. a Sud dell'attuale ingresso, in mezzo ad una nube di polvere. Romandini
si slaccia le bretelle, scende, sposta i rami della siepe che il
velivolo ha trascinato nella sua corsa e che gli impediscono il passaggio,
si toglie la polvere di dosso e avanza verso l'ingresso della palazzina
e, rivolto al personale accorso nel frattempo dal gran fragore, ad alta
voce esclama: "Sono venuto a ritirare lo stipendio. E’ pronto?".
La coppia inseparabile Romandini-Renzi e’ un mito del 4° Stormo. I
due sono scatenati, se ne inventano di tutti i colori e la loro fantasia
nel fare scherzi o organizzare baldorie non ha limiti. Sono inseparabili,
al punto che si fidanzano e sposano con due ragazze dello stesso paese:
San Lorenzo. Anche la morte li cogliera’ a breve distanza l’uno dall’altro.
Renzi in Africa e Romandini poco dopo nei pressi di Chioggia. Con
il passare del tempo anch’io comincio a destreggiarmi bene con l’acrobazia
ed una manovra e’ il mio forte. Solo io riesco ad eseguirla con destrezza:
il volo "a coltello". Questa manovra consiste nel volare, a pochi metri
da terra, con un’inclinazione di 90°, su una traiettoria rettilinea.
Non essendo l'ala in questa fase portante, il volo puo' essere protratto
solo per pochi secondi e con la pedaliera a fondo corsa per sostenere
il muso. La manovra riesce se e’ iniziata con la velocita' piu' alta possibile
in modo da sfruttare quel poco di portanza generata dalla fusoliera
ed appena la velocita' comincia a diminuire bisogna subito ruotare e livellare
le ali. Se viene commesso anche un piccolo errore c'e' il rischio
di "scivolare" e toccare il suolo con le immaginabili conseguenze. Sebbene
altri abbiano piu’ volte
tentato di imitarmi, solamente il
collaudatore della FIAT e pilota del 1° Stormo, Guido Carestiato, vi
riuscira' qualche anno piu' tardi ma con macchine dalle prestazioni
piu' brillanti. Il primo pilota del 4° Stormo ad effettuare invece
il tonneau lento il linea di volo e' il ferrarese serg. Romolo Cantelli
che dopo la guerra si trasferirà in Venezuela e perdera' la vita
in un incidente automobilistico. Tra me e lui nasce uno spirito di
emulazione. Anch'io provo e riprovo i tonneau orizzontali, migliorandone
l'esecuzione e poi provo farli in salita ed infine in "candela" (verticali).
Prendendo molta velocita' e mettendo l'aereo perfettamente verticale ne
riesco a fare un paio, prima di "sfogare" in una virata. Un giorno,
mentre da terra il ten. Mario Salvadori mi osserva, invece di uscire con
una virata sfogata, mi capita che il velivolo sprofonda di coda su se stesso,
sempre verticale, per poi effettuare una "scampanata". Salvadori dopo l'atterraggio
mi chiama, entusiasta della manovra che
avevo eseguito e mi chiede di ripeterla,
cosa che non mi riusci' piu'. Oggi questa e' una manovra caratteristica
della PAN. La preparazione teorica e' molto superficiale e l'addestramento
e' basato principalmente sulle capacita' dell'istruttore nel trasmettere
la propria esperienza all'allievo, cosa poco frequente. Non esiste un addestramento
standard e tutto si impara sulla propria "pelle" ed i migliori sono quelli
che sopravvivono. Assisto un giorno ad un incidente rimastomi impresso
per la sua drammaticita'. All'estremita' Sud Ovest dell'aeroporto, in direzione
dell'Isonzo, cinque CR20 stanno effettuando acrobazie ed improvvisamente,
mentre sono alla sommita' di un looping, il gregario esterno di destra
entra in collisione con quello interno. Si vedono subito i due velivoli
precipitare in fiamme. Uno dei due si schianta al suolo con il pilota probabilmente
impossibilitato ad uscire perche' ferito o bloccato nell'abitacolo. Dall'altro
si vede il pilota che si lancia ed il paracadute si apre a circa 500 metri.
Per fortuna sembra che almeno lui si salvi. Alcuni piloti e specialisti
stanno osservando le acrobazie della formazione ed assistono all'incidente
dal piazzale antistante gli hangar. Nonostante la perdita di uno dei due
piloti, osservano con sollievo che almeno l’altro e' riuscito a lanciarsi
ma improvvisamente trasaliscono. Il paracadute del superstite e' a circa
300 metri da terra quando si notano le funicelle che bruciano. E' questione
di pochi secondi e tutti sperano che il paracadute tenga ed invece a meno
di 100 metri lo sfortunato pilota si sfila dal paracadute e si schianta
a terra proprio quando oramai era ad un palmo dalla salvezza.
Il Serg. Ugo Corsi
Molti incidenti avvengono per spirito
di emulazione di chi sottovaluta le proprie doti e tenta di imitare i piloti
piu' esperti che dimostrano un particolare istinto per il volo e che eseguono
con naturalezza anche le manovre piu' difficili. Fra questi ultimi c'e'
il serg. Ugo Corsi, soprannominato "Fufo" per il suo volto da ragazzino.
Ha un istinto innato per il volo. Di lui si dice che sia stato il miglior
pilota acrobatico del 4° Stormo e forse il migliore di tutta l'Aeronautica.
Ha fatto parte, nel '33 e '34, della squadriglia di "Alta Acrobazia" del
ten. Tessore che utilizzava i Breda 19, velivolo dotato di "doppio" carburatore
ed idoneo al volo rovescio. Era abilissimo nel controllare il velivolo
alle basse velocita'. Con il Br 19, appena staccato da terra riduceva il
motore e con il muso alto "razzolava" per il campo ad un metro dal suolo.
Poi si allontanava, faceva quota e, picchiando in volo rovescio fino a
pochi metri da terra, cabrava, effettuava un mezzo looping ed al culmine
completava la manovra con un tonneau. Infine planava e si portava all'atterraggio
con una serie di scivolate d'ala che gli facevano perdere quota rapidamente.
Fu' il pilota piu' abile ma anche il piu' sfortunato del 4° Stormo.
Poco dopo essere giunto in Spagna cade prigioniero e trascorre un durissimo
periodo in prigionia. Al "primo" combattimento in Africa, da solo contro
5 Hurricane ne abbatte 3 e poi a sua volta viene abbattuto precipitando
in mare. Il suo aereo ed il suo corpo, nonostante le ricerche, non verra'
mai ritrovato. Cosi' lo descrive ... Luigi Monti: ... sembrava nato con
l'aeroplano, solista acrobatico da lasciare col fiato sospeso, ... In pattuglia
mi stava così vicino da sporcare l'ogiva della sua elica con la
vernice rossa del tricolore della mia coda!
Il capitano Mario Rossi
Chi comandava la Squadriglia doveva essere
un ufficiale, un capitano e spesso veniva scelto non a Gorizia ma al Ministero
a Roma, dove di acrobazia aerea non erano certamente esperti come a Gorizia.
Poteva capitare pertanto che la scelta cadesse su un pilota che proveniva
dai bombardieri. Ricordo alcuni episodi divertenti vissuti con il cap.
Mario Rossi, leader della mia Squadriglia, che per la sua provenienza dai
bombardieri non eccelleva nell'acrobazia: durante il volo in formazione,
quando "tiravamo" un looping, nel momento in cui l'aereo era con il muso
in verticale, si trovava spesso in difficolta', rimaneva "appeso", ed allora
ero io o Castelletti che con una leggera oscillazione di alettoni o d'equilibratore
gli indicavamo come manovrare. Il cap. Rossi con la coda dell'occhio notava
i nostri "segnali in codice" ed obbediva ma non menziono' mai con nessuno
di questo tacito e ben gradito aiuto. Con questa "scambio" di ruoli la
Squadriglia comunque faceva la sua bella figura senza che alcuno da terra
se ne accorgesse. A volte, insieme a Castelletti ci divertivamo a "stringerlo"
nella formazione e Castelletti con la punta dell'ala gli "toccava" volutamente
gli alettoni. Il cap. Rossi, irrigidito sui comandi, imprecava e giunti
a terra si infuriava e ci inquadrava ma alla fine conveniva anche a lui
far passare il tutto in silenzio.
La 4^ Giornata dell'Ala, Roma
Il 28 marzo 1936 e' prevista la
nostra partecipazione alla "4^ Giornata dell'Ala" sull’aeroporto del Littorio.
Decolliamo il 25 marzo da Merna per Roma con scalo a Rimini. Siamo due
squadriglie di CR 32, la 73^ comandata dal cap. Antonio Moscatelli e la
91^ dal cap. Mario Rossi. Nei pressi di Fabriano incontriamo condizioni
meteorologiche sfavorevoli e la formazione si viene a trovare davanti a
due strati di nuvole, uno basso ed uno piu' alto. I velivoli non sono dotati
di strumenti idonei alla navigazione strumentale ne tanto meno di impianti
antighiaccio. Il cap. Moscatelli scende di quota, riesce a passare sotto
le nubi e continua il volo per Roma. Il cap. Rossi che guida la mia Squadriglia,
comincia invece a salire ed entra nello strato di nubi superiori. Improvvisamente
non vediamo piu' nulla, sembra di volare dentro una nebbia fittissima.
Ci stringiamo ancora di piu' al capo formazione. Dopo alcune decine di
secondi tutti i velivoli finiscono in perdita di velocita' e cominciano
a perdere quota. Mi rendo conto che sto scendendo velocemente dall'altimetro
che gira vorticosamente e dal variometro a fondo scala a scendere. Mentre
continuo a perdere quota il pensiero va al rischio di una collisione con
gli altri velivoli che devono essere intorno a me ma che non vedo. C'e'
inoltre il rischio di "spiaccicarmi" da un momento all'altro sulla cima
di una montagna. Sempre dentro le nubi, intravedo per un attimo un altro
velivolo a circa una quindicina di metri che pure lui gira su se stesso
(poi verro' a sapere che era Romandini) ed istintivamente "tiro" violentemente
per non investirlo con il risultato di entrare in vite. Rimettersi da una
vite in nube e con l'ausilio della sola "pallina e paletta" non e' una
cosa facile ed infatti riesco a rimettermi un paio di volte per entrarvi
subito dopo dalla parte opposta. Nel frattempo ho perso piu' di 2000 metri
ed e' solo una questione di secondi, il terreno e' vicino. Abbandono i
comandi e comincio a slacciarmi le bretelle per lanciarmi. Quasi contemporaneamente
l'aereo esce dalla vite, la nuvolaglia si rarefà e sotto di me appare
una vallata. Un brivido mi corre lungo la schiena nel vedere che sono uscito
vicino ad una montagna la cui cima, piu' alta di me, scompare minacciosa
fra le nubi.
Pure Romandini finisce in una vallata
ma vi si trova intrappolato perche' le nubi non gli permettono alcuna via
di uscita ed alla fine e' costretto ad un atterraggio di fortuna. Il velivolo
si distrugge completamente nell'impatto ma lui ne esce incolume. Quello
che ci fa comprendere il rischio corso e' che, dopo la nostra mancata collisione,
con i velivoli fuori controllo ed in caduta verticale, io sono uscito in
una vallata e Romandini in un'altra. Potevamo finire entrambi sulla cima
della montagna! Alla fine dopo una bella dose di "strizza", usciti dalla
maledetta nube, tutti i velivoli della mia squadriglia riescono, uno alla
volta, a ricongiungersi e dirigere su Roma, salvo Romandini che tornera’
in treno a Gorizia. Il 28 marzo, la nostra esibizione a Roma, con i CR
32 nuovi fiammanti consegnatici da pochi mesi, ottiene un grande successo.
Oltre a Mussolini sono presenti il Duca d'Aosta , il Primo Ministro ungherese,
il corpo diplomatico accreditato, autorita' civili e militari ed un folto
pubblico.
La manifestazione a Budapest
Dal 25 maggio cominciamo ad allenarci
quasi tutti i giorni in previsione della manifestazione aerea che si svolgera'
a Budapest il 14 giugno 1936. La pattuglia acrobatica e' composta da due
squadriglie di CR 32. La prima con il cap. Mario Viola (73^Sq), s.ten.
Vittorio Pezze' (73^Sq), serg.m. Alberto Montanari (73^Sq), serg.m. Norino
Renzi (73^Sq), serg.m. Ugo Corsi (90^Sq) e la seconda con il cap. Mario
Rossi (91^Sq), ten. Ernesto Monico (84^Sq), serg.m. Raffaele Chianese (91^Sq),
serg.m. Vittorio Romandini (91^Sq), serg.m. Alberto Carini (91^Sq). Sono
tutti voli abbastanza impegnativi di circa 40 minuti che si svolgono in
genere sull'aeroporto di Ronchi. L'11 giugno partiamo da Gorizia e dopo
1 ora e 10 minuti siamo a Szombathely. Il giorno dopo proseguiamo per Budapest
dove arriviamo in 40 minuti di volo. Il 13 giugno effettuiamo le prove
sul campo di Matyasfold ed il giorno successivo, ha luogo la manifestazione.
Il successo e' enorme e l'accoglienza riservataci e' splendida. Conservo
ancora il portasigarette d'argento che in tale occasione ci fu donato.
Il 18 giugno rientriamo a Gorizia
facendo nuovamente scalo a Szombathely.
La consegna dei CR 32 all'Ungheria
Il Governo ungherese, convinto della
validita’ del CR32, ordina un certo numero di esemplari ed effettuo cosi'
alcuni voli di consegna con la pattuglia incaricata del trasferimento.
Decollati da Gorizia, sorvoliamo la catena alpina, imbocchiamo la vallata
austriaca ed improvvisamente la visibilita' inizia a ridursi. Il cap. Rossi,
che guida la formazione, invece di invertire la rotta, scende. La visibilita'
continua ad abbassarsi e cosi' pure il tetto delle nubi che ci costringono
a volare raso terra. Improvvisamente sfioro una casa a circa sette metri
alla mia sinistra ed alla stessa altezza. A questo punto decido di mollare
gli altri, do' tutta manetta ed inizio una rapida salita dentro le nubi
con il terrore di andare a sbattere da un momento all'altro contro le pareti
di una montagna. Dopo un terrificante minuto durante il quale credo di
non aver respirato, foro le nubi e sono finalmente "fuori". Passano non
piu' di trenta secondi ed ecco, uno alla volta, schizzare dalla sommita'
delle nubi tutti gli altri velivoli. Anche per questa volta e' andata bene!.
Ci riportiamo in formazione e proseguiamo per la nostra destinazione. "Sto
capitano Rossi ce ne combina sempre una nuova!". Un giorno il cap. Rossi
viene richiamato a Campoformido e ci abbandona. A Campoformido ai primi
voli in formazione, senza l'assistenza dei due fidi gregari di Gorizia,
viene "a galla" tutta la verita'. E' una sorpresa per tutti, tanto piu'
sapendo che e' un pilota proveniente dalla Scuola d'Acrobazia di Gorizia
e che e' stato leader di una Squadriglia Acrobatica. In seguito mi riferiranno
che alla domanda: "Chi ti ha insegnato a fare l’acrobazia?" ha risposto
candidamente: "Chianese e Castelletti". Il cap. Rossi perira' durante il
Secondo Conflitto Mondiale in un incidente aereo occorso sullo Stromboli
mentre rientrava in licenza dall'Africa con un volo di linea.
Una missione speciale
Ai primi di agosto del 1936, il
Generale di Divisione Aerea, Amedeo di Savoia Duca d'Aosta, comandante
della Divisione Aerea "Aquila" con sede a Gorizia e che comprende la I
Brigata Aerea con l’8° e 14° Stormo e la III Brigata Aerea con
1° e 4° Stormo, raduna tutti i piloti e dopo un breve discorso
chiede dei volontari per una "missione speciale" in un paese straniero
non specificato, della durata di "un mese" o poco piu'. Conclude con: "...
chi si offre volontario per questa missione faccia un passo avanti". Tutti
noi facciamo un passo in avanti e ci offriamo volontari ma solo alcuni
vengono scelti per formare la prima "spedizione". Tra questi, oltre al
sottoscritto, c’e’ il s.ten. Giorgio Franceschi ed il serg. Manlio Vivarelli.
Pochi giorni dopo, il 7 di agosto, insieme ad altri piloti del 1° Stormo
di Campoformido e del 6° Stormo di Bresso ed alcuni specialisti, partiamo
in treno e giungiamo a La Spezia dove siamo imbarcati, senza dare troppo
nell'occhio, su una nave che ci sta
attendendo. La missione deve rimanere
segreta ed e' composta dai piloti: s.ten. Dante Olivero (6° Stormo),
s.ten. Adriano Mantelli (1° Stormo), s.ten. Giorgio Franceschi (4°
Stormo), serg. Raffaele Chianese (4° Stormo), m.llo Bruno di Montegnacco
(1° Stormo), serg. Gian Lino Baschirotto (1° Stormo), serg. Achille
Buffali (6° Stormo), serg. Raul Galli (1° Stormo), serg. Manlio
Vivarelli (4° Stormo) e dagli specialisti: Cresti, Brunetto, Gerbino
Grego, Barzacchi. Solo a bordo ci viene comunicata la destinazione e lo
scopo della missione. Il paese e' la Spagna e dovremo sostenere gli spagnoli
insorti contro la Repubblica, guidati dal generale Francisco Franco. La
missione prevede inoltre l'arruolamento nella Legione Straniera spagnola
"El Tercio" in quanto il Governo italiano non vuole ufficialmente schierarsi
dalla parte degli insorti. Le disposizioni sono inoltre che in caso di
cattura da parte del nemico non bisogna rivelare l'appartenenza alla Regia
Aeronautica. La nostra "spedizione", al comando del ten. Dante Olivero
e’ la prima a lasciare il porto di La Spezia. Giunto a bordo, mi viene
consegnato un passaporto con false generalita', il mio nuovo nome e' "Giglio".
La nave sulla quale siamo imbarcati e’ una bananiera spagnola, l'Ebro,
che viene reimmatricolata Aniene e sulla quale vengono imbarcati anche
nove caccia CR32, altrettanti piloti, due motoristi, due montatori, un
armiere, ricambi, armi, munizionamento, 5 carri leggeri Ansaldo CV35 e
relativi equipaggi. Il 10 agosto, poco dopo aver lasciato La Spezia, riceviamo
via radio l'ordine di interrompere il viaggio e dirigere su Cagliari dove
veniamo fatti ancorare in rada, fuori del porto. Ai servizi segreti italiani
erano giunte voci che l'equipaggio, di nazionalita' spagnola, stava complottando
per ammutinarsi con il fine di attraccare in un porto in mano ai Repubblicani
e consegnare la nave con tutto il suo carico. Noi siamo tenuti all'oscuro
di tutto anche se abbiamo il sentore che qualcosa di strano stia accadendo.
L’equipaggio e’ preso in consegna da agenti del SIM (Servizio Informazioni
Militari) e gli interrogatori e le indagini durano circa una settimana
che trascorriamo annoiandoci e facendo qualche tuffo dalla nave. Alla fine,
dopo la sostituzione dell'equipaggio spagnolo, la nave riprende la rotta
verso Gibilterra, costeggia il Portogallo ed approda a Vigo, in Galizia
(Nord Ovest della Spagna), la notte tra il 26 e 27 agosto, dopo 20 interminabili
giorni trascorsi in mare. Il viaggio non e' stato privo rischi e solamente
all’arrivo lo sappiamo. Nei pressi di Gibilterra, nella notte tra il 23
e il 24 agosto, siamo stati intercettati da una nave da guerra Repubblicana
ma fortunatamente la nostra Marina aveva provveduto a farci scortare "discretamente"
da un incrociatore che ha fatto desistere
l'unita' spagnola da eventuali tentativi
di attacco. Poco dopo la nostra partenza, il 10 agosto, sempre da La Spezia,
si appresta a lasciare il molo un'altra nave, l'Alicantino, poi reimmatricolata
Nereide, con un'altra spedizione di dodici piloti ed altrettanti CR32 al
comando del cap. Vincenzo Dequal, del 1° Stormo, con destinazione Melilla,
in Marocco, ove giungera' nella notte tra il 13 e 14 di agosto. In sieme
a Dequal c'e' il s.ten. Ernesto Monico (4° Stormo), s.ten. Victor Hugo
Ceccherelli (1° Stormo), s.ten. Giuseppe Cenni (1° Stormo), serg.
Giovanni B. Magistrini (1° Stormo), serg. Sirio Salvadori (4° Stormo),
serg. Giuseppe Avvico (4° Stormo), serg. Guido Presel (6° Stormo),
serg. Adamo Giuglietti (1° Stormo), serg. Vincenzo Patriarca (4°
Stormo), serg. Bruno Castellani (6° Stormo), serg. Angelo Boetti (1°
Stormo).
Lo sbarco e l'inizio della missione
Nonostante la spedizione di Dequal
parta dopo di noi, raggiunge il Marocco prima del nostro arrivo a Vigo
in quanto non deve risalire tutta la costa del Portogallo e non ha subito
il ritardo dovuto al cambio di equipaggio. La sera stessa del 14 agosto
gli aerei imballati sono già’ all'interno dell'aeroporto di Nador.
Il primo CR32 assemblato vola il 17 agosto con ai comandi il s.ten. Victor
Hugo Ceccherelli. Il 27 agosto, a Vigo, terminate le operazioni di sbarco
dell'Aniene, veniamo caricati insieme ai velivoli e tutto l’altro materiale
su un treno antidiluviano che, viaggiando a poco piu' di dieci chilometri
orari, ridiscende a Sud, lungo il confine con il Portogallo, con destinazione
Caceres. Si poteva tranquillamente scendere dal treno, soddisfare le nostre
necessita' fisiologiche e risalire sull'ultimo vagone. Dalla base di Caceres,
in Extremadura, la sera del 28 agosto veniamo trasferiti, a bordo di un
trimotore Ju 52, a Sevilla - Tablada dove ci ricongiungiamo con i colleghi
dell’altra spedizione, giunti un paio
di settimane prima a Melilla - Nador. Manca purtroppo all'appello il primo
caduto, il ten. Ernesto Monico, pilota del 4° Stormo, catturato ed
ucciso il 31 agosto dai repubblicani dopo essersi lanciato con il paracadute.
La morte di Monico
Il 28 agosto, al s.ten. Monico giunge
l'ordine di trasferirsi, con il serg. Bruno Castellani, da Salamanca a
Caceres, a disposizione del comando nazionalista. Nel tardo pomeriggio
del 31 agosto, il comando dispone una missione ricognitiva delle basi aeree
repubblicane madrilene. Monico e Castellani sorvolano a lungo la capitale
ed i campi di Barajas, Alcalà de Henares, Getafe, Cuatro Vientos
annotando quanto rilevato sulla consistenza ed attivita' delle basi sorvolate.
Nel corso del rientro, vengono sorpresi ed abbattuti da quattro caccia
avversari. Castellani, e' costretto ad effettuare un atterraggio d'emergenza
ma riesce a raggiungere le proprie Iinee. Monico ha il suo CR 32 incendiato
e si deve lanciare. Catturato da miliziani, alla sua richiesta di esser
messo in contatto con l'ambasciata, viene giustiziato. I suoi uccisori
verranno successivamente fucilati da un Tabor marocchino, su segnalazione
della popolazione locale, dopo la conquista di Toledo. A Monico viene
conferita la Medaglia d'oro al valor
militare alla memoria. I suoi compagni di Squadriglia per ricordarlo dipingono
sulle fusoliere il motto "MONICO PRESENTE!".
L'asso spagnolo Joaquin Garcia Morato
Il cap. Joaquin Garcia Morato, assegnato
il 5 settembre alla 1^ squadriglia, è un famoso pilota spagnolo
che con la conoscenza dell’orografia della Spagna sara' estremamente utile
ai piloti italiani nei voli di ricognizione. L'arrivo di Morato e' rimasto
famoso per un simpatico "incidente" dovuto al nome di Dequal che in spagnolo
vuol dire "di quale". Giunto al campo di Tablada, dopo i convenevoli chiede
al cap. Ruggero Bonomi: Quien es el comandante de la Primera Escuadrilla?
(Chi e' il comandante della 1^ squadriglia?)
"Dequal" gli risponde Bonomi e Morato
ripete:
"de la Primera Escuadrilla"
"Dequal !" ripete Bonomi
"de la Primera Escuadrilla!" insiste
Morato
"Dequal" ripete per l'ennesima volta
Bonomi
Morato si volta perplesso verso
il collega spagnolo, il quale chiarisce l'equivoco:
"Dequal es el nombre del comandante"
Il tutto si conclude con una risata.
Lo stesso giorno Morato chiede di provare un CR 32 che gli viene messo
subito a disposizione e dopo un breve briefing sulle caratteristiche del
velivolo e sul funzionamento degli impianti avvia il motore e comincia
a rullare. Si forma un gruppetto di curiosi e lo osserviamo decollare.
Si allontana per un paio di minuti e poi ritorna sul campo, effettua un
paio di virate, dei tonneau e dei looping con una disinvoltura tale da
non sembrare affatto un pilota al primo volo su un CR32. Si allontana nuovamente
ed infine punta sull'aeroporto per portarsi all'atterraggio. Si presenta
a circa 200 mt di quota, molto vicino al campo. Qualcuno tra noi istintivamente
commenta:
"E' troppo alto, non ce la puo'
fare!"
In effetti, a quella distanza e'
troppo alto e se continua rischia di "toccare lungo" e finire fuori campo.
Il CR 32 non ha i flaps e l'avvicinamento deve necessariamente avere una
pendenza non troppo ripida. Qualche secondo dopo inclina il velivolo da
una parte e porta il timone direzionale a fondo corsa dalla parte opposta.
Questa manovra detta "imbardata" e' un volo a "comandi incrociati", scoordinato
e non istintivo che richiede una padronanza della macchina, soprattutto
a bassa velocita'. Subito dopo la ripete dall'altro lato e poi ancora,
"sprofondando" fino a terra. L'aereo in effetti perde rapidamente quota
e mette le ruote all'inizio del campo. E' stata un’eloquente presentazione
per un grande asso qual’era Morato.
Sevilla – Tablada ed il primo incidente
in territorio spagnolo
A Sevilla gli ufficiali vengono
alloggiati nell'Hotel Cristina mentre noi, sottufficiali, nell'Hotel Moderno.
Sono due lussuosi alberghi dei quali purtroppo non possiamo godere a pieno
i comfort in quanto tutto il personale, piloti compresi, deve recarsi alle
cinque del mattino in aeroporto per riassemblare i velivoli e fare ritorno
a notte inoltrata. Il mattino del 9 settembre, intorno alle 11.00, il serg.
Achille Buffali ed io decolliamo con Morato capo pattuglia. La destinazione
e' Caceres, a sud-ovest di Madrid, dove eravamo giunti alcuni giorni prima
con il treno da Vigo. Insieme a noi c'e' anche la pattuglia di Dequal.
Una terza pattuglia con i rimanenti piloti parte piu' tardi ai comandi
di Mantelli. In totale nove velivoli per dare inizio alle missioni di protezione
e cooperazione sul fronte di Oropesa - Talavera de la Reina. Poco dopo
ci raggiunge il resto del personale di terra. Siamo da poco a Caceres che
ci giunge la terribile notizia: alle ore 18.30 il tenente Olivero, durante
un volo di prova , eseguendo un tonneau a pochi metri da terra, toccava
con un’ala e si disintegrava nei pressi dell'aviorimessa. Dopo la scomparsa
di Olivero, la 1^ e la 2^ Squadriglia della Cucaracha sono poste al comando
del capitano Dequal. A Caceres iniziano i primi voli di guerra e vengo
assegnato quale gregario proprio della pattuglia del capitano Morato. Non
si fa piu’distinzione tra 1^ e la 2^ Squadriglia e gli equipaggi sono misti.
Avro' anche occasione di volare con un altro famoso spagnolo, il cap. Julio
Salvador Diaz e con il cap. Jesus Angel Salas Larrazabal. Tutti piloti
che arriveranno ai vertici dell’Aviazione: Morato diverra' Capo delle Operazioni
della Caccia mentre Salas, finita la guerra, assumera' l'incarico di Capo
di Stato Maggiore della "Aeronautica Spagnola".
Il primo combattimento ed il primo abbattimento
L’11 settembre, all'alba una pattuglia
composta da Dequal, Avvico e Patriarca decolla per una "crociera di protezione"
su Talavera e attaccano tre Breguet. Dequal ne abbatte uno ed Avvico un
altro. Patriarca abbatte invece un Nieuport. Poco dopo partiamo Morato,
Buffali ed io. Giunti su Talavera scorgiamo tre bombardieri nemici Breguet,
scortati da due caccia a sinistra e da altri due a destra. Buffali si impegna
con i due di sinistra e ne abbatte uno. Morato ed io impegnamo i due caccia
di destra. Morato si mette in coda ad uno e lo abbatte. Io inseguo l'altro
e mi porto in coda e dopo alcune virate strette, faccio partire due raffiche
ed alla seconda mi rendo conto di averlo colpito poiche' vedo, tra il fumo
delle traccianti, alcuni pezzi di lamiera staccarsi e del fumo bianco,
forse vapori di benzina. Il velivolo precipita e non vedo il pilota uscire.
Dopo la guerra sapro' che era un inglese, si chiamava Cartwright. Un’altra
pattuglia si alza in volo: Franceschi e
Magistrini per la scorta ad uno
Junkers. A una ventina di chilometri nell'interno del territorio nemico
avvistano due Dewoitine e tre Nieuport che puntano verso lo Junkers. Franceschi
impegna due Dewoitine e ne abbatte uno. Magistrini attacca i tre Nieuport,
abbatte uno e pone in fuga gli altri due. Sette apparecchi abbattuti e
uno probabile. Non e' male!
Il secondo abbattimento
Il mattino del 16 settembre assieme
a Mantelli e Franceschi decolliamo da Caceres diretti sul fronte. Improvvisamente
compaiono tre caccia Dewoitine che volano con prua Sud Ovest e li ingaggiamo
a Sud di Talavera nella zona in cui alcuni mesi prima era caduto Monico.
Colpisco subito un Dewoitine e lo inseguo per alcuni secondi mentre precipita
per accertarmi di averlo abbattuto. Quando lo abbandono al suo destino
sono ad una quota molto piu' bassa e mentre mi appresto a risalire mi trovo
inaspettatamente in coda ad un velivolo dipinto di rosso (che sapro’ successivamente
essere un Miles M2H). Alla distanza di 100 metri sparo una breve raffica
di circa una trentina di colpi nella sua direzione e per poco non colpisco
Franceschi che improvvisamente mi taglia la rotta, forse anche lui inseguiva
lo stesso velivolo. Rimango colpito dal fatto che il velivolo, in leggera
discesa, non manovra per sfuggire e pertanto mi affianco a circa una decina
di metri. E' un monoplano ad ala bassa con due sedili in tandem. I piloti
hanno la testa rivolta verso il cruscotto e sono immobili. L'aereo va aumentando
il suo angolo di discesa. Realizzo solo ora che si tratta di un velivolo
non armato, probabilmente civile e rammaricandomi di essere stato troppo
tempestivo nell'aprire il fuoco, manovro per ricongiungermi alla mia squadriglia.
Ritornato al campo stendo rapporto sul combattimento e tralascio l'episodio
dell'aereo disarmato in quanto mi sembra sconveniente segnalarlo anche
perche' non ho verificato che fine abbia fatto. Ne frattempo giungono dal
fronte le segnalazioni degli abbattimenti rilevati dai nostri osservatori
a terra che riportano anche un velivolo da ricognizione con due piloti
a bordo abbattuto. A questo punto mi rivolgo al comandante Dequal e riferisco
dell'episodio del velivolo rosso che
prima aveva omesso. Lui non sente
ragione, si rifiuta di assegnarmi l'abbattimento e lo accredita alla Squadriglia.
Questo episodio mi lascera’ a lungo amareggiato, non tanto per la mancata
assegnazione dell'abbattimento quanto perche’ dimostrava la poca fiducia
di un comandante nei confronti di un suo subalterno, non contribuendo ad
instaurare un buon rapporto proprio in momenti difficili come quelli da
noi affrontati. Il pilota del Dewoitine da me abbattuto si chiama Doherty
e risulta sopravvissuto al combattimento. Durante questa missione Franceschi
perdera’ l'orientamento e non rientrera' alla base.
Ad Avila con Julio Salvador Diaz
Un giorno decollo in pattuglia di
tre CR32, Julio Salvador Diaz ed un altro pilota, non ricordo se Buffali
o Avvico, con destinazione un aeroporto in quota, Avila. Durante la breve
sosta ad Avila, incontro degli amici italiani che sono in compagnia di
alcune ragazze spagnole. Ero gia' conosciuto nell'ambiente aeronautico
per aver fatto parte della Pattuglia Acrobatica e mi chiedono di dare qualche
dimostrazione della mia abilita'. D'accordo con l'altro gregario, prima
di ripartire da Avila, chiedo allo specialista di simulare qualche difficolta'
alla messa in moto dell'aereo di Salvador in modo di avere a disposizione
quattro o cinque minuti per effettuare quello che avevo in mente. Sull'aeroporto
sono schierati gli aerei della caccia tedesca ed accanto i piloti attendono
per osservare la partenza dei nostri CR32 che allora erano considerati
delle macchine dalle prestazioni eccezionali. Decollo da solo: appena staccate
le ruote da terra mantengo l'aereo raso al suolo per prendere
velocita', cabro bruscamente, effettuo
una virata "sfogata" ed inverto la prua di 180° picchiando e puntando
contemporaneamente verso gli aerei tedeschi ed i loro i piloti che mi stanno
osservando. Mantenendo sempre l'aereo ad un paio di metri da terra, con
tutta manetta dentro, accelero alla massima velocita’ e, ad un centinaio
di metri da loro, cabro nuovamente. L'intenzione e' di effettuare un "Immelman"
(un mezzo looping con mezzo tonneau alla sommita') ma quando sono in cima
al mezzo looping, a testa in giu’, mi rendo conto che la velocita' e’ troppo
bassa e che il mezzo tonneau verrebbe a "botte" (sprofondato), invece che
in linea orizzontale. Decido allora di completare il looping, cioe’ "chiudere"
il cerchio puntando il terreno ma, quando sono con il muso verticale e
comincio a "tirare", sento i comandi "laschi" e l'aereo che vibra spanciando
e rispondendo malamente ai comandi. Non potevo sapere che questo comportamento
del velivolo era normale su un
aeroporto a 1150 metri di quota.
Mi ero cacciato in una situazione dalla quale in genere non si esce vivi.
Fortunatamente ho la prontezza di spirito di non reagire in modo istintivo
e "non" continuo a tirare altrimenti mi "spiaccicherei" a terra come un
uovo. Mentre il terreno si sta avvicinando velocemente sono ancora con
il velivolo in posizione quasi verticale; per qualche interminabile secondo
allento i comandi di quel tanto da allargare il "raggio" del looping ed
evitare che l'aereo stalli e poi, tirando piu’ dolcemente possibile, ma
non troppo, riesco a "chiudere" il looping e sfioro il terreno passando
a poco piu' di tre metri, invece della trentina usuali. Continuo mettendo
l'aereo a "coltello", inclinato lateralmente di 90° sfilando diritto
e veloce davanti ai piloti tedeschi. Con la tremarella alle gambe e qualche
goccia di sudore sulla fronte, circuito sull'aeroporto attendendo l'aereo
di Salvador e dell’altro gregario per poi rientrare insieme alla base.
A Caceres, Salvador che
aveva assistito da terra a tutta
la scena, spento il motore, si avvicina al mio aereo e mentre sono ancora
intento a slacciare le bretelle, batte un paio di colpi con la mano sulla
fusoliera: "Hola amigo, yo vi todo! A Avila usted ha tenido suerte. Ahora
tienes que pagar de beber a todos!" ("Ei amico, ho visto tutto! Ad Avila
ti e' andata bene. Devi pagare da bere a tutti!"). In effetti solo un "occhio
esperto" come il suo poteva notare la difficolta' che avevo incontrato
ed il rischio corso durante l’esecuzione di quella manovra. Effettivamente
tutto sommato era andata "molto bene", salvo per la "faccia" persa e la
"bevuta" da pagare.
In volo con Garcia Morato
Dopo tanti anni mi e' difficile
ricordare i voli che ho effettuato da gregario di Garcia Morato. Ho provato
farlo, trascorsi quasi 70 ann,i confrontando i dati del mio libretto di
volo con quelli riportati da Morato sul suo libro "Guerra en el aire".
Purtroppo allora non si era molto dettagliati nel riportare i dati dei
voli sui libretti personali; non eravamo ad esempio soliti segnare l'ora
del decollo ed atterraggio ma solamente il tempo di volo complessivo. Sul
mio libretto addirittura per una buona parte del mese di ottobre, non ricordo
perche', sono indicate le missioni ma non il giorno. Un particolare inoltre
che mi ha colpito leggendo il suo libro e’ che non menziona mai i piloti
italiani, nonostante che tutti i successi determinanti per l'esito della
guerra fossero dovuti quasi esclusivamente all'Aviazione Legionaria. E'
come si fosse dimenticato che i velivoli, CR 32, sui quali volava gli venivano
"forniti e riforniti" dagli italiani. Probabilmente tutto cio' faceva parte
di una volonta' di far apparire al popolo spagnolo che la guerra era stata
vinta solamente grazie agli spagnoli. Volare in pattuglia con il capitano
Garcia Morato mi da un senso di sicurezza poiche' conosce perfettamente
il terreno che sorvoliamo. Con lui effettuo diverse missioni di mitragliamento
ed appoggio alla fanteria. Alcune di queste hanno come teatro le strade
di Madrid, tagliata in due dal fronte. Per chi non conosce bene la citta'
c'e il rischio di colpire le proprie truppe o i cittadini inermi. Morato
in occasione del "briefing" prima di queste missioni e’ solito informarci,
Buffali ed il sottoscritto, che non dobbiamo sentirci obbligati a sparare
sulla citta' dove esiste questo rischio. Lui inoltre ha la famiglia, madre,
sorella, parenti ed amici che vivono proprio a Madrid e queste missioni
sulla sua citta' non le fa certamente a cuor leggero. Morato e' un pilota
dalle doti eccezionali. Durante le missioni effettuate insieme a lui, un
pilota repubblicano ci attendeva in prossimita' della nostra base, quando
oramai con poco carburante a bordo, ci accingevamo al rientro. Ci piombava
addosso come un falco, sparava una raffica e si allontava velocemente.
Per un paio di volte Morato, terminata la missione, con un cenno ci fa
rientrare mentre lui, riducendo la velocita' al minimo e quasi "galleggiando"
in aria per aumentare l'autonomia, rimane li' per far da esca. Attende
cosi' l'aereo solitario che puntualmente dopo un po' sbuca dall'alto, con
il sole alle spalle, attratto da una "preda" cosi' vulnerabile. Il Morato,
poco prima che l'aereo avversario inizi a sparare, con perfetta sincronia
ed una brusca "spedalata" vira rapidamente di 180 gradi, cabra verso l’avversario
e manovrando con grande abilita' a velocita' prossime allo stallo, muso
contro muso, lo collima facendo partire a sua volta una breve raffica.
Al terzo agguato la raffica di Morato centra l'aereo nemico e da quel giorno
la nostra squadriglia non ha piu' sorprese. L'aereo abbattuto cade tra
le linee repubblicane e quelle nazionaliste nei pressi di Valmojado (Toledo).
Solo la perfetta padronanza del velivolo alle basse velocita' e la destrezza
di Morato avevano permesso un'abbattimento con una manovra non prevista
da alcun "manuale". Morato ordina un "blitz" per catturare i resti del
velivolo che viene trasportato a Sevilla per studiarne le caratteristiche
costruttive ed aerodinamiche. Quando il velivolo giunge a Sevilla a bordo
di un autocarro, insieme ad alcuni colleghi e specialisti andiamo a vedre
da vicino il relitto.
Il doppio tonneau in candela
Fra Dequal e Morato nasce una una
profonda e fraterna amicizia ed una sera, ad una cena di squadriglia siamo
seduti di fronte. Morato ad un certo punto chiede a Dequal un chiarimento
su una manovra acrobatica che ero solito eseguire al ritorno dalle missioni.
Quando, al rientro, volavamo rilassati (ma non troppo) sul territorio amico,
poco prima dell'atterraggio, mi "sfilavo" dalla formazione, "affondavo"
con tutto motore "dentro" per prendere la massima velocita' e poi cabravo
in "candela" effettuando due tonneau veloci di fila, raddrizzavo e sempre
a tutta manetta andavo a ricongiungermi con gli altri due. Morato, da buon
"cacciatore" volava sempre con la testa voltata indietro e non gli erano
sfuggite le mie improvvisate manovre ed ora vorrebbe sapere come riuscivo
a compiere quei due tonneau. Lui aveva provato piu' volte la stessa manovra,
anch'io me ne ero accorto, ma dopo un tonneau e mezzo andava in perdita
di velocita', stallando. Dequal gli risponde:
"Chianese e' qui, chiediamolo a
lui" e mi gira la domanda. Preso alla sprovvista, non sapendo effettivamente
dare una risposta tecnica esauriente, rispondo imbarazzato ed in modo poco
chiaro, dando l'impressione di non voler confidare un mio segreto: "Lo
vede pure come faccio!" rispondo. La mia risposta e' un po' scortese ed
in seguito me ne pentiro'. La realta' e' che neanche io conosco il motivo
per il quale la manovra mi riesce. Solo qualche anno piu' tardi realizzero'
che nei tonneau in salita usavo solo gli alettoni mentre i colleghi "lavoravano"
molto col timone di direzione. Il CR 32 non era esuberante in potenza e
l'uso del timone di direzione provocava un aumento della resistenza aerodinamica
e di conseguenza una perdita di velocita'. Oggi questi problemi fanno sorridere
ma allora i piloti ben poco sapevano di aerodinamica e l'istinto del volo
era elemento essenziale che permetteva di acquisire una completa padronanza
del mezzo dal quale solo cosi' si riusciva ad ottenere le massime prestazioni.
Il Morato morira', finita la guerra, proprio effettuando un tonneau a bassa
quota nei cieli di Spagna, durante le riprese di un film sull'Aviazione
Legionaria.
Talavera de la Reina
Seguendo l'avanzare del fronte,
le basi di partenza dei nostri CR32 si spostano il 21 settembre a Talavera
de la Reina, un'ampia superfice pianeggiante e polverosa dove viene allestito
in tempi brevi delle strisce per i decolli ed atterraggi ed il minimo essenziale
di infrastrutture logistiche. Alla nostra squadriglia viene assegnato il
nome "Cucaracha" ed uno scarafaggio raffigurato mentre suona un flauto
e' il nostro emblema e dipinto sulle fusoliere dei CR32. Intanto le azioni
si susseguono giorno dopo giorno, crociere protezione fronte, partenze
su allarme, scorte ai bombardieri, vigilanza campo. Oramai ci siamo familiarizzati
con il territorio e riconosciamo molti paesi menzionati nei libri di storia:
Novalperal, Talavera, Cadice, Aguires, Toledo, Chapineria, Aranjuez, Valmojado,
Valcarnero, Illescas, S.Martire, Escorial, Navalcarnero, Torrijos, Getafe,
Cuatro Vientos. Alcune scorte agli aerei tedeschi da trasporto truppe,
Junkers, le effettuo in pattuglia con Mantelli. Mantelli e' un pilota che
si e' formato da giovane con il volo a vela e questa sua passione non lo
abbandonera' per tutta la vita. Il volo con l'aliante gli ha conferito
una sensibilita' che sommata al suo talento, fara' di lui uno dei miglior
piloti da caccia. Nel Circolo per il Volo a Vela da lui costituito c'e'
un altro giovane: Giuseppe Cenni. Il caso vorra' che si troveranno insieme
al 1° Stormo ed in Spagna. Un'amicizia fraterna unira' i due fino alla
scomparsa di quest'ultimo avvenuta durante il secondo conflitto mondiale.
L'eccessiva lentezza degli aerei tedeschi e' un problema fastidioso e non
indifferente per i nostri piu' veloci CR32. In un paio di missioni incontriamo
ed ingaggiamo alcuni Potez, bombardieri bimotori che "incassano" molto
bene. Quando vengono attaccati si mettono in leggera picchiata e retraggono
le torrette con le mitragliatrici. In un combattimento quattro nostri CR32
scaricano tutte le munizioni su un Potez alla distanza di 200 mt. Le mitragliatrici
7.7 mm hanno la massima efficacia
a circa 70 mt ma comunque il Potez incassa tutti i colpi e riesce ad atterrare
con un motorista ferito ai comandi ed il resto dell'equipaggio colpito
a morte.
L'attacco del 1°novembre all'aeroporto
di Talavera
Il 1° novembre al primo mattino
giungono 3 Tupolev SB-2 "Katiuska" , soprannominati "Martin Bomber", per
bombardare il nostro campo. Sono in volo con la pattuglia che effettua
la "Vigilanza Campo", li inseguiamo ma avendoli avvistati troppo tardi
non riusciamo ad ingaggiarli. Le bombe dei SB-2 ci arrecano danni e vittime.
Sei CR32 vengono danneggiati non gravemente e potranno essere riparati.
Tre soldati spagnoli di guardia sul campo vengono uccisi e nove feriti.
Rimangono feriti leggermente anche Vivarelli e il motorista Sirchia. Alcuni
specialisti, nonostante le bombe siano cadute molto vicine, si salvano
con un gran spavento. Il campo e' soggetto a frequenti attacchi nemici
e si sta parlando di un prossimo trasferimento su un aeroporto meno vulnerabile
a Torrjos, piu' vicino al fronte e dove si sta già’ approntando
una pista improvvisata in mezzo ad una piantagione di ulivi che puo’ essere
utilizzata per il decentramento dei velivoli.
L’incidente di Vivarelli
Il giorno successivo, il 2 novembre,
un bombardiere "Martin Bomber", che sorvola il nostro campo di Talavera,
viene colpito da Mantelli e Sozzi. L’equipaggio si lancia ma i paracadute
si rompono per l’eccessiva velocita’. Piu’ tardi un grave incidente funesta
la nostra base. Sto riposando dentro il ricovero quando improvvisamente
sento una forte detonazione, afferro la mia macchina fotografica, una KodaK
3x4 e corro fuori. A circa 200 metri vedo una colonna di fumo e gente che
corre ma non capisco cos’e' successo. Scatto una foto verso le le fiamme
che ora si alzano alte. Vivarelli, mentre si apprestava a salire su un
CR32, si presume abbia urtato la leva di sgancio degli spezzoni procurando
la caduta di uno di essi e conseguente esplosione. Non si sa perche’ gli
spezzoni si trovassero a bordo. L'apparecchio si è incendiato e
Vivarelli, gravemente ferito, viene trasportato all'ospedale ove poco dopo
muore. Rimangono seriamente feriti il serg. Silvio
Salvadori, il motorista Mondini
e l'armiere Palmerina. Salvadori si e' ustionato nell'estrarre dalle fiamme
il Vivarelli.
Torrijos
Il 3 novembre ci trasferiamo a Torrijos
poiche' Talavera e' sottoposta a frequenti attacchi nemici. A Torrijos
la pista ed i CR32 sono cosi' ben mimetizzati tra gli ulivi che i repubblicani
non riescono ad individuarci nonostante questo aeroporto di fortuna rappresenti
per loro una spina nel fianco. Su Torrijos decolliamo ed atterriamo da
una stretta e corta striscia d'erba ricavata tra i campi arati dai contadini.
Non ci sono hangar od altre costruzioni ed i velivoli vengono parcheggiati
e riforniti sotto le basse piante che circondano l’aeroporto che non verra'
mai scoperto dai repubblicani. Solamente in un secondo tempo, dopo alcuni
incidenti in atterraggio, viene costruita una seconda pista piu’ lunga.
Insieme agli specialisti soffriamo il disagio dovuto alla mancanza di infrastrutture
che ci costringe a vivere all’aperto.
Madrid 5 novembre, l'abbattimento di
Maccagno
Il 4 novembre, la Eskadrilhya da caccia
sovietica alla sua prima missione, consegue tre vittorie abbattendo due
dei nostri caccia legionari, il cap. Vincenzo Dequal ed il serg. Giovanni
Magistrini ed un trimotore tedesco Ju 52/3. Magistrini cade nelle nostre
linee gravemente ferito e muore poco dopo. Dequal si lancia col paracadute
e rientra leggermente ferito. Al posto di Dequal il magg. Tarcisio Fagnani,
comandante della caccia del Tercio, decide di inviare il giorno successivo,
il 5 novembre, in zona operativa la squadriglia del cap. Alberto Maccagno,
composta da nove CR 32 condotti da piloti esperti e da alcuni della 3^
spedizione, alla loro prima missione. A Maccagno, che proviene dai bombardieri
ed e' alla sua prima missione, Fagnani assegna come sezionari della sua
pattuglia due esperti sottufficiali, Avvico ed il sottoscritto. E’ prevista
una crociera di protezione delle truppe sul fronte di Getafe, alla periferia
di Madrid. Maccagno, guida la formazione,
Avvico ed io gli voliamo accanto.
Improvvisamente notiamo che dal basso stanno salendo minacciosi quindici
dei nuovi e temuti caccia Polikarpov I-15 soprannominati "Chato" dai repubblicani
e "Curtiss" dai nazionalisti. Avvico ed io tentiamo di richiamare l’attenzione
del comandante facendo oscillare ripetutamente le ali ma questi continua
a non capire e guardare avanti invece che in basso. I velivoli nemici cominciano
ad essere pericolosamente vicini ed a questo punto abbandoniamo il comandante
alla sua sorte per evitare di essere facile bersaglio dei Polikarpov e
cabriamo bruscamente puntando il sole per sottrarci e renderci meno visibili
agli attaccanti. Nel frattempo uno di loro mi si e' gia’ avvicinato pericolosamente
e pertanto effettuo una stretta virata in salita e riesco a portarmi di
fianco e piu' indietro, lo collimo puntando le armi sul punto futuro e
lo colpisco alla prima raffica. Il velivolo ruota sull'asse longitudinale,
abbassa il muso e comincia a perdere quota. Lo inseguo, com'e' prassi in
questi casi, per circa 2000 metri per accertarmi che non sia una manovra
elusiva ed alla fine lo abbandono al suo destino. Mi trovo cosi' troppo
basso e conseguentemente piu' vulnerabile per riprendere il combattimento
e pertanto decido di rientrare alla base. Maccagno nel frattempo viene
sorpreso da alcune raffiche sparate dal basso che gli centrano l’aereo
e lo colpiscono ad una gamba. Il suo CR32 precipita in fiamme e, nonostante
sia gravemente ferito riesce a lanciarsi col paracadute. Mentre sta scendendo
sulla citta’, viene investito anche dalle raffiche di due caccia nemici.
Fortunosamente si ritrova a terra vivo, ferito da una pallottola che gli
ha strappato quasi completamente il piede destro. E’ circondato da una
turba minacciosa che minaccia di linciarlo ma l’intervento provvidenziale
di alcuni miliziani della XI^ Brigata internazionale lo sottraggono ad
un probabile linciaggio. Viene ricoverato all’ospedale di Madrid, dove
i sanitari intervengono amputandogli l’arto. Maccagno e' l’unica perdita
legionaria. Al rientro vi è un certo imbarazzo nello stilare i rapporti
sul combattimento che e' costato la perdita del Comandante di Squadriglia
Maccagno, anche perché in due giorni ne sono stati abbattuti due!
Nel 1939 in occasione di un Raduno a Genova dei piloti che parteciparono
alla Guerra Civile Spagnola, rivedo il capitano Maccagno che si lamenta
di essere stato abbandonato dai suoi gregari durante quel famoso combattimento
sui cieli di Spagna. Io, che ero conosciuto per non avere grandi doti "diplomatiche",
gli ricordo che la prima regola per un pilota da caccia e' quella di volare
sempre con un occhio alle proprie spalle.
Un altro abbattimento
Il 15 novembre, insieme ad un gruppo
di venti CR32 eseguo una scorta a due formazioni di Junkers in azioni di
bombardamento sulle fortificazioni di Madrid. Durante la scorta alcune
pattuglie di Polikarpov I-15 "Curtiss", ci attaccano.Riesco ad agganciarne
uno e dopo alcuni minuti di inseguimento lo colpisco e lo abbatto. Rientro
alla base stanco, il volo di scorta ed il combattimento mi hanno fatto
stare per aria per due ore, in condizioni non certamente confortevoli.
Il mattino del 19 novembre, partiamo per una scorta agli Junkers che si
accingono a bombardare Madrid. Alle 09.00 volando ad una quota piu' alta
dei bombardieri, giungiamo sulla capitale e assistiamo al bombardamento.
Dopo pochi minuti la citta' e' totalmente coperta da un denso nuvolone
nero e contemporaneamente veniamo attaccati dai caccia nemici. Il combattimento
che ne segue e' violento. Nello scontro riusciamo ad abbattere un Polikarpov
I-15 "Curtiss" e due Polikarpov I-16 "Rata" ed
altri quattro velivoli sono visti
precipitare ma l'abbattimento sara' confermato solo per uno di essi. Tutti
i bombardieri ed i CR32 ritornano indenni alla loro base.
Il velivolo "personale" del tenente
Larsimont
Il 20 novembre sull'aeroporto di
Torrijos – Barcience c'e' all'improvviso una partenza su allarme, corro
insieme a tutti gli altri verso i decentramenti, sotto gli ulivi e gli
eucalipti, dove sono parcheggiati i CR 32. Il mio caccia e' attorniato
dagli specialisti, deve essere ancora completato il rifornimento di carburante
e munizioni e ci vogliono ancora diversi minuti prima che sia in grado
di partire. L'aereo accanto e' invece pronto e l’armiere, caricati i nastri
delle mitragliere, sta chiudendo i portelli ma non c'e' nessun pilota vicino.
Non molto lontano c'e' il Comandante di Squadriglia, cap. Guido Nobili,
che sta impartendo le ultime disposizioni per la partenza. Corro verso
di lui e gli chiedo l'autorizzazione a prendere il velivolo disponibile.
I motoristi capiscono al volo e prima che arrivi al velivolo hanno avviato
il motore che per fortuna era gia' caldo. Mi allaccio il paracadute e salito
a bordo mi imbrago velocemente ed in breve sono in volo con il resto della
pattuglia. Sono trascorsi pochi minuti quando comincio a notare un rivolo
d'olio sul parabrezza che si va allargando fino a togliermi quasi completamente
la visuale. Si e' rotto un manicotto dell'olio e rischio da un momento
all’altro lo spegnimento del motore. Con mio disappunto mi vedo costretto
ad un rientro immediato e segnalo al capo pattuglia, oscillando le ali,
che abbandono la formazione. Mentre sono sulla rotta di ritorno tengo sott'occhio
la pressione e la temperatura dell'olio sperando che il motore non mi abbandoni
proprio a pochi minuti dal campo. Fortunatamente conosco bene l'orografia
della zona e, virando un po' a destra ed a sinistra, davanti a me, a causa
del parabrezza imbrattato non vedo nulla, trovo l'aeroporto. Anche in "finale"
debbo effettuare continue virate; sporgermi dall'obitacolo non serve a
molto poiche' il risultato e' che l'olio mi sporca il casco e gli
occhiali che debbo prontamente pulire per non restare completamente cieco.
Non e' sicuramente una situazione piacevole! La pista di Barcience e' una
stretta striscia in mezzo ai campi ed oltrettutto pure maledettamente corta.
Tocco terra pertanto bruscamente, guardando la pista di lato. Quando la
velocita' e' gia' contenuta, metto la ruota dal lato opposto ove guardavo,
fuori pista, nel terreno molle. La ruota sprofonda, l'aereo imbarda ma
riesco a controllarlo ed il danno e' solo una grossa "infangata". Tutto
sommato e' andata bene poiche' ho rischiato pure una "capottata". Il ten.
Antonio Larsimont, cui era stato assegnato il velivolo, assiste al mio
rientro e appena sceso dall’aereo mi si avvicina. Penso che voglia complimentarsi
per la manovra ed invece mi da' una solenne inquadrata: "Chi l'ha autorizzato
a prendere il mio velivolo? Oltretutto me l'ha pure scassato!""Il mio velivolo
non era pronto, l'unico aereo disponibile era il suo e comunque sono stato
autorizzato dal comandante Nobili, glielo chieda!" rispondo. Larsimont
non vuol sentire ragioni e rincara la dose, e ciò in presenza del
personale del campo, che assiste alla scenata. A questo punto ritengo che
abbia passato ogni limite e percio' in tono duro e deciso, gli rammento,
ove se ne fosse scordato, che quando era un pivellino giunto al 4°
Stormo di Gorizia, ricorreva spesso ai miei consigli e concludo con un:
"… si ricordi che le ho insegnato io a volare!". La mia frase deve averlo
indubbiamente ferito, ma in effetti se l’e' cercata. Non me la perda ed
inoltra rapporto al comandante di Gruppo, il magg. Tarcisio Fagnani. Il
comandante di Gruppo mi convoca e, pur riconoscendo le mie buone ragioni,
mi infligge quindici giorni di rigore per aver tenuto un atteggiamento
irrispettoso nei confronti di un superiore. Gli arresti sono puramente
formali e non mi esentano dalle missioni. Non accetto il provvedimento
che ritengo ingiusto e "marco visita" dandomi ammalato. Fagnani allora
provvede a trasferirmi da Torrijos al campo di Talavera de la Reina dove,
senza nulla obiettare ed improvvisamente guarito, riprendo le missioni
di guerra. Larsimont muore il 26 giugno 1942 in Africa Settentrionale mentre,
con l'aeroporto sotto bombardamento, corre verso il velivolo per decollare.
Di n uovo a Talavera
Il 1° dicembre 1936, verso le
15.30, al campo di Talavera de la Reina - Gamonal, vengono segnalati movimenti
di reparti della fanteria nemica in avanzata a circa 8 Km. a sud dell’aeroporto.
Al fine di prevenire eventuali incursioni al campo, insieme al serg. Gianlino
Baschirotto parto su allarme per una ricognizione offensiva sulla zona
segnalata di San Bartolome’. Con Baschirotto mi sto sistemando velocemente
la combinazione di volo ed il paracadute e gli avieri, che stavano rifornendo
il velivolo, debbono bruscamente interrompere le operazioni e cio’ provoca
un’abbondante fuoruscita di carburante che finisce nella fusoliera. Durante
il rullaggio ed il decollo sono costretto a tenere la testa spostata verso
l'esterno a causa dei vapori di benzina che vengono esalati dalla fusoliera.
Dopo il decollo ci mettiamo in coppia e ci dirigiamo verso la zona segnalata.
Sono ancora costretto ogni tanto a sporgermi per prendere una boccata d’aria
non satura di vapori. Dopo alcuni minuti di volo avvistiamo un gruppo di
una mezza dozzina di militari nei pressi di una piccola casa di campagna
isolata. Ci predisponiamo all’attacco con una virata in discesa, disponendoci
in "fila indiana". Io sono il primo a portarmi all’attacco e, ad una quota
di circa 50 metri, apro il fuoco a fine dissuasivo con una sola delle due
mitragliatrici 12.7 millimetri contro il gruppo di soldati che nel frattempo
corre verso la casa e vi si ripararono. Noto contemporaneamente del fumo
provenire dall'interno della fusoliera in corrispondenza del vano ove sono
installate le mitragliatrici e penso che cio' sia dovuto all'eccessivo
ingrassagio dei nastri sui quali sono fissati i proiettili da 12.7 millimetri,
accorgimento adottato dai nostri armieri per ridurre il rischio di inceppamenti.
I militari cercano scampo rifugiandosi all’interno della casa colonica.
Ci predisponiamo per un secondo passaggio, armo anche la seconda mitragliatrice
e collimo le armi su una finestra. Una frazione di secondo dopo aver aperto
il fuoco si innesca all'interno della fusoliera un incendio dei vapori
del carburante. Le fiamme si incurvano sopra la mia testa riparata dal
casco e dagli occhialoni e vengono rissucchiate verso l'alto dal flusso
accelerato dal parabrezza, investendomi ed avvolgendomi completamente.
Sono attimi tremendi nei quali mi sento perduto. Penso per un attimo di
farla subito finita schiantandomi al suolo con una spinta in avanti della
cloche, evitando cosi' le immancabili torture cui sarei sicuramente andato
incontro e successiva fucilazione. Prendo una decisione. Sopportando il
calore, cabro bruscamente per raggiungere una quota di almeno 150 metri
e quindi rovescio il velivolo, mi slaccio e lo abbandono. Fortunatamente
avevo gia' agganciato alla carlinga la fune di vincolo che provvede a comandare
l’apertura del paracadute appena fuori dal velivolo. La discesa e’ brevissima,
il paracadute ha giusto il tempo per aprirsi, a 50 mt da terra, e finisco
a circa 6 Km. a sud dell'aeroporto. Il contatto con il suolo e’ alquanto
brusco. Liberatomi dal paracadute, mi allontano rapidamente dirigendomi
verso un piccolo corso d’acqua delimitato da un crepaccio profondo di 2-3
metri. Mentre sto correndo i militari, da una distanza di circa 300 metri,
mi fanno bersaglio con la fucileria, i proiettili sibilano sopra la mia
testa senza colpirmi. Nella ricerca affannosa di un nascondiglio che possa
darmi riparo dai colpi mi butto a tuffo dentro una piccola cengia, formata
dall’ansa di un torrente e batto il capo contro l'unico spuntone di roccia
lungo un metro, infisso nella parete di terra, senza riportare neanche
un bernoccolo o escorazione. Corro nel letto del torrente e mi rannicchio
nella fessura scavata dalle piene sotto le pareti verticali di terra morbida
che mi fa da tetto e mi ripara dalla vista degli inseguitori. I militari
che ho mitragliato mi inseguono e mi sono vicini. Non mi vedono ma hanno
capito che mi sono occultato nell’anfratto e mi intimano: "Vienes afuera
hombre, no te disparamos!". La ricerca e' breve, uno di loro intravede
le mie scarpe che sporgono dalla buca, troppo piccola per contenermi e
mi catturano. Avevo sperato fino all'ultimo in un intervento del CR32 di
Baschirotto che sarebbe stato in grado di tenere a bada gli spagnoli che
mi inseguivano su un terreno privo di ostacoli ed invece con mio disappunto
constato che mi abbandona e rientra al campo dove vengono subito organizzati
i soccorsi. Sono distante dalle nostre linee non piu’ di 5-6 Km ed avrei
potuto raggiungerle in breve, se opportunamente "coperto" dal cielo. I
repubblicani non sono molto teneri con i prigionieri e se vengo risparmiato
probabilmente e' perché gli attacchi dei nostri due CR 32 non hanno
fatto alcuna vittima tra loro. Puntandomi le armi ed a spintoni mi costringono
a dirigere verso la casa colonica che e' servita loro da rifugio durante
il nostro attacco. Dopo circa trenta minuti viene inviato sul posto un
velivolo da trasporto americano Douglas DC 2, pilotato dal cap. Carlos
Haya Gonzales, con a bordo una decina di soldati armati incaricati di tentare
di recuperarmi. L'aereo mi sorvola ad una decina di metri proprio mentre
mi stanno per portare via dalla casa colonica e caricare su un mezzo militare.
I militari mi puntano il fucile e mi fanno accostare ad un muro e stare
immobile. Non e' il caso di attirare l'attenzione. Dopo una lunga ricognizione
senza successo sul luogo dove sono stato catturato, nella campagna intorno
a San Bartolome de las Abiertas, il DC 2 rientra alla base. Il giorno successivo,
il 2 dicembre, viene inviato anche un aereo biposto Ro 37 che sfortunatamente
ha una "piantata di motore" ed e' costretto ad un atterraggio di emergenza
in territorio nemico. L'aereo che vola ad una quota di circa 60-70 metri
ha ancora le bombe a bordo che non fa in tempo a sganciare. Al posto dell'osservatore
c'e' un pilota, il ten. Ugo Di Marzio che, colto dal panico, si lancia
col paracadute ma essendo troppo basso schianta al suolo. Il pilota del
Ro 37, Mattis, si ferisce seriamente durante l'atterraggio di fortuna ed
a sua volta viene fatto prigioniero. Al Di Marzio verra' concessa la medaglia
d'oro al Valor Militare. I tentativi per il mio recupero vanno avanti fino
al 3 dicembre e poi sono abbandonati.
La Cattura e la prigionia
Spogliato di ogni effetto personale,
mentre sono trattenuto da due uomini, un miliziano sta per darmi un colpo
violentissimo alla testa col calcio del fucile che mi avrebbe ucciso, ma
un ufficiale devia prontamente il colpo afferrando il braccio del soldato
ed intima di non toccarmi. Devo essere interrogato dai servizi segreti,
sono piu’ utile da vivo. Inizia il viaggio su un'auto militare verso Valencia
e durante il tragitto vengo piu' volte fermato ed interrogato in modo formale.
Passando a Sud di Madrid, nei pressi di Toledo, vengo portato in un grande
edificio isolato con una grande scalinata in pietra. Alla sommita' di questa,
in un atrio, vengo lasciato incustodito per circa un'ora. Ho il sospetto
che si tratti di un tranello per indurmi alla fuga ed avere una giustificazione
per uccidermi. Considerando che per raggiungere le linee amiche avrei dovuto
attraversare il fiume Tajo, desisto da ogni tentativo. Sono sottoposto
all'interrogatorio di un capitano spagnolo di complemento che mi tratta
prima con modi severi e poi diventa piu' cordiale al punto da confidarmi
di essere nella vita civile un maestro di matematica a Talavera de la Reina
ed amante dell'Italia. Alla fine mi accompagna dietro alla mensa ufficiali
e mi offre da mangiare e mi lascia augurandomi buona fortuna. Questi
spagnoli non finiscono mai di sorprendemi! Riprendo il viaggio verso Valencia
ma durante il percorso una moto staffetta porta l'ordine di tornare indietro
poiche' un "personaggio russo vuole vedere ed interrogare il prigioniero".
Vengo nuovamente sottoposto ad interrogatorio da un colonello russo dal
comportamento e modi molto violenti. E' presente all'interrogatorio pure
un ufficiale pilota spagnolo che sembra interessarsi principalmente alla
tattica di volo degli italiani che non alle informazioni di "intelligence"
e che mi confida, senza farsi sentire dal russo, di non portar alcun rancore
nei confronti dei colleghi piloti italiani. Nel frattempo il nostro Comando,
che non si rassegna alla perdita di un pilota considerato un buon elemento,
il giorno stesso invia dei velivoli che lanciano migliaia di volantini
in territorio nemico con il messaggio: Se il pilota che e' caduto entro
le vostre linee col paracadute non verra' restituito sano e salvo prima
delle dieci della sera di oggi, subirete le conseguenze di una punizione
esemplare. Nel caso il pilota sia trasferito in altro luogo, possono venire
due emissari a portarci le informazioni, in tal caso, sara' garantita la
loro liberta'. Talavera de la Reina, 3 dicembre 1936. Arrivo infine a Valencia
e vengo rinchiuso in una caserma adibita a campo di prigionia dove ci sono,
oltre agli spagnoli, anche degli italiani. Si sparge subito la voce che
un pilota italiano e' stato catturato e la notizia desta interesse negli
italiani delle Brigate Internazionali che passano per la caserma, centro
di arruolamento dei volontari di varie nazioni accorsi in aiuto dei Repubblicani
e che vengono a "farmi visita". Diversi di questi italiani mi insultano
o tentano di colpirlmi ma le guardie spagnole si dimostrano sempre molto
corrette ed intervengono per difendermi dalle angherie dei miei stessi
connazionali. Alcuni militari spagnoli che frequentano la caserma, passando
vicino alla mia cella mi gettano, senza farsi scorgere, cibo e sigarette.
Un giorno il comandante del battaglione Garibaldi della XII Brigata Internazionale,
l'italiano Randolfo Pacciardi, si presenta alla caserma in divisa spagnola
e si fa aprire la cella dalle guardie. Dopo un breve interrogatorio e saputo
che sono napoletano, mi dice che a maggior ragione dovrei vergognarmi e
mi accusa di infangare il buon nome dei partenopei e mi schiaffeggia violentemente.
Un giorno vengo trasferito dalla mia cella in quello che precedentemente
era il Circolo Ufficiali ed ora adattato a prigione. Qui ho come compagni
di prigionia un maggiore e due sottotenenti dell'Esercito Italiano. I tre
mi trattano con riguardo inusitato per essere un sottufficiale e soltanto
piu' tardi comprendero' il motivo. Nel corso della campagna di Guadalajara,
i tre ufficiali che fanno parte del Corpo Truppe Volontarie, si trovavano
tra il 10 ed il 14 marzo 1937 nella localita' chiamata "Bosco di Brihuega",
a circa 25 Km a nord di Guadalajara, in cui le nostre truppe subirono una
sconfitta. Avevano con loro diversi prigionieri repubblicani e quando si
accorsero di essere circondati tentarono di rompere l'accerchiamento e
per muoversi piu' agevolmente si liberarono dei prigionieri, trucidandoli.
Non riuscirono nel loro intento e furono catturati dai repubblicani. Quest'ultimi,
scoperto l'eccidio, cercarono di individuare i colpevoli e sospettavano
anche i tre militari. Il mio improvviso arrivo nella loro cella li aveva
convinti che fosse una mossa per introdurre tra di loro un agente informatore
al servizio dei repubblicani.
La cattura di Cenni, Pesce e Bandini
Dopo circa due mesi cade prigioniero
e viene rinchiuso nella mia stessa caserma il serg. Mario Bandini, mio
amico e collega del 4° Stormo ma restero' all'oscuro della sua presenza
per quasi tutta la prigionia. Il 29 dicembre 1936 da Sevilla parte una
missione in aiuto degli assediati del Santuario de la Virgen de la Cabeza.
La formazione comprende tre S81, tre Ro37 e nove CR32 di scorta. Il comandante
della squadriglia dei nove CR 32 e' Armando Francois. Gli altri piloti
sono il ten. Giovanni Berretta, s.ten. Giuseppe Cenni, s.ten. Elio Pesce,
serg. Mario Bandini, serg. Mario Bernocchi, serg. Giacomo Trombotto, serg.
Luigi Crimoldi, serg. Michelangelo Serafini. Dopo il decollo l'aereo di
Francois ha un'avaria ed e' costretto a rientrare a Tablada ed il comando
della squadriglia dei CR32 passa a Berretta. Le condizioni meteorologiche
in rotta sono pessime ed i velivoli finiscono dentro i cumuli. In breve
la formazione si rompe ed alcuni velivoli finiscono in vite.
Trombotto impatta il terreno e muore
nei pressi del Santuario in luogo inaccessibile.Il suo corpo verra' ritrovato
diversi anni piu' tardi. Crimoldi tenta un atterraggio di fortuna nel letto
del fiume Jandula presso Andujar, entro le linee nazionaliste, ma capotta
e muore nell'impatto.Bernocchi atterra sulla strada Madrid-Jaen e viene
catturato. Pesce e Bandini effettuano un atterraggio di fortuna e vengono
catturati a Elechal, nei pressi di Castuera. Cenni si lancia col paracadute
e finisce nei pressi della palude di Guadamellato (nord di Cordoba) ma
riesce a sfuggire agli inseguitori. Verra' catturato dopo tre giorni, tradito
da alcuni contadini del posto che lo consegnano ai militari repubblicani.
Bandini viene rinchiuso in una cella attigua alla mia ed un giorno sente
un fischiettare che gli e' familiare ed intuisce che il suo vicino sia
io. Non fa nulla per mettersi in contatto per il timore di far trapelare
la sua vera identita' ai repubblicani.
Il Carcel Modelo
Nel mese di aprile del 1937, tutti
i prigionieri vengono trasferiti al "Carcel Modelo" di Valencia, un vecchio
convento adibito a carcere, dove le condizioni dei prigionieri sono migliori.
Qui incontro finalmente Bandini ed i tre ufficiali dell'Esercito realizzano
che non posso essere un agente segreto ed il loro atteggiamento cambia
completamente facendo valere il loro grado e trattandomi con distacco Dopo
un po’ gira la voce che si stia trattando per uno scambio di prigionieri
ed il maggiore dell'Esercito, parlando con i colleghi si dice sicuro che
la scelta cadra' su di lui perche' piu' "importante". Rimarra' deluso!
Alcuni giorni piu' tardi viene in visita al "Carcel Modelo" una delegazione
internazionale della Croce Rossa per constatare le condizioni di vita dei
prigionieri che sono radunati, al centro del carcere, al cospetto della
delegazione che e' accompagnata da uno stuolo di ufficiali spagnoli. Ad
un certo punto un ufficiale lascia il gruppo e mi viene incontro, e' il
capitano spagnolo, professore di matematica, che per primo mi ha interrogato
subito dopo la cattura ed incurante di cosa possano pensare i colleghi
della delegazione, mi abbraccia e mi manifesta la sua contentezza nel rivedermi
vivo. Finita la guerra, mi confida, spera di venire in Italia ed incontrarmi.
Il capitano e' il nuovo comandante del carcere e da allora, nelle sue ispezioni,
mi fa uscire dalla cella e mi vuole accanto a lui. Rientrato in Italia
e terminata la guerra, ho tentato inutilmente di rintracciarlo, ho saputo
solo recentemente, grazie ad alcuni amici spagnoli, che il suo nome era
Manuel Machuca de Las Heras, comandante delle Unita' d'Informazione a Sud
del Tajo. Prima della guerra era insegnante in Talavera de La Reina, ha
anche comandato i "dinamiteros" in alcune azioni di attacco ai treni a
Nord del Tajo. Poco dopo la nostra partenza con la nave da La Spezia, quando
fummo ufficialmente informati che la nostra destinazione era la Spagna,
ci venne detto che avremmo dovuto arruolarci nella Legione Straniera (l'Italia
non voleva essere direttamente coinvolta nel conflitto) e che avremmo dovuto
adottare un nome di copertura da usarsi anche in caso di cattura da parte
dei repubblicani. A tale disposizione mi sono sempre attenuto durante tutta
la prigionia e solamente dopo il mio rientro in Italia verro' a sapere
che i miei compagni catturati avevano invece quasi tutti dato le loro reali
generalita’. Io continuavo a dichiarare di chiamarmi "Giglio" e di essere
appena giunto in Spagna. Mi sarei reso conto soltanto successivamente che
cio' aveva aggravato la mia posizione. Quando eravamo a Caceres, durante
le libere uscite, diversi piloti frequentavano le ragazze del posto, alcune
delle quali molto carine, erano spie dei repubblicani e fornivano informazioni
sulle nostre identita' al servizio di spionaggio che pertanto conosceva
i nostri nomi. In uno dei frequenti interrogatori cui ero sottoposto al
"Carcel Modelo", all'atto di sottoscrivere il verbale, distrattamente
firmo con il mio vero nome. Il fatto di aver dichiarato il falso e di non
aver "collaborato" e' sufficiente per condannarmi a morte, senza processo
e senza che ne fossi messo al corrente. Una sera chiedo una sigaretta ad
una guardia carceraria che sta passando vicino alla finestra della mia
cella e questa mi confida imbarazzata che per il giorno dopo alle sei di
mattina era stata comandata di guardia. Nel linguaggio carcerario vuol
dire che era stata fissata la mia esecuzione. Passai la notte insonne.
Poco prima delle sei sento la guardia avvicinarsi alla cella, gira la chiave
nella toppa ma la porta non si apre. Sento che vengono aperte altre celle
e diversi prigionieri spagnoli spinti fuori tra grida strazianti e fatti
salire su un autocarro militare. Passano dei minuti terribili convinto
che le guardie tornino con la chiave giusta, ma nulla accade e l'autocarro
parte con il misero carico umano. Dopo circa due ore l'autocarro torna
vuoto ed immagino che la guardia che mi aveva annunciato l’esecuzione
mi abbia giocato uno scherzo di cattivo gusto.
La liberazione
Il 20 luglio 1937 vengo chiamato
con gli altri tre piloti, Cenni, Pesce e Bandini con i quali ho condiviso
i lunghi mesi trascorsi nel carcere. Le chiamate sono sempre motivo di
apprensione ma questa volta un tenente spagnolo ci conduce al porto di
Valencia e veniamo affidati ad un emissario della Croce Rossa Internazionale.
Questo voleva dire la liberta'. Attendiamo per qualche ora in porto una
telefonata che confermava il rilascio dei prigionieri repubblicani scambiati
con noi che doveva avvenire in una localita' situata sul confine nord-ovest
tra Spagna e Francia. Veniamo imbarcati su una nave ospedale britannica,
il "Maine", che si trova in porto ed ha destinazione Marsiglia. La nave
ha ritardato la partenza per attendere l'esito della trattativa e dopo
una breve navigazione, approda a Marsiglia, dove ci riceve il magg. Tarcisio
Fagnani che conosce tutti e quattro e conseguentemente puo' confermarne
la nostra identita' alle autorita' italiane. Il maggiore e' il Comandante
di Squadriglia che a Torrijos mi aveva "punito" per aver ribattuto alle
accuse del ten. Larsimont che mi accusava di aver utilizzato e danneggiato
il "suo" velivolo. Lascio cosi' definitivamente la Spagna con al mio attivo
5 velivoli "individuali" abbattuti, dei quali uno non riconosciuto (da
Dequal) e 4 velivoli "collettivi" abbattuti. L'accoglienza e' calorosa
ed e' occasione per festeggiare la liberazione in un ristorante francese.
Da Marsiglia il viaggio continua per Roma dove il nostro gruppo di reduci
viene ospitato nel suntuoso albergo "Azeglio", vicino al Ministero dell'Aeronautica.
Dopo un breve permesso per visitare la mia famiglia a Napoli e consegnare
una lettera alla moglie del maggiore dell'Esercito che era "sicuro" di
essere prescelto per lo scambio di prigionieri, resto a disposizione del
Ministero dell'Aeronautica a Roma per gli interrogatori di rito. Prima
di rientrare a Gorizia vengo ricevuto da Mussolini insieme a Cenni, Pesce
e Bandini. Mussolini si congratula con tutti noi, ci consegna una foto
con autografo e si rivolge al Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica,
generale Valle, dicendogli di proporre tutti noi quattro per la Medaglia
d'Argento al Valore Militare. Diverso tempo dopo, Corsi, al rientro dalla
sua prigionia in Spagna, mi consegna uno dei volantini che erano stati
lanciati dopo la mia cattura e che aveva custodito con cura. Mi racconta
inoltre che un alto funzionario della Croce Rossa Internazionale gli aveva
confidato di esser riuscito a salvare poche ore prima della fucilazione
un certo Chianese, pilota della Cucaracha. Dopo lunghe trattative con la
Croce Rossa, quattro piloti italiani, Cenni, Pesce, Bandini e Chianese
erano stati scambiati con tre piloti repubblicani, Giuseppe Krizaj, Juan
Olmos Genoves e Jose' Bastida Porros.
Giuseppe Krizaj
Giuseppe Krizaj, nato a Capriva del Carso
e residente ad Aidussina (oggi Ajdovscina -Slovenia), era un mio compagno
durante il corso Allievi Sottufficiali Piloti di Complemento di Capua.
Dopo il conseguimento del brevetto di pilota militare non era stato "raffermato"
e congedato, sembra per le sue frequentazioni ad Aidussina con cittadini
sloveni irredentisti. L'Aeronautica Militare, come di consueto in questi
casi, provvedeva a mantenere valido il brevetto dei piloti congedati, facendosi
carico delle spese per l'effettuazione delle ore minime di volo annuali,
presso gli Aeroclub della R.U.N.A. Krizaj aveva scelto di effettuare le
ore di volo a Campoformido, dove utilizzava un AS1, un aereo leggero di
proprieta' dell'Aeroclub. Il 25 giugno 1932, si impossessa del velivolo
della Scuola di Volo e fugge a Lubiana (Ljubljana - Slovenia) e, alcuni
anni piu' tardi, dopo varie vicissitudini, allo scoppio della guerra civile
spagnola, si arruola come volontario nelle file dei Repubblicani e si reca
all'aeroporto di Barajas, dove si e' costituita la Squadriglia Espana.
Viene assegnato al Nieuport 52, caccia adibito alla scorta dei
bombardieri. Partecipa alle azioni
su Siguenza, Toledo e Talavera de la Reina. L'11 settembre '36, a Talavera,
Krizaj ai comandi di un Nieuport 52 in coppia con un Dewoutine, viene intercettato
da due Fiat CR32 dell'Aviazione Legionaria pilotati dal tenente Franceschi
e dal sergente Magistrini, compagni di Krizaj durante il corso di Capua.
Colpito da Magistrini al radiatore e' costretto ad un atterraggio di fortuna
fra Talavera e Madrid ma esce indenne e subito ritorna alla Squadriglia.
Il 15 ottobre '36, in una missione di scorta con un Dewoitine D 371, si
scontra su San Martin de Valdeiglesias con tre CR.32. Morato gli colpisce
il serbatoio e l'aereo precipita in fiamme. Si lancia col paracadute e
ferito, finisce nelle linee nemiche. Catturato e portato all'ospedale di
Talavera viene curato e poi trasferito nel carcere di Salamanca. A Talavera
riceve la visita di Bonomi e Muti. Quest'ultimo che aveva la fama di usare
modi non molto diplomatici, sembra si sia tolto qualche
soddisfazione con il Krizaj che
"allevato" dall'Aeronautica Militare Italiana era poi passato al nemico.
Insieme a Franceschi e Magistrini decidiamo di andare a trovare il vecchio
compagno in ospedale a Talavera ma il militare spagnolo di guardia alla
sua stanza ci informa che sta dormendo ed e' meglio non disturbarlo. Lo
vediamo dalla porta socchiusa ed effettivamente sembra addormentato e malconcio.
Abbiamo avuto l'impressione che fosse stato malmenato e che, forse imbarazzato
dalla visita degli ex colleghi, fingesse di dormire. Il 29 luglio 1937,
dopo nove mesi di prigionia, Krizaj verra' scambiato con Cenni, Pesce,
Bandini e me.
Gino Passeri
Rientrato in Italia ho saputo della
morte delll'amico Gino Passeri. Di lui si diceva che alcuni superiori e
colleghi insinuavano che non dimostrasse abbastanza coraggio durante i
combattimenti mentre, probabilmente si doveva esser trovato in situazioni
nelle quali era molto piu' saggio non confrontarsi con un nemico in forze
preponderanti. Cio' deve averlo condizionato ed il 7 luglio 1937 in un
combattimento sul cielo di Madrid tra l'Asso di Bastoni ed una formazione
nemica 30 velivoli, affronta da solo tre aerei nemici, ne abbatte uno e,
rimasto gravemente ferito riesce a riportare l'aereo alla base ma dopo
l'atterraggio si accascia sui comandi. Viene trovato dai soccorritori privo
di vita. Per questa azione gli viene conferita la Medaglia d'Oro al Valor
Militare. La sua salma viene trasportata al cimitero Grinon, Campicello
"Glorieta".
Mathis e Baschirotto al Raduno di Genova
Nel 1939 in occasione di un Raduno a Genova
dei piloti legionari che parteciparono alla Guerra Civile Spagnola, c'e'
anche Mathis, il pilota del Ro37 che il 2 dicembre 1936, mentre cercava
di localizzarmi ebbe un'avaria motore che lo costrinse ad un atterraggio
di fortuna. Porta ancora ben visibili i segni delle gravi ferite
causate da quella azione. Mathis mi saluta e sorridendo esclama: "Guarda
come mi sono ridotto per tentare di salvarti!". C'e' anche Baschirotto
ed e' un'occasione per ricordare l'ultimo mio volo, quando con lui da mio
gregario, mi sono lanciato e sono stato fatto prigioniero. Non gli nascondo
il mio disappunto in merito alla sua decisione di rientrare subito al campo
per informare il Comando dell'incidente occorsomi. Se fosse rimasto a circuitare
sopra di me mitragliando i pochi soldati repubblicani che erano ancora
lontani, sarei riuscito a raggiungere le linee amiche che distavano circa
sei chilometri ed avrei evitato otto mesi di dura prigionia ed il
rischio della fucilazione. L'incidente
era avvenuto pochi minuti dal decollo, il serbatoio era quasi pieno ed
aveva almeno due ore di autonomia che gli avrebbero consentito di "scortarmi"
fino al campo, su un terreno oltretutto libero da truppe nemiche.
Il ritorno a Gorizia
Rientrato a Gorizia dalla O.M.S.
Operazione Militare Spagnola, mi viene assegnato un periodo di meritato
riposo. Il 6 novembre 1937 il Duca d’Aosta convoca presso la Palazzina
Ufficiali tutti i reduci della Spagna del 1° e 4° Stormo e dopo
una breve cerimonia in memoria dei caduti veniamo invitati ad un pranzo
al quale partecipano molti ufficiali superiori della Divisione Aquila.
Riprendo a volare il 13 novembre effettuando una missione a doppio comando
di ambientamento con il serg. Renzi sul CR30 e poi con il CR32. Il 6 dicembre
ha luogo sull'Aeroporto di Gorizia la cerimonia di commiato del duca Amedeo
d'Aosta che il 12 dovra' lasciare il Comando della Divisione Aquila in
quanto nominato Vicere' d'Etiopia. Il 4° Stormo e' stato sensibilmente
provato dall'Operazione Militare in Spagna, nuovi piloti da caccia devono
essere formati ed addestrati e di cio' veniamo incaricati noi "anziani".
La mia esperienza torna utile per perfezionare i giovani con poca esperienza
di "cacciatori" e le missioni di doppio comando, acrobazia e volo in formazione,
finta caccia, si intensificano.
L’incidente di Ronchi
In previsione della Manifestazione Aerea
sull'aeroporto di Furbara dell'8 Maggio 1938, in occasione della visita
del cancelliere tedesco, i vertici dell'Aeronautica decidono di includere
un'esibizione acrobatica di una "super" formazione composta dalle pattuglie
acrobatiche dei famosi Stormi, 1°, 4°, 3° e 6°. Partecipo
agli allenamenti che cominciano un mese prima sull'aeroporto di Ronchi.
I velivoli vi giungono in volo da Campoformido, ove e' di base il 1°
Stormo, e da Gorizia il 4° Stormo. Il 3° e 6° Stormo sono rischierati
(trasferiti) per l'occasione sull'aeroporto di Gorizia. Il 13 aprile tutte
le Squadriglie atterrano a Ronchi ed il cap. Aldo Remondino tiene il briefing
sulle manovre da eseguire. Per ogni Stormo c'e' uno specialista che interviene
per le normali operazioni di assistenza tecnica. Per il 4° Stormo c'e'
il serg. Enzo Vosca, che giunge direttamente da Gorizia su un Ca 100 pilotato
dal serg. Vittorio Romandini. Quel giorno Romandini, che doveva essere
il gregario esterno di destra di Remondino, non si sente molto bene
ed e' sostituito da un collega. Poiche' si effettuano due missioni al giorno,
tra l'una e l'altra i velivoli vengono controllati e riforniti di liquido
al radiatore, il CR32 consuma parecchia "acqua". Di carburante non ce n'e'
bisogno grazie alla capacita' dei serbatoi. La "super" formazione, formata
da ben 28 velivoli CR32 e' composta da 4 pattuglie di 7 velivoli ciascuna
ed e' comandata da Remondino che dopo la guerra diventera' Capo di Stato
Maggiore. Io sono il gregario "esterno" sinistro della pattuglia di Remondino.
Guidare una simile formazione sarebbe un'impresa eccezionale oggi, figuriamoci
per quei tempi con dei velivoli senza radio, con poca potenza e con l'effetto
"coppia dell'elica" che li rendeva instabili, richiedendo un incessante
lavoro di "pedaliera" ad ogni variazione di potenza e velocita’. E' una
bella giornata, sull'aeroporto di Ronchi la formazione di 28 velivoli si
sta allenando, le quattro pattuglie sono disposte a "rombo". La pattuglia
del 4° Stormo, comandata da Remondino guida la formazione. Alla sua
sinistra ed alla sua destra, leggermente indietro, le pattuglie del 1°
e 3° Stormo. Dietro, a chiudere la formazione a rombo, la pattuglia
del 6° Stormo. Tutto va bene fino all'esecuzione del looping. Remondino,
in testa alla formazione, sorvola il Carso da Est verso Ovest ed inizia
una picchiata per prendere velocita', puntando l'aeroporto di Ronchi. Sorvola
l'aeroporto a circa 80 metri ed in fondo al campo comincia a cabrare per
ripetere una manovra gia' provata in precedenza. Quando
la formazione ha superato la posizione verticale e manca poco alla sommita'
della manovra, a circa 300 metri, la pattuglia del 1° Stormo, al comando
di Brambilla, si avvicina a quella di Remondino (4° Stormo). Mascellani,
gregario esterno destro della pattuglia di Brambilla, viene "spinto" conseguentemente
verso destra ed e' oramai a pochi metri da me che sono il piu' esterno
sulla sinistra di Remondino. Brambilla se ne rende conto e per correggere
ha uno scarto a sinistra. Bruno di Montegnacco, suo gregario di sinistra,
che volava molto "stretto", ala dentro ala, non riesce ad evitare la collisione.
Ne' io ne’ gli altri piloti ci accorgiamo immediatamente di quello che
sta avvenendo perche' siamo impegnati a mantenere la formazione ed ognuno
tiene la testa girata lateralmente con l'occhio incollato al suo leader.
Nel frattempo siamo gia' in volo rovescio, a testa in giu', e Remondino,
che ha notato con la coda dell’occhio la collisione, istintivamente si
sposta a destra ed entra in collisione con Renzi che a sua volta investe
il velivolo alla sua destra. Tonello, Montanari ed io ci troviamo in mezzo
al "caos" ed e' un miracolo che non ci investiamo l’un l’altro. Sono ancora
rovescio e con il muso verso il basso. Con tutto motore "dentro" mi giro
e, con il timore di entrare in collisione da un momento all’altro, cabro
violentemente per "tirarmi fuori" al piu' presto dalla baraonda di velivoli
impazziti. La formazione si "rompe" ed i velivoli "schizzano" in tutte
le direzioni. Brambilla si lancia con il paracadute mentre di Montegnacco
ritarda il lancio per tentare di riprendere il controllo del velivolo ma
quando lo fa e' troppo tardi, e tocca il suolo con il paracadute non completamente
aperto e muore nell'impatto. Sempre a testa in giu', intravedo dei rottami
che volano e riesco a scorgere la scena dei due velivoli gia' a terra,
avvolti dalle fiamme. Gli specialisti che attendevano il rientro dei velivoli
sono sotto un'improvvisata baracca di legno che serve da riparo e con l'orecchio
allenato sentono subito dalle "smotorate" che qualcosa di grave sta accadendo
ed immediatamente si precipitano fuori. I due velivoli sono gia' a terra
in fiamme. Brambilla sta per toccare terra col paracadute mentre di Montegnacco
si e' gia' schiantato con il paracadute non completamente aperto. Remondino
atterra poco dopo con il velivolo seriamente danneggiato. Fra i primi a
prestare soccorso c'e il famoso pilota collaudatore dei Cantieri aeronavali
di Monfalcone, Mario Stoppani, che porta ancora i segni delle ustioni a
seguito dell'incidente in Atlantico nel quale aveva perso la vita un altro
famoso pilota del 4° Stormo, il cap. Mario Viola, con il quale partecipai
alla esibizione della Pattuglia Acrobatica a Budapest nel 1936. I velivoli
della formazione oramai scomposta rientrano "sciolti" all'aeroporto di
Gorizia e Campoformido dove immediatamente gli specialisti intuiscono il
dramma. Con la perdita di Bruno di Montegnacco il 4° Stormo perde uno
dei piu' valorosi piloti. Il diario di guerra della Spagna, pubblicato
dopo la morte, mi sara' dato in suo ricordo con la dedica della famiglia.
L'incidente di Franco Comelli
Il ten. Franco Comelli e' anche lui della
91^ Squadriglia e l'8 luglio 1938, si trova nell'aeroporto di Foligno.
Dopo aver pranzato con dei colleghi, sale sul CR32, mette in moto e decolla
per rientrare a Gorizia. Poco dopo la fine del campo, con il sole di fronte,
non scorge un traliccio dell'alta tensione e lo investe in pieno. Comelli
era decorato di medaglia di bronzo e d'argento meritate durante la Campagna
di Spagna, dove aveva conseguito due abbattimenti. La sua salma viene trasportata
a Gorizia, le esequie vengono officiate nella chiesa di San Giusto e sepolto
nel cimitero vicino all'aeroporto. Un CR32 scolpito sulla lapide lo ricorda
ai suoi concittadini.
In volo con il ten. Visintini
Il 31 marzo 1939, decollo da Gorizia
con un bimotore da trasporto Caproni CA133 con destinazione Grottaglie,
insieme al ten. Mario Visintini che ha funzioni di capo equipaggio, al
serg. motorista Moro ed al 1° aviere montatore Arino. Le missioni prevedono
il trasporto di truppe in Albania e giunti a Grottaglie vengono pianificati
alcuni voli di ambientamento. Il 3 aprile, con il CA133 decolliamo da Grottaglie
e puntiamo su Gallipoli. Nel porto e' ormeggiato il sommergibile Scire'
utilizzato come "avvicinatore" per le azioni dei mezzi d'assalto detti
"maiali" e sul quale e' imbarcato il fratello di Visintini, pilota di uno
di questi mezzi e che perderà la vita a Gibilterra il 7 dicembre
1942. Quando si distingue la sagoma del sommergibile, Visintini inizia
a scendere per effettuare una "puntata". Assisto in silenzio ma quando
mi rendo conto che il tenente e' troppo basso, prendo i comandi e "tiro".
Il tenente non "gradisce" l'intervento ma "l'incidente" si chiude li. L'8
aprile effettuiamo il volo da Grottaglie a Tirana, sbarchiamo i militari
e rientriamo a Grottaglie senza incontrare difficolta'. Il 10 aprile decolliamo
nuovamente con
destinazione Tirana. Giunti in prossimita'
della costa albanese le nubi sono molto basse e coprono le montagne. In
una situazione del genere la scelta d'obbligo e' una sola e cioe' invertire
rotta e rientrare.. Visintini comunica invece all'equipaggio che intende
proseguire ed entra nelle nubi. Il motorista che e' seduto dietro comincia
ad agitarsi e strattonarmi sulla spalla per farmi capire di convincere
Visintini a desistere. Provo a sollevare delle obiezioni ma alla fine visto
inutile ogni tentativo, rivolto a Visintini, esclamo: "Ho io i comandi,
si torna indietro!". La reazione di Visintini questa volta e' abbastanza
forte e minaccia di deferire alla Corte Marziale me ed il resto dell'equipaggio
per "ammutinamento" ma comunque "lascia fare". Essendoci a bordo sufficiente
carburante si decide unanimamente di dirigere su Gorizia costeggiando l'Albania
e la Jugoslavia, mantenendoci sempre sotto lo strato di nubi. Giunti in
prossimita' di Parenzo, paese natale di Visintini, riprende i comandi e
si
abbassa per effettuare delle "puntate"
sulla sua casa. Si ripete la situazione verificatasi su Gallipoli ed anche
questa volta volano minacce nei miei confronti. Atterrati a Gorizia, mi
metto a rapporto dal comandante di Squadriglia cap. D’Agostinis e quest'ultimo
chiama Visintini, gli fa una lavata di capo e conclude con un " … guai
a te se provi un'altra volta ad entrare nelle nubi!". Scoppiata la Guerra,
Visintini viene inviato in Africa Orientale dove si fa onore abbattendo
16 velivoli nemici che gli fanno guadagnare la Medaglia d'Oro al Valor
Militare. Nel '41, nel tentativo di rintracciare l'amico serg. Gino Baron,
finisce contro una montagna. Il fratello, tenente di vascello Licio Visintini,
incursore dei mezzi d’assalto subacquei della X^ flottiglia MAS , caduto
a Gibilterra, verra' insignito pure lui di Medaglia d'Oro al Valor Militare.
Il MC200 ed il CR42
Il 19 agosto1939 effettuo a Lonate
Pozzolo - Varese, il passaggio sul nuovo Mc200. Questo velivolo e’ stato
assegnato al 4° Stormo per ammodernare la linea di volo ma le sue caratteristiche
che lo portano ad entrare facilmente in "autorotazione" durante le virate
a bassa velocita', fanno si' che i piloti chiedano ed ottengano la sua
sostituzione con il CR42. Verra' cosi’ effettuato uno "scambio" con il
54° Stormo di Treviso, cui vengono ceduti i Mc200. In agosto sono pertanto
a Lonate Pozzolo per la consegna dei primi Mc200 insieme a D'Agostinis,
Romandini, Corsi; fra gli specialisti incontro l'amico Vosca. E' il primo
aereo con carrello retrattile e flaps e dopo un corso sugli impianti e
sulle caratteristiche, assistiamo alla presentazione in volo da parte del
famoso collaudatore Carestiato. Il Mc200 e' in versione monoposto e pertanto
dopo le debite istruzioni, si decolla da soli. Osservando le manovre effettuate
con disinvoltura dall’abile collaudatore, il velivolo sembra avere delle
prestazioni eccezionali ma quando siamo in volo, ci rendiamo subito conto
che non e' proprio cosi' e ci sono alcune difficolta' di pilotaggio. L'atterraggio
e' alquanto critico, se si prova toccare terra "sui tre punti", l'aereo
tende a sprofondare violentemente ed una qualsiasi manovra un po' brusca
sui comandi fa entrare in "autorotazione". Romandini proprio per queste
difficolta', abituato al CR32 che non aveva i flaps e pertanto arrivava
con il "muso alto", invece di continuare con il "muso basso" fino a terra,
qualche metro prima richiama e "cade d'ala" danneggiando seriamente un
velivolo. Corsi ha invece difficolta' perche' e' troppo brusco sui comandi
e non riesce a completare i primi looping, il velivolo gli entra in "autorotazione".
Il problema del Mc200 e’ causato dal profilo delle estremita’ alari che
provocano un prematuro stallo di quest’ultime alle basse velocita’ o sotto
forti accelerazioni con conseguente perdita di controllo laterale degli
alettoni. Dopo le prime versioni di velivoli nate male, le serie successive
verranno modificate e l’inconveniente eliminato. Prima della partenza a
tutti noi viene fatto omaggio di un modellino metallico del Mc200 che ancora
oggi conservo. Nel frattempo e' stato deciso lo scambio dei Mc200 con il
CR42 e cosi' l'8 settembre decolliamo da Lonate Pozzolo per Treviso dove
"consegnamo" i velivoli appena usciti dalla fabbrica. Dopo l’infelice esordio
del Mc200, il 16 settembre, effettuo il passaggio sul CR42. Nel 1936, poco
dopo il mio rientro dalla Spagna, avevo conosciuto una ragazza, Beatrice
Pian. Era la figlia del proprietario del locale da ballo e del cinema che
siamo soliti frequentare noi piloti e che si trova proprio al centro della
piccola piazza di Fogliano. Nel dicembre 1939 ci sposiamo e nel novembre
del 1942, in piena guerra, avremo un figlio. Diverra' anche lui pilota
e poi comandante della Compagnia di Bandiera, l’Alitalia.
La Guerra e la partenza per l'Africa
Settentrionale
La guerra inizierà il 10
giugno 1940, ma già’ il 5 giugno arriva l'ordine di partenza per
l'Africa Settentrionale. Il volo di trasferimento presenta non poche difficolta':
percorso su distanza ragguardevole, situazione meteorologica sfavorevole,
lungo tratto di mare. Vengono scelti i piloti piu' anziani ed esperti e
cosi' il 7 giugno, insieme al s.ten. Luigi Giannella decollo con un Ca133
da Gorizia e dopo 3 ore e 25 minuti arriviamo a Foggia. Il giorno successivo
facciamo Foggia, Grottaglie, Catania. Il 9 giugno ci aspetta la traversata,
dopo lo scalo a Comiso in 3 ore di volo giungiamo a Tripoli Castel Benito.
L'11 giugno ripartiamo, Castel Benito, Nadi Tamet, Bengasi ed infine, il
12 giugno, Bengasi, Tobruk - T2. Le missioni dei nostri CR42 consistono
principalmente nella ricerca ed attacco alle autoblinde inglesi. I primi
giorni la caccia avversaria e' poco agguerrita gli scontri sono poco frequenti.
L'8 agosto in uno scontro tra 16 CR42 e 27 Gladiator perdiamo 7 dei nostri
e tra questi l'amico Renzi del quale non si trovera' piu' il corpo. Il
19 giugno, in un'altro combattimento scompare colui che era il mito del
4° Stormo: Ugo Corsi. Il suo velivolo finisce in mare ed anche di lui
si perdera' ogni traccia. Il 28 giugno sono sul campo Tobruk-T2 ed assisto
all'attacco aereo dei quindici bombardieri inglesi Blenheim ed al successivo
abbattimento del S79 di Balbo. Quest'ultimo si presenta, insieme ad un
altro S79 con a bordo il gen. Porro, subito dopo l'attacco inglese, provenendo
dalla stessa direzione degli attaccanti e senza aver effettuato il prescritto
giro di riconoscimento. Le difese a terra si aspettavano un secondo passaggio
dei bombardieri inglesi e, quando un inserviente alla contraerea apre incautamente
il fuoco, si scatena l'inferno e l'aereo di Balbo diventa una palla di
fuoco ed in pochi secondi precipita. L'aereo di Porro che era piu' indietro
ed alto, si abbassa e riesce ad evitare di essere colpito. Da quando siamo
giunti a Tobruk, l’alimentazione, la situazione igienica ed il caldo torrido
contribuiscono a debilitare il fisico. Il 29 luglio, mentre sono in volo,
perdo i sensi e mi distacco dalla formazione iniziando a perdere
quota. Il resto della formazione mi segue pensando che abbia individuato
un bersaglio. Vicino a terra riprendo i sensi e rientro alla base. Mi viene
riscontrato un forte deperimento organico e messo a terra. Il 18 agosto
rientro a Gorizia per essere curato.
A Gorizia alla Scuola Addestramento
Caccia
Ripresomi dalla malattia, mi presento
a D’Agostinis e chiedo di ritornare con il mio reparto in Africa. Mi risponde
che a Gorizia servono istruttori per i nuovi piloti e che avevo già’
dato il mio contributo in Spagna. Vengo trattenuto a Gorizia ed incaricato
dell'addestramento dei nuovi piloti sul CR32 alla Scuola Addestramento
Caccia Terrestre, II Reparto. Qui incontro il mio amico Mario Bandini che,
ferito in un combattimento per il quale gli e' stata conferita la medaglia
d'Argento al valor militare, è da poco rientrato dall'Africa Settentrionale.
Il 16 giugno 1940, su El Adem, Bandini aveva incontrato sei Blenheim che
rientravano da un bombardamento sul campo T.3 di Tobruk. Portatosi in coda
ad uno di essi, lo mitraglia finche' non lo vede abbattersi al suolo ma
viene a sua volta ferito seriamente al braccio sinistro da un caccia nemico
che gli si e' "incollato" in coda. Nonostante il sangue perduto e la ferita
che gli impedisce di fare uso del braccio, Bandini rientra ed atterra a
Tobruk. Per questa azione gli verra' conferita la medaglia d'argento al
V.M. La Scuola e' comandata da Ernesto Botto mentre Vittorio Pezze' comanda
il Reparto Volo.Pezze' e' friulano, nato a Udine nel 1915. Il fratello
Piero (1913-1980) e' un noto compositore di violino le cui opere sono state
ricordate recentemente in "Le Arti a Udine nel '900". Pezze' viene contagiato
dalla passione per questo strumento musicale che coltivera' negli anni.
Giunge al 4° Stormo da pilota di complemento nel dicembre 1933 è
assegnato alla 96^ Squadriglia dove ben presto le sue doti di pilotaggio
sono subito evidenti. Congedato nel 1934 viene poco dopo richiamato in
servizio effettivo ed entra a far parte della 73^ Squadriglia. L'esordio
acrobatico di Pezze' avviene il 28 marzo 1936 quando gli viene affidato
il comando della Pattuglia del 4° Stormo, formata dalla 73^ Squadriglia
(Moscatelli, Viola, Montanari, Pezzè, Renzi) e dalla 91^ (Rossi,
De Prato, Chianese, Romandini, Castelletti, Giacchetti), in occasione del"4°
giorno dell'Ala" sull’aeroporto di Ciampino, dove ci esibiamo alla presenza
delle massime autorita' italiane e straniere eseguendo un programma di
figure acrobatiche con due formazioni di cinque velivoli. Comanda successivamente
la Pattuglia Acrobatica alle manifestazioni di acrobazia aerea del 1936
a Budapest (alla quale partecipo pure io), del 1937 a Zurigo, del 1938
a Belgrado e del 1939 a Berlino. Con Gorizia i sui legami si rinsaldano
ulteriormente quando sposa la goriziana Tudor. Lo ricordero' sempre come
un abile edi instancabile pilota. Era un gran manico ed un ottimo istruttore.
Lamberto Del Moro, uno degli ultimi piloti giunti alla Scuola Caccia nel
1942 a Gorizia e che risiede ancora nella nostra citta', e' stato suo allievo
e lo ricorda come un uomo tranquillo e riservato che aveva un talento istintivo
per il volo: " ... in volo aveva la serenita' e la calma dei grandi piloti
...". Alla Scuola Addestramento Caccia c’e un anche il maresciallo, Albino
Cagliari, un "anziano" e pluridecorato pilota che si e' fatto onore in
Cirenaica. Arrivato nel 1934 al 21° Stormo da Ricognizione, nel 1936
transita al 4° ed assegnato alla 97^ Squadriglia. Data la sua esperienza,
viene richiesto da Pezze' al Nucleo di Addestramento dello Stormo. Per
la sua grinta dimostrata in Cirenaica, lo chiamano "Il diavolo del deserto".
Un giorno mi vengono affidati due allievi di Bandini e la missione prevede
di effettuare "anche" delle "file indiane". Chiedo loro se gia' conoscono
la manovra ed andiamo in volo con tre CR32. Guido la "fila indiana" e li
tengo d'occhio. Imposto un looping e l'allievo che e' in coda commette
un errore fatale. Invece di tenere il velivolo che gli sta avanti piu'
in "alto", stringe troppo e conseguentemente lo perde di vista investendolo.
La collisione e' violente ed i velivoli si disintegrano. Il pilota investito
rimane incastrato tra i rottami e precipita con l'aereo. L'investitore
si salva lanciandosi con il paracadute. Alla Scuola l'attivita' di volo
e' intensa, si "macinano" ore su ore di volo e si prende grande confidenza
con il velivolo. La versione da addestramento biposto del
CR32, il CR30, si presta bene per
la manovra da me sempre la preferita, il volo a "coltello". Un giorno,
con un allievo in addestramento nel posto anteriore, prendo i comandi.
Acquisto velocita' con la solita affondata e passo a tutta velocita' davanti
agli hangar del 4° Stormo inconfigurazione a "coltello". Dopo 200-250
metri, quando la velocita' comincia a decrescere e l'aereo a sprofondare
verso terra, vado per raddrizzarlo con la pedaliera. Un attimo di terrore
mi gela il sangue: la pedaliera e' bloccata! Era gia' successo in altre
occasioni ma a quota di sicurezza, il tacco della scarpa dell'allievo si
era incastrato tra la pedaliera ed una lamiera sporgente del pavimento.
Raddrizzare con l'alettone e' un suicidio poiche' finirei a terra dalla
parte del timone bloccato. Per mia fortuna non perdo mai la calma in questi
frangenti. Spingo ancora di piu' la pedaliera dalla parte che e' incastrata
e riesco a sbloccare il tacco dell'allievo. Anche questa volta e' andata
bene!
Pure l'abilissimo Pezze' ogni tanto
passa a bassa quota a "coltello" ma non riesce a percorrere la mia distanza
ed "abilmente" conclude con una manovra spettacolare: chiude con una virata
passando in mezzo a due hangar, con la punta dell'ala piu' bassa degli
stessi. Solo Carestiato riesce a fare la mia stessa manovra con il CR32!
L'8 settembre
L'8 settembre 1943 a Gorizia, come
del resto ovunque, gli ordini arrivano confusi o meglio non arrivano affatto.
Diversi ufficiali non danno un grande esempio ai subalterni e si dileguano.
Il comandante dell'Aeroporto e' il colonnello Botto, divenuto famoso per
i suoi combattimenti in Spagna ove perse una gamba e soprannominato "Gamba
di Ferro". Bandini ed io che abbiamo molta fiducia in Botto gli chiediamo
consiglio sul da farsi. Il colonnello e' ottimista ci tranquillizza: "Conosco
bene il generale Kesserling, vi faro' avere un permesso e ve ne tornerete
a casa". Poco dopo lo incontriamo in Corso Italia mentre scende dalla macchina
e si avvia verso il Caffe' Garibaldi. Lo fermiamo per avere notizie ma
infastidito ci liquida con poche parole: "Ragazzi non ho tempo. Ho un appuntamento
con una signora". Rimaniamo allibiti, una simile risposta da una personalita'
carismatica come lui che aveva la fama dell'eroe non ce l'aspettavamo proprio.
Delusi, ci ripromettiamo di riferire ai nostri superiori quanto abbiamo
sentito, sempreche' si presenti l'occasione opportuna. Botto piu' tardi,
in una trasmissione alla radio, lancera' un appello alla Nazione ed in
particolare ai piloti per unirsi in difesa dei bombardamenti anglo-americani.
I tedeschi nel frattempo affiggono sui muri della citta' dei manifesti
che sollecitano i militari italiani a presentarsi presso i loro Comandi,
minacciando gravi ritorsioni per chi non ottemperasse all'ordine. Seppure
con qualche titubanza, Bandini ed io, decidiamo di presentarci. I tedeschi
ci inviano all'aeroporto di Aviano e qui, alle sollecitazioni di combattere
al loro fianco, rispondiamo che intendiamo attendere che si formi il nuovo
Governo Repubblicano per poi aderire alla nuova Aeronautica. I tedeschi
ci chiedono di far parte nel frattempo del Gruppo Trasporto Velivoli e
veniamo pertanto inviati nuovamente a Gorizia dov'e' il centro di raccolta
per il trasferimento in Carinzia (Austria) dei velivoli civili e militari
requisiti, dai Nardi FN 305 ed Avia FL3 ai Ca 100, CR32, CR42, Mc200 ed
Mc202. Veniamo alloggiati nella palazzina ufficiali, quella che oggi e'
sede della Guardia di Finanza. Con me ci sono Montanari, Bandini, Romandini,
Zorn, Gusso ed alcuni piloti del corso Vulcano, giunti da poco dall'Accademia
e tra i questi il s.ten. Ettore Erasmo di Valvasone. C'e' anche il ten.
Giovanni Pittini, un friulano che passera' al 1° Gruppo Caccia di Campoformido.
Dopo alcuni mesi perde la vita in un banale incidente Romandini, un pilota
che aveva superato le prove piu' difficili. E' tra i primi piloti giunti
a Gorizia, ha fatto parte della Pattuglia Acrobatica alle manifestazioni
di Budapest nel 1936 e 1937, a Belgrado nel 1938. Durante un trasferimento
di un Nardi FN305 da Rimini a Gorizia, in coppia con Montanari, incontrano
la nebbia. Montanari torna indietro mentre Romandini prosegue da solo.
Forse a causa della scarsa visibilita' o ad un avaria e' costretto ad un
atterraggio di fortuna nelle campagne di Pellestrina, Chioggia. Non si
avvede di un fosso che delimita il campo prescelto per l'atterraggio e
nell'impatto rimane gravemente ferito. Soccorso da due tedeschi, nonostante
le condizioni disperate e con fratture al volto ed emorragie interne, viene
estratto e trascinato morente per cinquecento o seicento metri attraverso
i campi, fino alla piu' vicina strada. Decede all'ospedale di Chioggia
il 13 novembre 1943 e li' viene sepolto. Solamente nel 1997, alla morte
della moglie i suoi resti verranno traslati nel cimitero di San Lorenzo
ove riposano insieme. Alcuni mesi dopo la morte di Romandini, la vedova
Ludovica Musina, con la figlioletta Liliana di due anni, torna nella casa
dei genitori a San Lorenzo e lascia l'appartamento di Corso Italia n.79
(oggi n.205). Dalla casa di via Brigata Casale, nella quale ero andato
ad abitare appena sposato, mi trasferisco nell'appartamento lasciato dalla
signora Romandini, situato al secondo piano di un elegante palazzo in stile
austriaco di proprieta' dei Viatori, famiglia benestante di origine slovena
che gestisce l'omonima panetteria di via Duca d'Aosta. Sotto di noi abita
la famiglia Crali ed il loro figlio, Tullio Crali, mio coetaneo, e' gia'
da tempo un noto pittore futurista. Lo conoscevo da prima poiche' lo vedevo
spesso in aeroporto in quanto amico di Botto. Crali che da giovane voleva
fare il pilota, non ha mai dimenticato la sua passione per il volo ed abitare
vicino ad un aeroporto come quello di Gorizia non poteva lasciarlo indifferente.
Ben presto frequenta l'ambiente dei piloti e grazie all'amicizia con Botto
ha occasione di effettuare diversi voli sul "biposto" CR30 della Scuola
Addestramento Caccia. I suoi quadri riveleranno molti particolari che solo
chi ha volato avrebbe potuto dipingere. Il mattino del 18 marzo 1944 lascio
l'aeroporto in bicicletta ed intorno alle 11.00 sono in corso Italia (allora
corso Vittorio Emanuele III) all'altezza del caffe' Garibaldi, quando sento
il rombo di una formazione in avvicinamento da Sud. Intravedo, nascosti
parzialmente dalle case, alcune dozzine, di bombardieri B24 che volano
ad una quota di circa duemila metri e stanno virando verso Est. Poco dopo
si sparge la voce che hanno bombardato l'aeroporto. Il primo pomeriggio
torno in aeroporto, i danni sono evidenti ma limitati. Sono stati colpiti
alcuni caccia impegnati nell'affrontare i bombardieri e che erano appena
atterrati per rifornirsi. Vengono invece danneggiati seriamente tutti gli
SM 79 del Gruppo Aerosiluranti "Buscaglia". Diversi aerei si salvano poiche'
prudentemente decentrati o in volo. Rimane ucciso il pilota s.ten. Folicaldi
ed alcuni specialisti. Tra i feriti, quattro piloti ed diversi specialisti.
Pesante e' invece il bilancio di perdite umane tra i civili, circa 150.
Ci sono molti morti tra gli addetti della TODT e una trentina tra i contadini
di Merna e paesi limitrofi. Sono stati sganciati spezzoni da 20 pound (10
kg) che non sono molto potenti ma micidiali se ci si trova all'aperto ad
una decina di metri dall'impatto. Dai documenti ufficiali inglesi risulta
che quel giorno una formazione di 280 bombardieri, partita da basi sulle
coste adriatiche si e' portata sull'Austria e poi, con un'azione diversiva,
si e' divisa in tre gruppi diretti su Lavariano, Maniago e Merna, rispettivamente
di 67, 121 e 72 velivoli. Secondo la mia impressione e la testimonianza
di colleghi, il numero di velivoli che hanno partecipato al bombardamento
di Gorizia, era inferiore. Il 9 agosto 1944, muore l'amico Zorn. Insieme
a Montanari ed ai giovani s.ten. Zucconi e di Valvasone erano partiti da
Gorizia una ventina di giorni prima con dei Saiman 202 e destinazione Innsbruck.
A causa delle condizioni meteo proibitive sono costretti a fermarsi per
tre settimane a Bolzano. Il 9 agosto ripartono e poco dopo vengono intercettati
da una pattuglia di P51 Mustang. I Saiman che volano molto bassi tentano
di disimpegnarsi infilandosi nelle vallate. Zorn e' colpito, tenta un atterraggio
di fortuna ma viene finito mentre sta per toccare il suolo. Quando il Governo
della Repubblica Sociale Italiana e' costituito Bandini ed io ci presentiamo
al Comando di Padova per aderire all'Aeronautica Militare della nuova Repubblica.
Da Padova veniamo poco dopo trasferiti a Desio ed assegnati al III Gruppo
Caccia della ANR (Aviazione Nazionale Repubblicana), comandato dal col.
Fernando Malvezzi, detto anche "Pel di carota" per il colore rossiccio
dei capelli. Veniamo accolti da Malvezzi che in modo molto crudo ci dice
che siamo "troppo vecchi" (33 anni, sic!). I combattimenti, quasi "suicidi",
contro le Fortezze Volanti americane che dispongono di una potenza di fuoco
formidabile, possono essere affrontati solo con l'incoscenza dei giovani.
Rimaniamo pertanto in forza al III Gruppo Caccia ma non partecipiamo ad
alcuna azione bellica, anche perche’ questo Gruppo non diverra' mai operativo.
Dopo alcuni giorni trascorsi a Desio, Bandini ed io chiediamo un permesso
per rientrare a Gorizia. Terminato il permesso la situazione nel Nord Italia
e' talmente caotica che il rientro diventa un'Odissea e pertanto ci presentiamo
a Desio con 5 giorni di ritardo. Al Comando veniamo redarguiti da un colonnello
che non accetta spiegazioni e minaccia di deferirci alla Corte Marziale
per diserzione. Veniamo cosi' inviati al Ministero dell'Aeronautica a Milano
e qui troviamo una vecchia conoscenza della Spagna, il col. Giuseppe Baylon
che ci tranquillizza e ci trasferisce a Lonate Pozzolo (Varese) alla Compagnia
Guardie presso l'Aeroporto Militare di Cameri. Per la prima volta possiamo
osservare da vicino i nuovi aerei tedeschi a reazione, Arado 234. Passano
alcuni mesi ed otteniamo un nuovo permesso per rientrare a Gorizia. I trasferimenti
si effettuano chiedendo passaggi a qualsiasi mezzo circolante ed e' cosi'
che giunti vicino a Gorizia, tra Mossa e Lucinico, il camion sul quale
viaggiavamo esce di strada e Bandini si frattura alcune ossa. Viene ricoverato
presso il seminario, adibito ad ospedale ed oggi sede dell'Universita'.
Scaduto la licenza, durante il viaggio di ritorno, nelle vicinanze di Verona,
vengo a sapere che gli americani sono gia' a Milano e cosi' decido di rientrare
nuovamente a Gorizia.
La fine della Guerra
A Gorizia arrivano i partigiani di Tito
e molti cittadini, soprattutto quelli che avevano incarichi nell’amministrazione
statale e comunale o nelle Forze Armate, lasciano la citta’ per rifugiarsi
nei paesi oltre l’Isonzo. In quei quaranta giorni di occupazione vengono
deportati circa 600 cittadini e di loro si perdera’ ogni traccia. Come
gran parte dei goriziani abbandono di tutta fretta la citta' e mi rifugio
nella grande casa dei suoceri a Sagrado, dove posso contare sull'aiuto
dei cugini di mia moglie che sono in buoni rapporti con i partigiani. I
primi giorni di maggio del 1945 a Sagrado giungono gli inglesi ed il 10°
Reggimento "Royal Ussars" della "First Armoured Division" si accampa nei
pressi dell'attuale campo sportivo. Il loro Comando requisisce un paio
di stanze della casa della famiglia Pian, i miei suoceri, per alloggiarvi
alcuni giovani ufficiali. Poco tempo prima la stessa casa era stata occupata
da ufficiali tedeschi. Mia cognata, una ragazza di 22 anni molto carina
e
simpatica, e’ subito al centro dell’attenzione
degli ufficiali inglesi e in poco tempo instaurano un rapporto di amicizia
e fiducia reciproca con tutta la famiglia. La guerra oramai volge alla
fine, gli animi cominciano a rasserenarsi e sulla terrazza mia cognata
organizza un ballo al quale partecipano tutti gli ufficiali, circa una
trentina, del reggimento. Vengo presentato al colonnello comandante del
Reggimento, mi qualifico e gli spiego la mia delicata posizione. Mi dice
di non preoccuparmi che oramai la guerra e’ finita, e’ questione di pochi
giorni. La presenza degli inglesi, che rimarranno a Sagrado fino ai primi
di settembre, mi evita i rischi che si correvano anche nei giorni seguenti
al termine ufficiale del conflitto. Due di questi ufficiali, i tenenti
Daniel Walker e Peter Walker, torneranno a Sagrado nel 1998 e con loro
grande sorpresa troveranno la casa dei Pian praticamente come l'avevano
lasciata 53 anni prima. Custodivano con cura ancora diverse foto scattate
allora con la nostra famiglia.
Il dopo guerra
Terminata la guerra vengo messo in "licenza
speciale in attesa di reimpiego" e "sfollato" nel 1949. Gli anni del dopoguerra
sono duri per tutti e quello che passa l'Aeronautica non basta. Per "tirare
avanti" ci si deve ingegnare e cosi' mi dedico al commercio del vino all'ingrosso
insieme al m.llo Rossi, specialista ed amico. Verso la fine degli anni
40 l'Arma Aeronautica deve riformare gli organici e servono piloti esperti
e quelli rimasti oramai si contano sulle dita delle mano. E' cosi' che
nel 1951 vengo "richiamato" dall'Aeronautica Militare, quale istruttore,
insieme a Bandini, per istruire le nuove leve di piloti. Lascio la famiglia
a Gorizia e parto per le Scuole di Volo, dove incontrero’ vecchi amici
come Pezze’ (Comandante della Scuola di Galatina), Avvico, Mascellani e
Squarcina. Mascellani diverra’ famoso nell’ambiente aeronautico per la
sua perizia acrobatica con il G59 e Squarcina comandera' prima la pattuglia
acrobatica dei "Diavoli Rossi" e poi nel 1961 dara' vita
alle "Frecce Tricolori". Il 24 luglio
comincio a volare sull’aeroporto di Brindisi con il T6. Dopo una breve
"ripresa voli" riprendo il lavoro di istruttore. Il 5 febbraio 1952 vengo
trasferito alla Scuola di Lecce e poco dopo comincio a volare con il G59,
una macchina dalle eccellenti prestazioni anche se alquanto impegnativo,
in gergo aeronautico "da naso". Il 31 ottobre 1952 Mascellani ed io veniamo
inviati con due G59 in Sardegna per "istruire" gli istruttori che cola'
operano. Facciamo scalo ad Amendola e ripartiamo il 2 novembre per Guidonia.
Il 3 dicembre "facciamo" Guidonia, Olbia, Elmas. Giunti ad Elmas scopriamo
che gli istruttori sono tutte nostre vecchie conoscenze che non hanno assolutamente
bisogno dei nostri consigli e ci rifiutiamo di "istruirli". Il 10 novembre
ci vengono allora assegnate due squadre, di tre allievi ciascuna, da addestrare.
Un giorno e' prevista una missione di "coppia" con uno di loro. Nel briefing
spiego le manovre che eseguiremo
all'allievo; inizieremo con delle
virate "sfogate" per poi passare a dei looping. Andiamo in volo con due
G59, ci portiamo sui 1500 metri ed iniziamo a lavorare con un po' di virate
strette e sfogate. Poi per radio gli dico: " ... ora facciamo un looping!".
Inizio una picchiata, cabro e quando sono verticale vedo che l'allievo
continua con il muso verso l'alto e non "stringe", ... rimane in piedi,
perde velocita', scampana ed entra in vite. Raddrizzo l'aereo ed imposto
una virata in discesa per tenerlo in vista, lo vedo continuare a ruotare
velocemente in vite, ... provo chiamarlo con la radio, ... non risponde,
gli do' le istruzioni per uscire dalla vite ma non risponde, se non ha
involontariamente premuto il pulsante di trasmissione dovrebbe sentirmi.
Invece e' proprio cosi', probabilmente, preso dal panico, ha il dito premuto
sul pulsante della radio e pertanto e' in trasmissione ed ha la ricezione
interdetta. Infatti pochi secondi prima di impattare il terreno sento per
radio un urlo. Una gran
fiammata conclude in tragedia la
sua missione. Il 28 novembre si torna a Lecce dove riprendo a volare con
il T6 ed il G59. Il 6 maggio 1954 effettuo il primo volo sul F51 Mustang.
E’ una macchina superlativa dalle prestazioni eccellenti, e' dotato dello
stesso motore Rolls Royce da 1700 Hp dello Spitfire IX. Era impensabile
per noi vincere la guerra contro un nemico che disponeva di velivoli simili.
Eppure nonostante tutto era un aereo meno impegnativo dei nostri Mc202
e Mc205. Noi facevamo dei velivoli che richiedevano grande abilita’ mentre
gli americani avevano capito che bisognava puntare su macchine che anche
il pilota medio poteva gestire, soprattutto in atterraggio. Il Mustang
rispetto al G59 e' per certi aspetti piu' "padre di famiglia" (cosi' si
dice nel linguaggio dei piloti quando un velivolo "tollera" i piccoli errori).
E' meno critico in atterraggio ma tuttavia l'enorme potenza del suo motore
fa si che e' difficile da controllare. Soprattutto all'inizio del decollo,
a causa della forte tendenza all'imbardata causata dalla "coppia" dell'elica,
non sono rari i casi di allievi che "escono" di pista danneggiando seriamente
il
velivolo. Ci son stati dei periodi
a Lecce che quasi tutta la "flotta" dei Mustang era fuori uso per "uscite
di pista". Anche in atterraggio, se si rende necessaria una "riattaccata",
e' richiesto un considerevole sforzo fisico e prontezza nel compensare
gli effetti della coppia dell'elica. Avendo inoltre caratteristiche molto
spinte, raggiunge velocita' elevate in picchiata ed i comandi di volo diventano
molto "duri". Alcuni piloti che durante la "finta caccia" o per altri motivi
effettuano delle "affondate" veloci e prolungate hanno difficolta' ad uscirne
e la velocita' puo' arrivare a valori pericolosi. E' cosi' che sul cielo
di Lecce, a circa 500 metri di quota, un Mustang, che si e' trovato in
queste condizioni, si disintegra in volo. Un giorno a Lecce sono di servizio
in "biga". La "biga" e' una postazione radio semifissa posta lateralmente
alla pista e dalla quale un istruttore di turno segue da terra le evoluzioni
dei piloti "solisti" ed e' pronto ad intervenire in caso di avarie o emergenze
degli
allievi in volo. Gli allievi che
volano sul F51 Mustang hanno disposizione di stare sul "cielo campo" e
ci puo' essere solo un allievo alla volta in volo. Quelli sul G59 ed AT6
hanno piu' liberta' ed a loro sono assegnate zone di "lavoro" limitrofe
(piu’ esterne) al campo. Sto parlando con Mascellani quando un allievo
vicino a noi strilla: "Maresciallo guardi quel Mustang!". Volgo lo sguardo
verso l’alto e vedo il velivolo a circa 3000 metri che sta precipitando
in vite, roteando velocemente con il muso basso. Corro verso la postazione
radio, prendo il microfono e strillo: "cloche avanti e piede destro! ...
cloche avanti e piede destro!". Mascellani mi tira per il giubbotto: "Cosa
fai. Cosi’ lo fai ammazzare!" strilla. Il Mustang intanto e’ sparito in
uno strato di nubi ed alcuni secondi dopo ricompare senza piu’ roteare,
in posizione verticale, e comincia a prendere velocita'. Con voce calma
gli dico: "Ora tira dolcemente, ... livella. Fatti un giretto per far passare
la tremarella e poi vieni all'atterraggio!". Poi mi rivolgo a Mascellani:
"Ora capisco perche’ a Gorizia col CR32 andavi a 5000 metri, ti mettevi
in vite e facevi 15, 20 giri. Non sapevi come si esce dalla vite. Abbandonavi
i comandi aspettando che uscisse da solo!". Mascellani nonostante questo
era un grande pilota ed eccelleva nell’acrobazia a bassissima quota facendo
rimanere a bocca aperta anche piloti esperti. Lasciata l’Aeronautica, morira’
alcuni anni dopo in un incidente sulle Alpi, volando con un aereo a reazione
dell’aviazione generale. Insieme a Bandini e Mascellani "sforniamo" decine,
centinaia di allievi sull' AT-6, Fiat G 59 e P 51-Mustang. Il destino vorra'
che alcuni di questi miei allievi diventino a loro volta istruttori di
mio figlio sia a Brindisi sul Macchi MB326, dal 1964 al 1965, sia dopo
in Alitalia sul Caravelle, sia sui Douglas DC8, DC9 e DC10. E' stata una
grande soddisfazione apprendere da mio figlio che i miei ex-allievi hanno
sempre avuto una grande considerazione nei miei confronti. Non accadeva
con tutti gli istruttori!
Di nuovo a Gorizia
Il 25 giugno 1956 termino l'attivita'
di volo in Aeronautica Militare e faccio ritorno all'aeroporto di Gorizia,
nel ruolo Servizi. Poco dopo mi viene chiesto di assumere l'incarico di
istruttore presso l'Aeroclub di Gorizia e poi nel 1957 presso quello di
Ronchi dei Legionari. Sull'aeroporto di Ronchi opera dal 1948 la societa’
"Meteor", una piccola azienda aeronautica sorta grazie all'intraprendenza
di un pilota, avvocato e medaglia d'oro Furio Lauri, costruisce aerei da
turismo e velivoli bersaglio. L'avvocato Lauri mi chiama per sostituire
l'istruttore e collaudatore della Meteor, Mario Monzali, che lascia per
motivi personali la ditta. Prima di partire ci incontriamo e mi racconta
che, durante le prove di collaudo di un FL 55, e' entrato in vite piatta
e, vista l'impossibilita' di uscirne, si e' slacciato, ha aperto il tettuccio
il tettuccio e mentre si sporgeva per lanciarsi, il velivolo e' uscito
dalla vite. A quel punto ha ripreso i comandi e riportato l'aereo a terra.
Alcuni giorni dopo debbo proseguire con le prove di collaudo, abbandonate
dopo l'inconveniente accaduto a Monzali. I tecnici hanno installato in
coda al velivolo un paracadute
stabilizzatore azionabile in caso
di emergenza dall'interno dell'abitacolo. Vado in volo, mi metto in vite
ed il velivolo, come nel caso di Monzali, si mette in vite piatta e non
c'e' verso di uscirne, aziono il paracadute freno ed esco dalla vite. Con
il paracadute esteso l'azione frenate e' fortissima e pertanto poco dopo
aziono il comando di sgancio, il paracadute non si sgancia! Provo piu'
volte ma non c'e' nulla da fare, il velivolo scende con un forte rateo
e lanciarmi abbandonando l'aereo non mi sembra una buona idea, voglio tentare
di salvarlo. Con il motore a tutta potenza vedo che riesco a ridurre il
rateo di discesa e, visto che sono non molto lontano dal campo mi porto
all'atterraggio praticamente come avessi una piantata di motore, arrivo
alto ed atterro regolarmente. Il 13 giugno 1958 il col. Enrico Meille,
abile e conosciuto pilota proveniente dal 4° Stormo di Gorizia, giunge
a Ronchi per ritirare un velivolo Partenavia P-55 "Tornado" appena revisionato
e modificato nelle Officine Aeronautiche della Meteor. Si appresta a decollare
per un volo prova e misurare la velocita’ massima utilizzando dei punti
di riferimento a terra. Lauri si offre di accompagnarlo in volo in quanto
conosce bene la zona intorno all’aeroporto. Sono in compagnia di Basilio
Primosic ed Enzo Pian ed assisto al decollo del velivolo in direzione Nord.
La corsa e' molto lunga e la la salita e' piatta. Dopo alcuni minuti, il
rumore del motore cessa improvvisamente ed il velivolo non si vede piu’.
Impensierito, metto in moto un velivolo dell’Aeroclub, decollo e poco dopo
individuo i rottami del P55 con vicino i corpi dei due piloti, a circa
2 Km a Nord dell’aeroporto. Entrambi i piloti vengono portati all'ospedale
di Gorizia. I medici danno poche speranze per Lauri mentre le condizioni
del Meille sembrano leggermente migliori. Poco dopo invece il Meille muore
mentre Lauri supera i traumi dell'incidente. Per molti mesi Lauri sara’
costretto a camminare con le stampelle e per tutta la vita portera’ i segni
di questo incidente. Lauri era da poco reduce da un altro incidente con
un aliante, avvenuto sempre a Ronchi. Sara’ proprio questa esperienza a
fagli maturare l’idea di sviluppare i velivoli "unmanned" (senza pilota)
di cui la Meteor diverra’ la prima azienda nazionale del settore. Nel 1963,
debbo assentarmi per un mese per partecipare ad un corso d'aggiornamento
per istruttori, in Sardegna. Lauri mi chiede di indicargli tra i soci dell'Aeroclub
un pilota affidabile per effettuare dei voli con un FL53B sul quale sono
installate delle speciali apparecchiature radioelettriche da collaudare.
Conosco personalmente diversi piloti, alcuni dei quali con molte ore di
volo eppure la mia scelta cade su un ragazzo di Trieste, Gianfranco Sbocchelli,
che ho iniziato al volo appena diciasettenne, nel 1958. Come in passato,
il fiuto dell'istruttore mi aveva portato a fare la scelta migliore. Qualche
tempo Sbocchelli diverra' pilota militare e poi passera' in Alitalia. Nel
1974 superera' il Corso Comando e nel 1999 lascera' la Compagnia da comandante
di Lungo Raggio sul Boeing 747. Con Sbocchelli mio figlio ha trascorso
quasi due anni durante il Corso di Volo e poi ha continuato a volare insieme
sull'Airbus A300. Anche lui afferma che e' stato un pilota "nato" e che
aveva un istinto per il volo superiore alla media, era un "manico" come
pochi altri. Poco dopo, sempre nel 1963, l'Aeroclub di Ronchi cessa l'attivita'
e continuo a volare per l'Aeroclub di Gorizia. Insieme a me c'e' pure il
vecchio compagno del 4° Stormo, Montanari, istruttore per l’Aero Club
di Trieste. Montanari e' un ottimo pilota. E' nato a Sagrado, il paese
di mia moglie, in una casa poco distante dalla sua. Ha partecipato a tutte
le piu' importanti manifestazioni aeree ed ha fatto parte delle pattuglie
acrobatiche del '36, '38 e '39. Abbiamo volato insieme in pattuglia. Lui
aveva l'abitudine di volare "ala dentro ala" con il capo-formazione mentre
tutti noi stavamo, come previsto, ad un metro, un metro e mezzo dall'ala
dell'altro. Anch'io gliel'avevo fatto notare piu' volte, purtroppo aveva
un carattere un po' spigoloso e non accettava consigli. Di solito volava
come gregario interno di sinistra mentre io ero l'esterno. Dopo la guerra
si congedo' dall'Aeronautica ed ebbe l'incarico di istruttore all'Aeroclub
di Gorizia e di Trieste. Quando arrivai io, gli subentrai a Gorizia. Montanari
sforno' centinaia di piloti all'aeroclub e fu' l'istruttore piu' conosciuto
e stimato.
Basta con il volo!
Nel 1970 smetto ogni attivita' di
volo ed al mio posto propongo al Presidente dell'Aeroclub l'amico Gino
Baron che faceva parte del gruppo istruttori di Lecce. Nessuno immagina
che Gino Baron, una persona semplice ed umile, pronto sempre alla battuta,
sia un abile e valoroso pilota della Seconda Guerra Mondiale. Gino Baron,
nato nel 1918 a Castelfranco Veneto, e' uno dei piloti che operarono in
Africa Orientale con la 412^ Squadriglia Caccia, affiliata al 4° Stormo
e comandata dal capitano Antonio Raffi. Il serg. Gino Baron e' amico intimo
del ten. Mario Visintini (l'ufficiale dei voli per l'Albania) con il quale
effettua molti voli da gregario.Visintini e' considerato un'asso e molte
delle sue 17 vittorie le ottiene in coppia con Baron. Baron ha al suo attivo
10 abbattimenti individuali e 10 collettivi (in collaborazione), una medaglia
d'argento ed una di bronzo. Baron non era il tipo da vantarsi e preferiva
un'allegra compagnia ed un buon bicchiere di vino ai ricordi nostalgici.
In vena di confidenze un giorno, poco prima di lasciare l'incarico d'istruttore
per raggiunti limiti d'eta', rivela ad Enzo Pian, cugino di mia moglie,
un segreto di cui si aveva gia' sentore nel nostro ambiente: "molte" vittorie
di Visintini erano in realta' sue e Baron le aveva "cedute" all'inseparabile
amico. Visintini, e' deceduto l'11 febbraio 1941, schiantandosi contro
il monte Nefasit, per cercare Baron che credeva disperso ed invece, a causa
delle condizioni meteo, era atterrato a Sabarguma, fra Massaua e Asmara.
Il ritorno alle "origini"
Ho trascorso una vita tra aerei e piloti
e come ogni libro, quando si arriva all'ultima pagina, va chiuso. I ricordi
della mia infanzia, trascorsa in campagna, riaffiorano e prevalgono su
ogni altro interesse. Torno cosi' "alla terra", alla mia campagna che avevo
lasciato da giovane per intraprendere il "mestiere" del pilota da caccia
e mi dedico con passione alla cura delle piante del mio orto, in particolare
i pomodori che ricordano le mie origini partenopee. Nel 2001 viene celebrato
il 70° anniversario dell'arrivo del primo gruppo di 64 piloti sull'aeroporto
di Gorizia per dar vita al 4° Stormo. Gli unici superstiti del gruppo
siamo Ruffilli, Bergamini ed io. L'evento si svolge nell'edificio che negli
anni '30 era il luogo di incontro dei piloti, l'ex ristorante "La Lanterna
d'Oro", nel castello di Gorizia. Alla cerimonia partecipa il Capo di Stato
Maggiore gen. Sandro Ferracuti ed una rappresentanza del 4° Stormo,
oggi di stanza a Grosseto. Fra i vecchi compagni trovo Biffani e Del Moro
e
l'evento e' anche occasione per
un incontro insolito; il figlio di Giuseppe Krizaj (il pilota del mio corso
che in Spagna combatte' sul fronte opposto), il prof. Miomir Krizaj, insegnante
a Lubiana, ha voluto incontrarmi per conoscermi e sentire dalla mia viva
voce una testimonianza dei combattimenti aerei con suo padre, l'abbattimento
e la visita in ospedale durante la prigionia. Da pochi giorni ho compiuto
il mio 95° compleanno e mentre detto questi ricordi, il mio pensiero
va ai tanti piloti ed amici che ho conosciuto e che oggi non ci sono piu'.
Con tristezza guardo dalla finestra il mio orticello che da un paio di
anni non sono piu’ in grado di curare ed osservo i pomodori che ora e'
mio figlio a coltivare: ... non sono piu' i pomodori di una volta!
2.Guglielmo Biffani
Sono nato ad Ostia il 27 marzo 1915. Ho
conseguito il brevetto di motorista civile d'aeromobile nel 1931 a Napoli
e nel 1933 il brevetto di pilota civile di primo grado sull'Idro CA100
presso l'unica Scuola di Volo aperta in quel periodo in Italia e precisamente
all'Aeroclub di Genova. Qui continuai con i voli di allenamento annuali
volando contemporaneamente come motorista e secondo pilota sui Dornier
della SANA, Società Anonima Navigazione Aerea con base ad Ostia.
Nel '36 mi arruolai in Aeronautica e fui inviato a Foggia dove conseguii
il brevetto militare su Breda 25 e CR 20. Il 1° di agosto del 1936
fui assegnato al 4° Stormo di Gorizia. Mi feci raccomandare per andare
a Gorizia ed infatti ci riuscii.Mi assegnarono alla 73^ Squadriglia, sotto
la guida di Pezzè, di Renzi e di altri. Mi portarono su loro, cominciammo
con la prima coppia e poi sempre avanti con gli allenamenti. Prima di volare
sul CR32, provai doppio comando sul CR30 con il povero Corsi, e gli amici
mi avevano detto: "Te la passi bene, vedrai quello che ti combina!". Me
l'ha combinata. Mi ha fatto fare il decollo, poi mi ha detto: "Lascia
la cloche". Ha effettuato una serie di tonneau non so quanti, sul Carso,
sul San Michele. Poi mi ha detto: "Andiamo a casa". Mi ha fatto fare l'avvicinamento
e l'atterraggio e poi mi ha battuto una mano sulla spalla dicendomi: "Vai,
vai!". Ho poi volato con Pezzè che mi ha autorizzato ad effettuare
il passaggio sul CR32. A Gorizia conobbi Silvio Salvatori un toscano che
aveva una fidanzata pure lei toscana. Durante un trasferimento a Roma con
la pattuglia acrobatica per una manifestazione, mentre sorvoliamo la Toscana,
si stacca dalla formazione per andare a fare una puntata sulla casa della
fidanzata. Si abbassa troppo e si infila con il CR20 nella finestra dell'abitazione
della ragazza. L'aereo finisce proprio dentro la casa mentre le ali rimangono
di fuori e, cosa incredibile, non si fa nemmeno un graffio. E' morto dopo
la guerra. Volava con quegli aerei che irrorano i campi ed ha urtato nei
cavi di una linea elettrica. Era un pilota straordinario, credo non ce
ne siano stati molti come lui. Ricordo che faceva i tonneau sfiorando letteralmente
gli hangar del 4° Stormo. Puntava sulla zona della 73^ Squadriglia,
dove eravamo noi, verso i tre hangar vicino alla strada arrivando dall'Isonzo
e sembrava ci finisse addosso. (Anche Ugo Corsi era eccezionale. Ah, Corsi,
Corsi, Corsi, non ce ne sarà mai più uno uguale. Non ce ne
sarà mai più uno come lui!. Sto criminale, decollava, riduceva
motore e si metteva con la coda per terra che cosi' non staccava e girava
dentro l'aeroporto. Merna non è grande, lo sai, ma a lui bastava.)
Anche Ugo Corsi era eccezionale, non ce
ne sarà mai più uno uguale. Spesso decollava, riduceva motore,
si metteva con la coda per terra senza staccarsi dal suolo e girava dentro
l'aeroporto non certamente grande ma a lui bastava. Non toccava terra,
la sfiorava. Si sosteneva sul cuscino d'aria creato dall'elica sotto l'ala.
Allora questa tecnica non si conosceva. Aveva una padronanza senza uguali
nel’eseguire la vite: volava lungo l'Isonzo sui 400/500 metri ed improvvisamente
entrava in vite. Lo si vedeva scendere girando e ci aspettavamo che terminasse
la manovra ed invece continuava ad avvicinarsi sempre piu' al terreno.
Lo vedevamo sparire ancora con il muso basso dietro gli alberi dell'Isonzo
e trattenavamo il respiro. Dopo un po' ricompariva verso Savogna. Rimetteva
l'aereo dalla vite nell'avvallamento dell'Isonzo non so a quanto, forse
a 20 metri. Era talmente padrone dell'aeroplano che tutto gli veniva con
una indifferenza e serenità eccezionale. Corsi era qualcosa di trascendentale,
veramente!. Tanto bravo e tanto sfortunato. In Spagna dopo pochi voli verrà
abbattuto e dovrà restare 13 mesi in prigionia.
Credimi, mi ha salvato la guerra. Mi è
sempre piaciuto bere: il vino in quantità giuste, a pasto un bicchiere,
due bicchieri, e quando capitava un cognacchino, un grappino, una graspa.
Ma se fossi rimasto a Gorizia non mi sarei salvato più, non tanto
dai colleghi ma dai borghesi. Uno di questi era Gianni Defilippo. Un goriziano,
alto, lo chiamavano "Gianni Flascutta (Fiaschetta). Il pullman
che dall'aeroporto ci portava a Gorizia fermava al bar "Alle Ali" e terminava
la corsa in Piazza della Vittoria e ricordo che mi abbassavo, cercavo di
non farmi vedere dagli amici che mi aspettavano e che inesorabilmente ti
portavano in osteria. Ricordo Sergio Pitassi, aveva un negozio di abbigliamento.
Erano tre o quattro fratelli, e lui aveva un bel negozio in Corso. Arrivato
in piazza della Vittoria scendevo e andavo in cerca di qualche ragazza.
Camminavo e mano, mano mi rinfrancavo quando improvvisamente: "Biffi, ...
Biffi!" Porca miseria sono rovinato!."Beh, Biffi, Biffi andiamo a bere
un tajut" Poi incontravi quell'altro e diventavamo cinque o sei come minimo.
Insomma dopo un'ora ero sbronzo. Veramente sbronzo. E la serata era rovinata.
Intanto era iniziata la guerra in Spagna.
Avevo solo 200 ore di volo ma feci comunque domanda. Mi dissero: "Ma tu
sei matto". Va bene, ero matto ma ci volevo andare. Infatti andai in Spagna,
alle Baleari, dove ho totalizzato circa 300 ore di volo, tutte sul mare.
Nell’estate del 1937, insieme ad
alcuni colleghi piloti del 4^ Stormo di Gorizia, agli specialisti ed alcuni
CR32, veniamo caricati su un treno per La Spezia dove ci imbarchiamo su
una nave mercantile, destinazione Palma de Maiorca (Mallorca), Spagna.
Dopo una sosta a Cagliari di uno o due giorni, dove trovo il tempo per
alcuni bagni e tuffi dal ponte della nave, giungo all’aeroporto di Son
San Juan, nelle Baleari. Qui oltre ai nostri CR32 ci sono anche gli S79
ed S81. Incontro subito il caro amico Ferrulli, un “buon” pilota oltre
che un “bel” ragazzo. Il comandante e’ il tenente D’Agostinis. I colleghi
mi raccontano di un divertente episodio, D’Agostinis qualche giorno prima
del mio arrivo aveva abbattuto un Potez ed il pilota, salvatosi con il
paracadute, arrivato a terra gridava “un buque, un buque!”, voleva una
nave per scappare.D’Agostinis poco dopo il mio arrivo viene rimandato in
Italia ed a me viene assegnata la sua tuta di volo, ci stavo dentro due
volte!
Un giorno sono in pantaloncini ed improvvisamente
c’e’ una partenza su allarme. Sull’ala del CR32 ero solito appoggiare i
pantaloni, giubbotto e paracadute. Corro verso l’aereo, indosso il paracadute,
non faccio in tempo ad indossare pantaloni e giubbotto che restano sull’ala.
Durante la corsa di decollo il giubbotto vola via mentre i pantaloni si
mettono meta’ sopra e meta’ sotto l’ala. Su Soller c’era la nostra contraerea
ed era proibito passare perche’ avrebbero sparato a chiunque. Penso tra
me “… io qua sopra ci passo tanto questi non c'azzeccano mai”. Agito le
ali sperando che capiscano che sono uno dei loro ma cosi’ facendo i pantaloni
si staccano dall’ala ed a terra cominciano a sparare ai pantaloni scatenando
un putiferio.
Avevamo al campo un telefonista spagnolo
di Bunol, un paese vicino, il giorno dopo mi dice:
“chi ha perso i pantaloni in volo su Soller?”.
Rispondo:
“io, perche?”
“li hanno trovati, ma deve andare
a prenderseli”
Cosi’ vado a Soller dove distillano un’anice
eccezionale e passo delle simpatiche ore.
Dopo D’Agostinis arriva un nuovo comandante,
il capitano Pratelli che vuole vedere i suoi piloti come “volano” e li
invita a montare su un CR32 senza munizioni ed esibirsi. I piloti fanno
a gara per partire per primi e far vedere quanto sono bravi.
Io dico a Ferrulli “ … stai buono,
aspetta che si consumi la benzina e che l’aereo diventi leggero …”. Ferrulli
va in volo per penultimo ed io per ultimo.
Quando tocca a me, decollo, vado verso
il mare, viro basso, basso, torno sul campo e faccio venti, dico venti,
tonneau senza interruzione, uno dietro l’altro. Ovviamente i tonneau dovevano
essere per forza perfettamente orizzontali altrimenti avrei toccato per
terra. Ero talmente basso che all’ultimo tonneau mi trovai davanti un mulino
a vento e lo evitai di un soffio. Alla fine i due piloti scelti da Pratelli
saranno Ferrulli e Biffani!. Sono gli unici piloti provenienti da Gorizia!.
Le differenze con i piloti provenienti da altri aeroporti, Rimini, Torino,
ecc. sono enormi.
Un esempio: siamo a Gorizia ed un giorno
ci vengono assegnati i CR42. Il pomeriggio facciamo il passaggio che consiste
in un giro campo, decollo, atterraggio e nient’altro. Altro che ambientamento,
stalli, ed altre manovre, o ce l'hai il “manico” o non ce l’hai e cambi
mestiere. Al mattino successivo arriva Dentis da Torino che porta altri
CR42 nuovi per il 4° Stormo. A mensa ci troviamo allo stesso tavolo,
non ci conoscevamo prima ed ad un certo punto esclama:
“Biffi, questa mattina quando atterravo
ho visto un CR42 che faceva un looping rovescio, ma chi era?”
gli dico:
“a che ora sei atterrato”
“alle undici”
“ero io!”
“ma quante ore hai?”
“veramente ho fatto il primo decollo ieri
sera”
Dentis e’ rimasto gelato, di ghiaccio!
Questo voleva dire essere piloti a Gorizia!
CR32 o CR42 cambia il numero, cambia la forma, cambia il motore ma l’aeroplano
per aria era lo stesso, identico, anzi il CR42 era qualcosa meglio.
Torniamo alla Spagna, Baleari. C’e’ un
allarme, io non ho un aeroplano disponibile e mi infilo in un rifugio.
Subito dopo viene dentro lo specialista addetto all’agganciamento del tubo
dell’aria compressa agli aeroplani per l'avviamento del motore e strilla:
“Un avion es sin piloto!”
Salto fuori, un pilota, il s.ten. Pallavicini,
nella fretta s’era messo il paracadute davanti e non riusciva piu’ a sganciarlo.
Tutto questo naturalmente in mezzo alle esplosioni delle bombe che cadevano
intorno a noi. Gli strappo il paracadute, lo indosso, metto in moto il
CR42 e decollo mentre il campo e’ ancora sotto bombardamento.
Do tutta manetta, o meglio tutta “tacca”,
come si diceva allora. La manetta si tirava indietro per dare potenza,
a fondo corsa si arrivava a 2200 giri al minuto, c’era poi la “tacca”,
superando questa si aumentava di altri 150 giri al minuto. Questo extra
di potenza si poteva usare solo in emergenza e per pochi minuti, si rischiava
altrimenti di bruciare il motore. Mentre sono in salita vedo ancora i Martin
Bomber, bombardieri veloci, e’ una formazione di 28 aerei.
“Questi sono partiti da Reus, Barcelona
e tornano a Reus” dico tra me. La formazione vira verso Ovest, verso Ibiza
“Non mi fregate, voi tornate a Barcelona”. Li abbandono e punto cosi’ verso
Barcelona, a Nord, sempre tenendo la massima potenza, “tirando” il motore.
Se non regge, dico tra me, chiudo gli occhi, spingo la cloche tutta avanti
finche’ mi infilo in mare e tutto e’ finito. Meglio cosi’ che un ammaraggio
ed una lunga agonia in prigione.
Ad un certo punto li vedo nuovamente,
" ... avevo ragione, ... bravo Biffi!". Saranno passati 40 minuti e sto
ancora salendo, saranno circa 6.000 metri di quota. “Ora vi frego”
penso. Gli arrivo addosso, loro rimangono fermi in formazione. Forse non
mi hanno nemmeno visto arrivare. Sparo ad uno che “va giu’”, sparo ad un
altro e poi dico “Basta Biffi, torna a casa, questi hanno la radio, avvertono
la caccia io sono da solo, arrivano i Rata e mi fanno fuori!” oltre tutto
ero vicino alla costa.
Verso la fine del '37 alloggiavamo in
una cascina presso l'aeroporto di Son San Juan, vicino alla stazione radiogonometrica.
Una sera vado ad osservare il lavoro degli operatori del gonio che si occupano
del rientro radioassistito di un SM 81 che aveva effettuato un bombardamento
sul continente. Non e’ tempo brutto, forse qualche nube, comunque l'operatore
al radiogoniometro entra in contatto radio, inizia con dei rilevamenti
QTE e QDM ma quelli non ne tengono alcun conto e vagano per l'area a nord
di Mallorca finche' dopo circa un'ora di vani tentativi dell'operatore
addetto al radiogoniometro, quelli tacciono. Sapremo il giorno seguente
che avevano fortunosamente preso terra sull'isola di Menorca, in mano ai
repubblicani. Tutti prigionieri, e meno male che ebbero salva la vita.
Dopo tredici mesi alle Baleari rientro
in Italia. Pratelli non voleva mandarmi via ma ero debilitato, non stavo
piu’ in piedi, tanto che ero svenuto durante il volo riavendomi mentre
l’aereo veniva giu’ in vite. Facevamo una vita da matti. Eravamo una ventina
di piloti e si andava in volo all’alba, le missioni erano pesanti ed oltretutto
rinunciavamo al riposo per andare a ballare, bere e divertirci.
Rientrato dalla Spagna, fui assegnato
di nuovo a Gorizia, alla 73^ Squadriglia. Mi misero nella Pattuglia Acrobatica
di Remondino come gregario di riserva.
Poi arrivò Botto, per salire sull’aereo
lo aiutava Pezzè, poverino, aveva una gamba sola. Costituimmo una
pattuglia in nove, ma non ti dico che razza di programma! Ben 45 minuti
di programma. Fuori da una figura, dentro nell'altra, in nove!
Poco dopo inizio' la guerra e col CR42
fui trasferito a Comiso da dove si operava su Malta. Tutto da ridere, capirai.
Quanta acqua c'era pure li' ! Una volta con un mitragliamento su Alfar
fui colpito sull'alettone sinistro, che mi rimase bloccato in basso. L’aereo
si sarebbe messo a fare un tonneau dietro l’altro e allora ho dovuto contrastarlo
e continuare a volare con tutto l’alettone destro in basso, cloche a sinistra,
per compensare quell'altro e rimasi solo. I miei colleghi mi lasciarono
perchè pensavano che fossi stato abbattuto. Andai a finire a Catania,
perche' l'aereo "la' voleva andare", per me dove andava, andava. Atterrai
a Catania, me lo misero a posto e tornai a Comiso.
In luglio fummo trasferiti in Libia. Ero
a Bengasi con tutto il Gruppo e dovevamo partire per un' azione il pomeriggio.
Saremmo andati a El Adem (Tobruk) che era la nostra base operativa. Decollammo
e subito dopo il mio motore si mise a vibrare. Tra me dico: "Non posso
continuare la missione. Sara' una candela, un magnete. Torno indietro,faccio
sistemare, riparto e li raggiungo". Atterrai e mi misero a posto
il motore. Era infatti una candela che non funzionava e questo causava
le vibrazioni. Il maresciallo Turchi aveva una candela sola, mi sistemo'
subito il motore, era bravissimo.
Botto era rimasto a terra perchè
aveva alcune cose da sistemare. Gli dissi:
"Comandante, vado via subito. Li raggiungo
a El Adem. Faccio in tempo a ...
"No, no, andiamo via insieme. Facciamo
insieme l'azione"
"Comandante ... "
"Ho detto di no. Andiamo via insieme!"
"Va bene"
Siamo cosi' partiti il pomeriggio e quando
siamo arrivati a El Adem i colleghi avevano gia' portato a compimento l'azione
ed erano rientrati. Sette dei nostri erano stati abbattuti. Sette della
73^! Io sarei stato tra costoro senz'altro. Ho avuto fortuna.
Il 9 dicembre 1940 sono stato fatto prigioniero.
Per me la guerra era finita!. E' stata la mia salvezza. Siamo partiti in
78 piloti ed alla fine della guerra abbiamo avuto 83 morti. Com'e' possibile?
Per ogni pilota che "andava di sotto" ne arrivava un altro. Abbiamo avuto
cinque prigionieri. Io ero uno dei cinque.
Hai sentito parlare di Sergio Stauble?
Era di Venezia ed eravamo molto amici, gli facevo dei dispetti madornali,
di tutti i colori, pero' mi voleva bene ed io gli volevo bene e lo stimavo
moltissimo. E’ morto al largo della Sicilia durante un volo di trasferimento
in Africa. A proposito potresti sentire che fine ha fatto la sorella che
dopo la sua morte abitava a Gorizia . [A seguito di ricerche ho accertato
che dopo la morte di Stauble, la sorella si era riunita alla famiglia a
Venezia e negli anni '40, durante un bombardamento su Mestre, mentre si
trovava in un bunker, e' morta insieme ad un altra sorella ed i genitori.
E' sopravvissuto solamente un fratello].
Dicevo, il 9 dicembre ... la sera prima
Botto ci aveva detto:
"Domani mattina verso le 09.00 si parte".
Eravamo ad El Adem in Libia nella stessa
tenda io e Stauble. Al mattino sveglio Sergio:
"Dai, Sergio, via che c'e' l'azione, dai
c'e' l'azione .... e va in malora!".
Non riuscivo a buttarlo giu' dal letto
era come morto:
"Va all'inferno!".
Monto sul pullman e andiamo in linea.
Botto mi fa:
"... e Stauble?"
"Non s'e' voluto alzare"
"Va beh, vieni tu"
"Vengo io!"
Siamo andati in volo e sono ritornato
in Italia 63 mesi dopo.
Torniamo indietro prima di quel 9 dicembre:
come pilota ero in un certo qual modo considerato, quindi stimato:non andavo
male e pertanto non avevo usurpato niente. Cosi', quando arrivavano da
Roma capitani, maggiori, colonelli per fare quattro o cinque missioni tanto
per dire " ... ho fatto la guerra dammi la promozione", li assegnavano
al sottoscritto come gregari. Quindi avevo questa zavorra da portarmi appresso.
Quelli sapevano appena stare in volo, avevano fatto un passaggio ordinario
sul CR42, quindi avranno avuto un’esperienza di volo di10 ore, … ma quali
10 ore, 5 ore di volo massimo.
Quel fatidico 9 dicembre avevo come gregario
il sottotenente Querci che poi si e’ ammalato, tumore, si è suicidato.
Mentre siamo in quota mi fa un gesto indicando dietro (non c'era la radio).
Sempre a gesti gli rispondo:
"Dove? Dove sono?"
"Oh!, porca miseria. Allora ci sono veramente!"
dico tra me "Ma dove? non li vedo". Querci da tutto motore e si sfila,
si va mettere in mezzo agli altri, sotto le ali della chioccia.
E allora sparo per avvertire Botto. Alla
prima raffica vedo Botto che accenna un rovesciamento. Io tiro subito su
e mentre sono con il muso in alto, vedo passare tre "Hurricane".
Dunque non li vedevo perchè li avevo proprio sotto la pancia e quasi
sicuramente mi aveva già collimato. Mi sono passati avanti, quindi
saranno stati forse a 200 metri, a 300 metri al massimo.
Vado su, in candela, e vedo la 73^ Squadriglia
avanti, questi tre Hurricane in mezzo e dietro a loro la 96^ Sq. e la 97^
Sq. Tutta una candela che andava fino a terra.Mentre sono nella mischia,
vedo che un Hurricane taglia la corda. Evidentemente deve essersi guardato
alle spalle e vista quella fila di musi ha pensato di squagliarsela."Non
si fanno queste cose, ora (mo') te sistemo io!"
Continuo a salire, ero il più alto
di tutti, poi mi butto giù con tutto motore, ... gli arrivo addosso
... riduco motore e metto i giri entro i 1850 e i 2250 perchè altrimenti
ti tagliavi l'elica, come successe a Gon e come successe ad altri.
Si, perchè l'elica andava fuori
sincronizzazione,e il colpo partiva quando la pala dell'elica passava davanti
alle armi. Eh i nostri tecnici, ... grandissimi, sai? Il meccanismo di
sincronizzazione delle mitragliatrici che sparano attraverso l'elica è
semplicissimo, è elementare ma dico io non potevano montare le armi
sulle ali come tutti gli altri? E allora andate all'inferno! Avete vinto
tutti i record, battuto tutto, conquistato tutto quello che c'era da conquistare
per aria e ci mandate senza radio, senza corazza, il serbatoio della benzina
sotto il sedere. Ma noi andavamo su tranquilli, sereni e quando rientrava
la formazione, il pilota che era rimasto a terra, successe a me più
di una volta, tirava moccoli e pugni perchè in quel combattimento
lui non c'era.
Uno del quale non faccio il nome, della
73^ Squadriglia che tu hai conosciuto anche di persona, mi diceva:
"Biffi, questa guerra la perdiamo. Biffi,
non possiamo, non possiamo combattere contro questi. I nostri aeroplani
sono inferiori"
Un bel giorno dissi:
"Senti, o la pianti o ti denuncio, perchè
questo non devi dirlo a me”
Come dicevo ... quando gli sono addosso
apro il fuoco. Collimo, vedo i proiettili esplosivi che scoppiano nell'ala.
Non succede nulla, perchè? Non c'è benzina? Nell'altra ala
la stessa cosa, scoppiano, nulla. Sparo nel motore, nulla. Le vedo bene
le traccianti e poi non era la prima volta che sparo.
A Gorizia prendevo il palloncino che innalzavano
con 10 colpi.
Nel frattempo perdo velocità. Quello
con tutto motore si sfila "... va beh arrivederci!".
Viro per riportarmi verso ovest e tornare
verso El Adem. Poi guardo indietro, vedo che sta tirando su e virando anche
lui. Quindi non gli ho fatto niente. Ma come, gli scoppiavano i proiettili
addosso! Allora dico "... dai Biffi, tira su".
E tira su anche lui e cosi' ci troviamo
appiccicati per aria. Sai, li' è un istante. Se prendi la decisione
giusta bene, senno' sono guai seri. Somma le due velocità ed arrivi
in un istante alla distanza di tiro, saremmo stati alla fine della virata
a circa 500 - 600 metri l'uno dall'altro. Prima che questo mi prenda in
coda, dico tra me, gli sparo di muso. Sparo di corsa, senza guardare il
collimatore.
Vedo le traccianti che gli arrivano addosso.
Un bel momento le sue semiali si illuminano e contemporaneamente il mio
aeroplano prende fuoco. E' stato un attimo!. Mi sono arrivati addosso,
capirai, i proiettili di otto armi contemporaneamente, quattro su ogni
semiala, calibro piccolo tant'e' che collimavano sui 300 metri. Otto armi
che collimano in un punto fanno un disastro!
A quel punto mi sono rovesciato. Io ero
solito fare una manovra, il looping "rovescio". Nel fare questa manovra
esce la benzina e prende fuoco il motore. Allora prima di iniziare chiudevo
la benzina e toglievo contatto e poi "rovesciavo". Quando ero sopra, riaprivo
la benzina e ridavo il contatto. Fu una fortuna per me perchè questa
mano istintivamente ha tolto contatto e chiuso la benzina. Con mia sorpresa
l'incendio si e' spento.
Nel frattempo pero' mi ero rovesciato
e sciolto per lanciarmi. "No!" dico "non mi lancio perchè quello
mi spara". Infatti la RAF sparava addosso al paracadute, l'aeroplano lo
trascurava. Hanno cominciato prima gli americani, poi anche gli inglesi
o meglio, non so se fossero inglesi o neozelandesi ma erano della RAF.
Quindi era un ordine che avevano ricevuto. Un nostro aereo, non era del
4° Stormo, atterro' vicino a Bardia perche' colpito, l' Hurricane gli
ando' appresso, non sparo' sull'aeroplano, sparo' sul pilota che correva
per allontanarsi.
Come ti dicevo mi ero rovesciato per lanciarmi,
mi tenevo con i piedi sul seggiolino attaccato al parabrezza,. Quanto tempo
ci vuole per rovesciarti? Un secondo? In quel secondo avevo fatto tre cose:
contatto, benzina e sciolte le bretelle. E m'ero dato uno slancio. In quell'istante,
l'incendio si e' spento. Decido di rientrare. Eh si, e' una parola. Mettiti
un po' sottosopra con l'aeroplano e rientra. Sono rientrato. Non lo so
come, ma sono rientrato.
Per fortuna l'aereo continuava a volare
rovescio senza imbarcarsi nonostante avessi mollato la cloche. A quel punto
dovevo andar giù a candela ed avvicinarmi al mare. Sotto c'era il
deserto, chi mi avrebbe trovato?. Mentre scendevo continuavo a guardarmi
intorno per cercare l'inglese finche' l'ho visto con una scia di fumo che
perdeva quota. Arrivato per terra è esploso. "Pigliatela in saccoccia!"
"Beh," dico "allora cerca di andare più
vicino che puoi alla strada, sfrutta la quota". Ho provato a riaprire la
benzina e mettere il contatto. Fuoco! Basta, non se ne parli più!
Usciva la benzina, quindi mi avra' colpito i tubi vicini al convogliatore
di scarico. No, il serbatoio non era colpito, mi aveva sparato di muso,
il serbatoio era protetto dal motore.
Atterro in mezzo ai carri armati inglesi.
Mi mettono su una camionetta e viaggiamo tutta la notte. La mattina arriviamo
all'aeroporto di Marsamatruk dove c'e un concentramento di prigionieri
italiani. Mi fanno scendere, mi consegnano, resto in attesa col caschetto
e le mani nelle tasche, capirai quanto ero allegro!
Mi si avvicina un individuo in uniforme.
Lo guardo e penso: "ha il distintivo con l'aquila, questo è un pilota!".
Mi viene vicino, mi fa:
"Buongiorno, che è successo?"
Parla italiano, anzi fiorentino.
"Ieri ho avuto un combattimento ed eccomi
qua. Lei conosceva il signore inglese che ho abbattuto, era un suo collega?"
"No, no, lui comunque è rientrato".
Evidentemente s'era lanciato, il paracadute
non l'ho visto perche' è rimasto sopra, io guardavo sotto.
Dunque gli faccio:
"Lei è molto tempo che è
qui?"
"Si, dall'inizio della guerra".
Era dicembre, erano trascorsi sei mesi,
volava sui Blenheim.
"Da dove viene lei?"
"C'è scritto sull'aeroplano: 4°
Stormo"
"Dov'è il 4° Stormo?"
"El Adem"
"Ah la!, ieri ve l'abbiamo date eh?"
"Ah, lei era uno di quei tre Blenheim?"
"Si!".
Al mattino avevamo avuto ordine tassativo
di non decollare neppure se ci avessero bombardato. Verso le 10, "Allarme,
allarme, allarme!" Passano tre Blenheim, sganciano le bombe, fanno una
gran cagnara ma nessun danno, son cadute fra gli hangar e gli edifici,
la mensa ... tutte le bombe in fila, non han fatto nemmeno un buco nelle
lamiere degli hangar.
"Si, ci avete bombardato, ma non avete
fatto niente assolutamente perchè ... " gli faccio uno schizzo sulla
sabbia " ... qua, qua, qua …siete passati ma senza danneggiare nulla. Pero'
se doveste tornare, qui c'è un edificio, all'ingresso dell'aeroporto"
"Si, si"
"Bene, quello salvatelo"
"E perchè?"
"Perchè dentro ci sono le donne"
"Come sarebbe a dire?"
"Le donne, le donne ... parliamo d'altro
... Lei allora che è tanto tempo che è qua, sa qualcosa dei
miei colleghi che non sono rientrati?"
"Mi dica, mi dica i nomi"
"Bir El Gobi, Renzi"
"Abbiamo trovato il suo cadavere nei rottami
dell'aeroplano".
Era Norino Renzi!, L'avevano già
trovato, subito e nessuno di noi lo sapeva. Loro avevano i mezzi che giravano
nel deserto, le camionette, la facevano seriamente la guerra, noi no! Dei
venditori di vasetti come siamo stati noi. Non noi, che combattevamo. Continuo
ad elencare i nomi dei colleghi:
"il colonello Piraggino"
"Prigioniero"
"il tenente Lanfranco"
"Prigioniero"
"Corsi"
"Ah, quello ci è costato caro!"
proprio, credimi, fece: "Ahh!"
"Perchè?"
"Quello ci è costato caro"
"Perchè, come ando' il combattimento?"
"Si e' trovato da solo in mezzo a cinque
Hurricane e ne ha abbattuto tre!".
Me lo disse in inglese questo.
Di Ugo Corsi nessuno ne ha mai parlato.
Io ho cercato di contattare, di trovare notizie attraverso l'Ambasciata,
attraverso l'Addetto Aeronautico inglese, non ci sono riuscito. Perchè
non è giusto che Corsi sia caduto nel dimenticatoio. Tanto era una
persona a postissimo, bell'uomo, simpatico, pilota unico. "Quello ci è
costato caro. Da solo in mezzo a cinque Hurricane, ne ha abbattuti tre,
... da solo ne ha abbattuti tre!". Poi è stato sopraffatto dagli
ultimi due. Mettiti un po' da solo in mezzo a cinque Hurricane con un CR42,
te lo immagini? Questo me l'ha detto l'inglese eh? Lo sapevamo già
noi, perchè da Bardia era stato visto il combattimento, quindi si
sapeva. Dall'aeroporto di Bardia, li' nel golfo di Sollum, li vedi gli
aeroplani.
Ugo Corsi di Pirano d'Istria. Torno' dalla
prigionia nel '38. Raccontava che appena catturato ci fu una visita della
"Pasionaria" una famosa comunista:
"estos quien son?"
"pilotos italianos"
"y che esperais a matarlos?".
(Questi chi sono? Piloti italiani. Che
aspettate ad ammazzarli?).
Dal giorno dopo, la mattina li bendavano,
li portavano in un certo posto, una scarica di fucileria. Sparavano per
aria. Perchè questo? Li liberarono grazie ad uno scambio con piloti
rossi. Erano preziosi, altrimenti li avrebbero uccisi tutti.
La prigionia: Prima in Egitto, a Ismailia,
poi in Palestina, Latrun. La fame, la fame !. Poi in India a Dehra Dun,
a Yol c'erano gli ufficiali.
Dopo un anno o due, ci trasferirono
a sud di Bombay, a Bophal. Dopo l'otto di settembre del '44 decisi di "cooperare",
come tanti di noi, ... seguendo l'esempio del Re (!).
Partiti dall'India con il caldo,
arrivammo in Inghilterra, a Glasgow che c'era la neve, era gennaio. Sono
rimasto in Inghilterra fino al rimpatrio avvenuto nel '45 o '46. Dopo un
mese di licenza premio e ho chiesto di rientrare al Reparto e son tornato
cosi' a Lecce al 4° Stormo ed ho ripreso a volare naturalmente
dopo un po' di "doppio comando."
Anche dopo Lecce son rimasto al 4°
Stormo poi sono stato trasferito a Napoli, a Capodichino.
Li' c'erano i Mustang, bei aeroplani ...
il piu' bell’ aeroplano e' stato pero' il Lightning. Una meraviglia.
Quando mori' mio padre, per ragioni di
famiglia, rimasi a disposizione a Torino. Superato questo periodo, tornai
in servizio come avevo chiesto e mi mandarono alla DAT, Difesa Aerea Territoriale.
Andai poi a Parigi a frequentare il corso
per istruttore di GCA Ground Controlled Approach (Avvicinamento Controllato
da Terra con il radar). Tornato nuovamente a Torino avevo due aeroplani
a disposizione, un Savoia Marchetti 102 ed un C45 e con questi volavo ed
facevo l'istruttore di procedure GCA.
Il 4° Stormo da Capodichino si trasferi'
a Pratica di Mare, quindi a due passi da Ostia. Chiesi ed ottenni cosi'
di andare là, sempre quale operatore GCA.
Al Colonnello Verrengia dissi:
"Comandante, io voglio volare sull'aeroplano
sul quale volate voi"
"Sul F86?. Va buono, va buono!"
Era un napoletano, una persona carissima.
Volai anche sul T33 ed il Vampire.
Andai in pensione dall'Aeronautica Militare
nel '60 e dopo poco tempo incontrai, o meglio mi cerco', il comandante
Staffieri. Mi disse:
"Noi stiamo costituendo una Società,
ti interesserebbe?"
"Come no?"
Conseguii cosi’ anche il brevetto di Terzo
Grado e di Ufficiale di Rotta e venni assunto dalla SAM dove volai con
il DC6 e col Caravelle. Rimasi alla SAM finchè chiuse e poi mi assorbi'
l'Alitalia dove continuai a volare sul Caravelle.
Non avrei potuto fare il comandante in
quanto non avevo il titolo di studio di scuola superiore. Il comandante
Rambaldi, un amico, un bolognese, parlo' con Rech il nostro Capo Pilota.
Mi mise in addestramento al Comando con un certo Mucci sul DC 6. Un mese
circa assieme, non mi disse mai una parola: "tu hai sbagliato, avresti
dovuto fare … "hai fatto bene, hai fatto male". Mai niente, io facevo quello
che facevo di solito. Un bel giorno vado in linea, dovevo fare un altro
volo con Mucci ma viene il Capo Pilota e mi dice:
"Facciamo un controllo, Biffani"
Andiamo in volo ed arrivati su Ciampino,
il Controllore del Traffico Aereo ci mette in holding ed io stupidamente,
ero nel pallone completo, entrai in holding con virata a destra. Era invece
con virata a sinistra.
Lui disse:
"Basta, basta!"
Mi tolse i comandi dalle mani e andammo
a terra. Non mi fece abile al Comando. Avevo 13.400 ore di volo, non erano
da buttare via e cosi' andai a volare in Libia.
Erano gli anni '78 - '79 e mi mandaronoa
a Gat, avevo 62 - 63 anni. Non ero poi da buttar via come pilota.
Un giorno ero in volo con l'allievo nella
mia area e vedo avanzare da Nord verso Sud un banco di ghibli formidabile
che non avevo mai visto. Avverto la torre e dico:
"Fate rientrare immediatamente tutti perchè
si chiude l'aeroporto".
Tornai subito sul radiofaro, mi misi sopra
a tutti e aspettai che l'ultimo avesse atterrato ma nel frattempo si era
chiuso l'aeroporto. Chiuso di brutto.
Dissi all'allievo:
"Adesso ti faccio vedere un avvicinamento
senza visibilità. Stai bene attento a quello che faccio".
Non credo che abbia capito molto quello
che stavo facendo, era un allievo alle prime armi.
Lascio il radiofaro in allontanamento
e comincio a scendere per iniziare la procedura strumentale di avvicinamento.
Risorvolo il radiofaro alla quota prevista per l'avvicinamento finale,
ho il radiofaro in coda, la lancetta e' spostata un po' sulla destra rispetto
al valore previsto. "Voglio stare tra la pista e il raccordo" dico tra
me "Se non vedo uno, vedo l'altro", giusto?. Scendo, un bel momento vedo
sulla sinistra il bordo del raccordo, accosto a destra e mi poso. Chiudo
il motore e chiamo la torre:
"Mandatemi il follow-me, non posso rullare,
non ci vedo!".
Insomma un avvicinamento con visibilità
bassissima! Credimi, quando arrivava la sabbia eran dolori. Non potevi
neanche rullare per andare al parcheggio.
Arrivato al parcheggio c'era un colonnello,
una brava persona, che mi disse:
"Lei li fa fuori tutti, questi qua!".
"Questi qua". Non li classifico' diversamente.
Dico: "In Compagnia hanno speso milioni per addestrarci, se non abbiamo
capito niente siamo proprio dei deficienti!".
Insomma, rientrai e Salvaneschi, che era
il nostro comandante, una bravissima persona, mi disse:
"Biffi, che fai adesso?. Vuoi venire con
noi?"
Avevano appena fondato una Compagnia Aerea
a Bologna o Parma, non mi ricordo. Avevano due o tre Caravelle ma non disponevano
di piloti qualificati. Mi disse:
"Con i secondi che ci sono, non ci posso
volare. Dai, vieni tu!"
Feci alcuni voli con loro come secondo
pilota.
Un giorno mi scadeva il brevetto di volo
ed andai all'ufficio brevetti di Bologna, da Belleu per rinnovarlo. Lui
lo guardo' e disse:
"Ma lei non puo' mica portare passeggeri
a pagamento!"
"E perchè?"
"Sopra i 60 anni non puo'!"
E va beh, e allora dico:
"Basta, finisce cosi'!".
3.Vincenzo Patriarca
Per poter volare sono stato costretto ad
andare in Italia. Non avevo altra scelta. Negli USA volare costa caro.
Un corso di volo avanzato per il conseguimento della licenza di pilota
commerciale costa intorno ai duemila dollari. In realta’ anche di piu’
poiche' bisogna aggiungere le spese per il vitto e l’alloggio.
Esiste un'altra soluzione: arruolarsi
nell'Aeronautica Militare americana. Ma quali possibilità ha un
semplice aviere di diventare pilota ? Puo’ darsi che qualcuno si accontenti
di rifornire di carburante gli aerei, sedere ai comandi per riscaldare
il motore, togliere i tacchi dalle ruote e guardare qualcun altro decollare.
A me queste esperienze frustranti non interessavano.
Di solito andavo all'aeroporto di Long
Island con in tasca solo il denaro per l'autobus e trascorrevo il
tempo guardando gli aerei e torturandomi. Andai per la prima volta in quell'aeroporto
nel 1931 per alcune lezioni di volo. Ero riuscito a risparmiare un po'
di denaro facendo lavori occasionali nella darsena degli yachts nella periferia
di New York, vicino a casa mia.
Avevo 17 anni ed ero affascinato dal volo.
Mio padre che sembrava comprendere ed incoraggiare la mia ambizione per
il volo mi aiuto' nelle spese del corso. Avevo venti ore di volo come "solo
pilota" al mio attivo e stavo per sostenere la prova d'esame per ottenere
la licenza di pilotaggio, quando una disposizione governativa cambio' il
regolamento e porto' a cinquanta ore le venti previste. Fu un colpo disastroso
per me. Sapevo che le mie possibilità di trovare il denaro sufficiente
per pagare le trenta ore addizionali erano molto remote.
In quel momento non vi erano molti lavori
precari per i giovani, nel Bronx dove vivevo io quasi tutti erano disoccupati.
Una mattina d'estate subito dopo l'alba
andai all'aeroporto per osservare un amico che stava allenandosi nel volo
acrobatico. A quell'ora del mattino di solito l'aria è fresca e
calma, perfetta per l'acrobazia. Non c'è turbolenza nell'aria ed
il velivolo risponde docilmente. Nelle altre ore del giorno non potete
immaginare il ballo che si incontra effettuando dei tonneau od una serie
di stalli.
Quel mattino osservai a lungo le acrobazie
del mio amico e poi mi recai nella sala piloti. Ero pieno di rabbia per
la mancanza di mezzi che mi costringeva a terra. Mi lasciai cadere sconfortato
su una sedia e distrattamente raccolsi una rivista di aviazione che qualcuno
aveva lasciato e cominciai a sfogliare le pagine.
Improvvisamente trasalii. "I figli di
italiani residenti all'estero" - queste erano approssimativamente le parole
- "che intendono frequentare corsi di pilotaggio possono essere addestrati
a spese del Governo italiano presso le Scuole di Volo. Rivolgetevi al Consolato
italiano per ulteriori informazioni".
Lessi e rilessi queste parole, quindi
con un grido di gioia corsi fuori. Molto prima che il Consolato italiano
di NewYork aprisse ero già ad aspettare. Finalmente, quando il console
mi ricevette, ero cosi' emozionato che potevo a malapena parlare.
Il novembre successivo al Ministero dell'Aeronautica
di Roma appresi che ero il primo americano ad approfittare della generosa
offerta dell'Italia. In seguito incontrai altri compagni che erano venuti
come me dall'estero alle Scuole di Volo italiane.
Fui assegnato inizialmente ad un gruppo
Osservatori. Il mio addestramento cominciò cosi' all'aeroporto di
Grottaglie, nel Sud Italia, noto per la serietà degli istruttori
e proseguì poi all'aeroporto di Gorizia, vicino Trieste, fucina
di brillanti piloti.
Dopo circa tre mesi trovavo molto noioso
starmene seduto nel cielo e scattare fotografie. Il mio compagno, Ernesto
Monico, odiava anche lui questo lavoro. Ottenemmo la qualifica di "osservatori"
e poco dopo fummo trasferiti al prestigioso 4° Stormo Caccia, che stava
sul lato opposto dell’aeroporto, il tutto grazie ad un “fortuito incidente”.
Un giorno, mentre io e Monico stavamo
provando due aerei Caproni, ci dirigemmo verso il vicino Adriatico. Questi
aerei erano pesanti e non era il caso di tentare l'acrobazia. Pero' ci
sentivamo cosi' ringalluzziti che nel volo di ritorno volammo per un po'
con le estremità delle ali che si toccavano.
Era un divertimento pericoloso e severamente
vietato dai regolamenti. A nostra insaputa, il comandante stava volando
un migliaio di metri più alto. Questo giochetto ci costo' dieci
giorni di arresti senza paga. Un mese più tardi fummo trasferiti
al 4° Stormo dove, cosi' ci fu detto, avremmo potuto sfogarci come
avremmo voluto.
Nell'agosto 1935 sentimmo per la prima
volta parlare di piani per invadere l'Etiopia. Come cittadino americano
all'inizio non avevo l'intenzione di andare, ma in seguito cambiai idea
e mi offrii volontario.
La primavera dell’anno dopo trascorsi
due mesi all'ospedale di Napoli tentando di dimenticare Massaua sul Mar
Rosso, dove all'ombra c'erano "solo" 52° centigradi ed i comandi di
volo erano cosi' caldi che non si potevano toccare; Asmara, dove di notte
la temperatura scendeva sotto lo zero, duemilaquattrocento metri sul livello
del mare; Gura, dove pattugliavamo il confine sapendo molto bene che fine
avremmo fatto in caso di atterraggio forzato in territorio nemico; Assab,
ancora più calda di Massaua, dove non era raro vedere un pilota
smontare dalla carlinga ed accasciarsi svenuto.
Giacendo nel mio letto d'ospedale, ricordavo
in ogni dettaglio l'unica vera azione di guerra cui avevo preso parte il
giorno di Natale del 1935, quando ci trovammo sopra una mitragliatrice
della contraerea nascosta sotto un albero e la mettemmo fuori uso mitragliandola
in picchiata. Fu una piccola vendetta personale per la sorte di due compagni
rinvenuti presso i rottami dei loro velivoli e scuoiati vivi, con i cuori
strappati ed al loro posto infilate le scarpe.
Stavo molto male ma dopo qualche tempo,
una volta ristabilito, fui lieto di ritrovarmi di nuovo al mio Reparto
a Gorizia, con "solamente" un'ulcera allo stomaco. Una sera di agosto mi
fermai ad un caffè al ritorno dal cinema. Ad un tavolino sedeva
un uomo alto con i capelli grigi che giocava al solitario.
Improvvisamente mi fece segno di raggiungerlo
e con mia sorpresa mi chiamo' per nome. Prese un piccolo calendario dalla
sua tasca e indicandomi una data mi chiese se sapevo cosa significasse:
"Domenica, 19 luglio …."
Scossi la testa. Mi spiego’ che era la
data ufficiale dell’inizio della Rivoluzione spagnola.
La cosa interessante di tutto questo era
che il governo ribelle offriva 200 dollari al mese, tutte le spese, comprese
le sigarette, se fossi andato in Marocco a combattere per il generale Franco
con la Legione straniera spagnola.
Tutto questo poteva andarmi bene, ma una
cosa mi preoccupava: che aeroplano mi sarebbe stato assegnato? Avevo sentito
che c'erano pochi aeroplani decenti in Spagna da ambedue le parti belligeranti.
"Che aereo vuole?"
"Un Fiat, … sono i migliori"
L’agente spagnolo scosse la testa:
"Impossibile, non ce lo possiamo permettere,
ma non preoccuparti, avrai un buon aereo"
"No - risposi - non accetto se non mi
viene assegnato un Fiat"
In passato non avrei mai accettato di
rischiare la vita per un paese straniero, ma ora improvvisamente, quando
fu chiaro che tutto dipendeva solo da me, non vedevo l’ora di partire per
la Spagna. Non avevo mai provato una simile sensazione, non avrei mai pensato
ad una simile eventualità’.
Per essere sicuro di partire ed avere
l’aereo che desideravo, mi recai in banca e prelevai tutti i miei averi,
circa 15.000 lire. Con quel gruzzolo ottenni quello che volevo.
Il 22 agosto ero già in Marocco
dove cominciai le prime esperienze di guerra. Il mio primo volo in Spagna
fu su un Junker adibito al trasporto passeggeri, con due piloti e due meccanici,
tutti tedeschi.
A bordo c’erano anche alcuni ufficiali
spagnoli e marocchini. Sul pavimento erano sparse dieci bombe da 500 libbre.
A meta’ strada da Seville (Siviglia),
nostra destinazione, incontrammo forte vento e le bombe cominciarono a
rotolare sul pavimento dell’aereo. Fortunatamente eravamo vicini a Jerez,
territorio degli insorti. Atterrammo e fissammo le bombe con sacchetti
di sabbia per evitare che continuassero a rotolare.
Improvvisamente un meccanico dagli occhi
spiritati mi disse di fare attenzione agli aeroplani che volteggiavano
intorno a Seville.
Ero ancoro scosso da questo avvertimento
della mia prima missione di guerra, quando a circa 20 minuti dalla citta’
vidi un puntino in avvicinamento ad una velocità terrificante. Era
un biplano. Ci volle un bel po' di tempo per sapere se era amico o nemico.
Gli aerei franchisti come emblemi per
distinguersi avevano una croce nera sulla coda e un disco nero sulla fusoliera
e sotto le ali. Gli aerei repubblicani, portavano due cerchi rossi separati
da una striscia rossa sulla parte superiore e inferiore delle ali e una
bandiera rossa quadrata dipinta sulla coda.
Mentre lo Junker virava per allontanarsi,
sparai alcuni colpi per scaldare le mie mitragliatrici. Non fu necessario,
le insegne che vidi erano come le mie, non solo, notai anche qualcosa di
familiare nel modo di pilotare l'aeroplano.
Quando entrammo in formazione stretta
e le nostre estremità alari erano pochi piedi l’una dall'altra,
ci scambiammo un cenno di saluto, quindi l'altro pilota sollevo' gli occhialoni
e sorrise: era il mio compagno di Gorizia, Ernesto Monico!
Subito dopo il nostro incontro nel cielo
di Seville, Monico, che era un ufficiale, "mosse alcune maniglie" per trasferirmi
alla loro base di operazioni a Caceres.
Lo stesso giorno ebbi il mio battesimo
del fuoco. Stavamo tornando a Seville scortando i nostri bombardieri dopo
un’azione coronata da successo, quando dalla mia destra, da un banco di
nubi, venne fuori in picchiata un aeroplano da caccia color rosso ad ala
alta, filante e preciso come una freccia, che si avvicino' al bombardiere.
Il mio compito era proteggere il bombardiere
che scortavo. Mi inclinai e gli virai incontro, ma lui aveva picchiato
passandomi sotto sparando selvaggiamente senza colpire ne' me né
il bombardiere che lo aveva evitato virando con 90 gradi di inclinazione.
Era un aereo molto veloce che si arrampicava
molto bene. Quando riuscii a mettermi in coda, cabro’ violentemente effettuando
rapidi rovesciamenti per sganciarsi e portarsi fuori tiro.
Improvvisamente picchio' di nuovo, prese
velocità e parti’ per un looping. Capii che cercava il combattimento,
ma il suo looping era piu’ ampio.
Stando incollato alla sua coda strinsi
ancora il mio looping. Giunti al culmine, stavamo volando rovesci,
quasi sospesi nel vuoto e aderenti al sedile grazie alle bretelle.
Erano momenti difficili, ma ero all'interno
del looping. Prontamente puntai il collimatore telescopico su di lui, partirono
le mie traccianti che colpirono in pieno la sua fusoliera.
Vidi l'aereo entrare in vite incontrollata,
eravamo a circa 8000 piedi, (2440 metri). Mentre precipitava, percepivo
il sudore sgorgare da tutto il mio corpo e pregai che si lanciasse col
paracadute.
Quando rientrai alla base i colleghi si
complimentarono per l’abilita’ che avevo dimostrato in occasione del mio
primo combattimento aereo. L’equipaggio del bombardiere mi abbraccio’ a
lungo riconoscente per lo scampato pericolo ed alla sera ebbi un elogio
ufficiale.
Ma quella notte, per la prima volta della
mia vita, non potei dormire. Andai nella chiesa più vicina e pregai
per l'uomo che avevo abbattuto, ma cio’ non mi fu di molto aiuto.
Il peggio doveva ancora venire. Quando
raggiunsi la mia squadriglia a Caceres, venni a sapere che Monico era stato
abbattuto dall’asso repubblicano Felix Urtubi e catturato vivo dietro le
linee nemiche. E non era tutto, un nostro informatore - che era stato
testimone oculare dei fatti- aveva riferito al nostro comando di Caceres
che Monico era stato trattato in modo disumano. Consegnato ad una folla
di donne inferocite che simpatizzavano per i repubblicani, le stesse donne
che si vedono nei filmati propandistici, queste lo avevano graffiato, sputato
addosso e strappati i vestiti. Sotto il sole ardente gli avevano attaccato
alle braccia ed alle gambe i finimenti di quattro cavalli poi lanciati
ciascuno in una direzione diversa. Squartarono il suo giovane e fragile
corpo trascinando i miseri resti sull’arsa terra spagnola. La folla impazzita
esultava di compiacimento.
(Il diario "Viva la muerte” di Ruggero
Bonomi, capo della spedizione italiana, riporta che Monico si era lanciato
col paracadute e aveva preso terra incolume a circa sette chilometri da
Talavera verso Oropesa. Fatto prigioniero da un gruppo di miliziani in
ritirata era stato ucciso a rivoltellate. Successivamente gli autori vennero
identificati dalle truppe nazionali e a loro volta fucilati. NdR)
Ora avevo solo un'idea in mente: anche
a costo di morire avrei vendicato Monico!
Mentre il mio aeroplano era in manutenzione,
dipinsi una testa di indiano sulla fusoliera con una penna per ciascun
aeroplano che avevo abbattuto. Sopra la testa scrissi: “MONICO PRESENTE”
ed altrettanto fecero i miei compagni di squadriglia.
Era un modo, tipicamente italiano, per
ricordare una persona amata che era scomparsa. Monico era costantemente
presente nei miei pensieri ed ora chiunque avesse rivolto lo sguardo ai
velivoli della sua squadriglia si sarebbe ricordato di lui.
Nel giro di un mese il mio meccanico dipinse
due altre penne sulla testa di indiano.
Un giorno uno dei nostri piloti, non ancora
ventenne e senza esperienza di combattimento, mi venne incontro mentre
ci preparavamo per partire, ripetendomi nervosamente:
"Dimmi Patriarca, cosa debbo fare?"
Lo guardai e per la prima volta ero provavo
una strana sensazione nel trovarmi in Spagna.
"Stai tranquillo, Cenni" - dissi - "stai
tranquillo!"
Continuavo a pensarci. Avevo la sensazione
che quel giorno qualcosa di diverso sarebbe accaduto.
Stavamo effettuando una missione di vigilanza
su Talavera e Toledo, in una bella domenica calda. Avevamo portato a termine
la missione senza incidenti quando le squadriglie di Salamanca vennero
a rilevarci per il cambio.
Mentre viravamo per ritornare al nostro
campo, vidi due bombardieri nemici e tre aerei da caccia con la parte superiore
delle ali mimetizzate, a circa 500 metri piu’ in basso.
A gesti lo segnalai al capopattuglia ed
egli di ritorno:
"No, … lasciali andare".
Deliberatamente disobbedii agli ordini.
Buttandomi in picchiata, sparai con le mitragliatrici sulla formazione
degli aerei da caccia.
Ne colpii uno e mentre lo inseguivo per
un breve tratto, un altro caccia venne sulla mia sinistra e mi si mise
in coda. Tentai di sganciarmi ed uscire dal suo campo di tiro ma quell'individuo
sapeva come volare e combattere.
Mi piombo’ nuovamente addosso e
di nuovo virai bruscamente. Questa volta manovrai cosi' brutalmente che
il sangue deflui' dalla mia testa e per alcuni interminabili secondi rimasi
totalmente cieco.
Riuscii alla fine a sganciarlo e come
me lo ritrovai davanti, si butto’ in picchiata, tirai allora un looping
per uscirne in cima.
Capii subito che non era un pilota normale,
un cacciatore normale. Doveva essere un pilota molto abile. Improvvisamente
capii: questo era l'uomo responsabile della morte di Monico, Felix Urtubi
!.
Persi la mia calma. Improvvisamente mi
sentii gelare in tutto il corpo. Prudentemente ridussi la potenza e con
un freddo calcolo evitai di passargli sotto quando usci' dal looping, lo
raggiunsi e mi incollai alla sua coda.
Feci partire una raffica. Eravamo tanto
vicini che potevo vedere le traccianti finire alcuni pollici sotto l'ogiva
della sua elica. Sapevo che oramai era una questione di pochi secondi.
Quando vidi sprigionarsi prima il fumo
e subito dopo le fiamme dal serbatoio di riserva sopra l’ala, pensai che
avevo finalmente regolato i conti per Monico.
Credo che abbia potuto vedere la scritta
“MONICO PRESENTE” e deve aver compreso che ero determinato ad abbatterlo
ad ogni costo.
Improvvisamente, con un abile cambiamento
di tattica, mi sperono' violentemente con la sua ala sinistra, danneggiandomi
l’ala e bloccandomi l’alettone. Entrambi entrammo immediatamente in vite.
Il suo aereo precipitava avvolto dalle fiamme. Non avevo rimorsi per Felix
Urtubi ma con il pensiero lo salutai come un coraggioso cacciatore, un
grande pilota.
Ernesto Monico era vendicato!
Improvvisamente mi sentii pervaso da una
grande calma e mi sembrava un miracolo. Una sensazione che non ho mai piu’
provato. Portai la manetta al minimo, spinsi la cloche ma notai che non
si muoveva, anche quando l’afferrai con entrambe le mani. L'aereo vibrava
e mi sballottava sul seggiolino. Stavo girando in vite sempre più
stretta e veloce.
Non so neanch’io perche’, ma detti tutta
potenza, slacciai le bretelle, mi sporsi e mi gettai fuori lateralmente.
Era il mio primo lancio col paracadute.
Ebbi un senso di sollievo quando il mio
corpo volteggio' nello spazio e subito tirai la maniglia che liberava l’estrattore
del paracadute.
Veleggiando appeso al paracadute in una
leggera brezza, mi sentivo sereno e spossato. Sotto di me l'aeroplano di
Urtubi continuava a bruciare. Il mio si era schiantato al suolo poco distante.
Si era schiacciato come un cannocchiale, la coda era entrata nella fusoliera.
Pensai: "Non potro’ aggiungere un’altra
piuma sulla testa dell’indiano dipinto sulla fusoliera".
Mentre scendevo appeso al paracadute mentalmente
feci un rapido calcolo: avevo abbattuto cinque aeroplani esattamente in
due settimane.
L’impatto col terreno fu piu’ brusco di
quanto m’aspettassi. Ero convinto di essere finito dietro le linee dei
Repubblicani ma improvvisamente dovetti constatare che mi trovavo proprio
in mezzo di esse.
Mi liberai subito del paracadute e mi
rifugiai in una buca di granata mentre le pallottole sibilavano attorno.
Quando gli spari cessarono, tentai di
trascinarmi carponi verso quelle che ero certo fossero le nostre linee.
Poco dopo ebbi un’amara sorpresa: ero circondato da militari repubblicani
che mi aspettavano in una buca più profonda. In quel momento mi
torno' alla mente il destino di Monico.
Fui catturato e costretto a marciare fino
ad una casetta dietro le linee dove fui perquisito anche nelle scarpe.
Fui sottoposto ad un primo interrogatorio da parte di un generale dall'aria
paterna che interruppe a metà le sue domande per chiedermi se dovevo
andare al bagno.
“Mercenario!”esclamo' il generale repubblicano
guardandomi sarcasticamente ”Pensavo che voi tutti eravate morti con i
conquistadores”,
risposi “Immagino che sono qui per essere
mandato davanti al plotone d'esecuzione domani all'alba. Le sarei grato
se telegrafasse a mio padre, qui c'è il suo nome e l'indirizzo.
Come ho detto, sono un americano e mi sono arruolato nella legione straniera
spagnola sotto il falso nome di Cesare Boccolari. Non volevo che lui lo
sapesse e si preoccupasse.
Poco dopo fui messo sotto scorta rinforzata
e caricato su un automezzo diretto a Madrid: nella piu’ fortunata delle
ipotesi sarei finito davanti al plotone d'esecuzione il mattino successivo,
ma il comportamento delle guardie che stavano sul cellulare e di quelle
che stavano sul predellino, mi preoccupava.
Ad alta voce ed in modo provocatorio,
discutevano sui dettagli delle torture che avevano inflitto ai prigionieri
nemici prima di sopprimerli.
Durante quelle due ore di viaggio verso
la capitale, il filo che mi legava i polsi mi penetrò nella carne
bloccando la circolazione del sangue, facendole diventare bluastre le mani.
Un soldato lo noto’, rise e sputo' sulle mie mani con disprezzo.
Cominciai a dire il rosario, più
volte. Un rosario immaginario. Il mio era stato confiscato al momento della
perquisizione assieme a cronometro, pullover, sciarpa, 800 pesetas e 200
franchi. Il giorno prima avevo ricevuto il salario mensile equivalente
a 200 dollari americani.
Avevo messo in conto di cadere prigioniero
ma, quando uno dei soldati che mi avevano catturato mi tolse una piccola
spilla, ricordo di mio fratello piu’ giovane, Carmine, arruolato nella
Marina degli Usa in Cina, vidi rosso. Considerando il momento ed il luogo,
cio’ potrebbe sembrare bizzarro.
A Madrid fui sistemato in una buia cella
dei sotterranei del Ministero dell'Aria e della Marina. Avevo sudato ed
ora, mentre attendevo l’alba, nella mia leggera tuta di volo, il mio corpo
era scosso dai brividi. Non accadde niente per ore finchè una guardia
mi porto' dell’acqua e fagioli. Più tardi altre due guardie mi scortarono
ai servizi igienici. Questa routine continuo' per giorni.
Una notte improvvisamente entrarono nella
mia cella cinque individui che indossavano delle tute e dei berretti rossi
e neri sui quali c'erano le lettere FAI, Federazione Anarchica Iberica,
uno di questi mi tiro’ giu’ dalla brandina.
Mentre mi spingevano lungo un corridoio
fino ad una parte più illuminata dei sotterranei, vicino ad una
caldaia, stesero alcune carte su un tavolo, mi misero una penna nella mano
e mi ordinarono di firmare.
Chiesi di cosa si trattasse e come risposta
ricevetti un colpo in faccia con il calcio del fucile. "Fai quello che
ti abbiamo detto" strillarono. Mi rifiutai di firmare!
Mi fissarono per un momento in silenzio
quindi, uno che sembrava il loro capo, comincio' ad interrogarmi sulle
dimensioni della forza aerea di Franco, il numero di tedeschi e di marocchini
e se quest’ultimi erano stati trasportati dal Marocco in aereo o per nave.
Risposi semplicemente: “Non lo so”. Avrei voluto raccontare loro
un sacco di frottole, ma ero troppo intontito da quel colpo con calcio
di fucile ed i miei riflessi erano rallentati.Alla fine, dopo avermi torto
piu’ volte le braccia, puntate le pistole allo stomaco e con queste colpitomi
il capo, capitolai e firmai i documenti.
Ero troppo esausto per sospettare che
le carte riportavano una dichiarazione completamente falsa nella quale
si diceva che ero stato obbligato dalle autorita’ italiane ad arruolarmi
nella Legione Straniera di Franco. Questi documenti dovevano essere consegnati
a Ginevra quale prova contro il Governo italiano.
Solo chi ha trascorso giorni e giorni
in una buia cella, attendendo che accada qualcosa di diverso, sia essa
buona o cattiva, purchè accada, può comprendere la disperazione
e senso di impotenza che si prova.
"Quando tocchera’ a me? Quando mi fucileranno?"chiedevo
alle guardie. Loro sghignazzavano. "Vuoi andare alla «Corrida»
chico?" “Alla «Corrida»?” non capivo e loro facevano il gesto
di sparare col fucile.
Dopo circa due settimane inaspettatamente
fui portato sotto scorta in un ufficio dei piani superiori. Mi dissero
che due scrittori americani, Jay Allen e Louis Fischer volevano vedermi.
Non avevo mai sentito i loro nomi. Pensai che questo fosse un nuovo trucco
per farmi parlare.
Appena entrai nell'ufficio dove mi attendevano,
notai che uno di loro (poi lo avrei identificato in Allen) aveva carta
e matita pronto a scrivere quello che avrei detto. Mi preparai mentalmente
per dare meno informazioni possibile.
Allen fu il primo a farmi le domande.
“Lei e’ il primo pilota americano
catturato in azione. Si rende conto delle gravi conseguenze?”
Compresi allora che forse loro avrebbero
potuto aiutarmi. All'improvviso Allen affermò che non c’era alcun
motivo per cui dovessi rimanere in Spagna. Fischer assenti' affermando
che ero fortunato ad essere ancora vivo e dubitava che lo sarei stato tra
una decina di giorni. Mi rassicurarono che avrebbero fatto tutto il possibile
per risolvere al meglio quella brutta situazione.
Due giorni più tardi all'alba mi
tirarono fuori dalla cella, mi misero le manette e mi caricarono su un
cellulare.
“Siamo alla fine,” pensai “e’ giunto il
momento!” Ora tutto ciò che desideravo era farla finita il più
presto possibile.
Al “Conde Duque”, le piu’ vecchie caserme
di Madrid mi sistemarono in un sotterraneo. Dovetti passare in un cortile,
attraverso delle vecchie scuderie, prima di raggiungere la mia cella sotterranea.
Era freddo e tirava un gelido vento e ad un certo punto vidi un gruppo
di tremanti soldati, circa una cinquantina, che avevano disertato dall'esercito
di Franco. Notai tante donne ammassate supplicanti che agitavano le mani.
Erano le madri interrogate dai funzionari repubblicani in merito alla posizione
dei loro figli. Loro non lo sapevano, e l'opinione generale era che si
fossero aggregati alle truppe di Franco. Queste madri erano tenute prigioniere
tra la popolazione civile.
La guardia che mi aveva condotto nella
cella del “Conde Duque” era un uomo anziano dallo sguardo gentile. Appena
mi libero' dalle manette, le braccia mi tremarono.
"Hai paura?" mi chiese.
"No, e’ soltanto l’incertezza del mio
futuro. Mi farebbe un atto di carita’ cristiana se riuscisse a sapere quando
saro' fucilato"
"Non si curano di atti cristiani da queste
parti" rispose con tono duro
"ma, … paciencia ! Sei giovane e hai tempo
per morire”
La cella era infestata da ratti, scarafaggi,
pulci e formiche. Di notte, mentre giacevo sulla paglia, sentivo i ratti
correre sul mio corpo. Mi abituai a loro ma dormivo raramente.
Indossavo ancora la mia leggera tuta di
volo. In ottobre a Madrid fa freddo. La mia cella era umida e un lenzuolo
di cotone non mi teneva caldo.
Nello spesso muro di pietre c'era in alto
una piccola apertura con le sbarre dalla quale passava una forte corrente
d'aria. Spesso giacevo in una specie di trance o stupore pensando di essere
ancora nella casa di mio padre nel Bronx. Avrei voluto liberarmi di questi
sogni, probabilmente cominciavo ad impazzire.
Ogni settimana la guardia mi portava una
candela e sette fiammiferi. Potevo cosi’ vedere gli avanzi di grasso
che mangiavo e la scodella d'acqua che mi veniva consegnata ogni giorno.
Solo con la luce della candela potevo tenere lontani i ratti dal mio cibo.
Avevo trovato una piccola nicchia piana
nella parete di pietra della cella, dove appoggiare la candela. Un giorno
essa cadde sul pavimento ma non con la velocità che dovrebbe avere
un oggetto di quelle dimensioni. Venne giù lentamente come al rallentatore,
ruotando su se' stessa come un velivolo senza controllo. La piccola fiamma
che si diffondeva lungo la cera sembrava un aereo in fiamme.
Mi sentii mancare, mi coprii gli occhi
con le mani ed ebbi una visione. Vidi Urtubi precipitare con l’aereo in
fiamme più chiaramente di come lo vidi quel fatidico mattino.
Sebbene inizialmente non ne rendessi conto,
tutta Madrid sembrava sapesse che ero rinchiuso nel Conde Duque.
Credo che l'unica cosa che mi evito’ di impazzire sia stata la moltitudine
di persone che venivano a vedermi. Praticamente non ero mai solo durante
il giorno. La porta della mia cella era in lamiera d’acciaio. La gente
mi scrutava dallo stretto corridoio che portava alla mia cella. Mi sentivo
come un animale allo zoo.
Alle donne non era permesso vedermi ma
le guardie, quando erano fuori servizio, portavano le loro ragazze. Loro
non si limitavano ad osservarmi, inveivano e mi sputavano addosso. Una
ragazza invece non lo fece ma esclamo': "Sei troppo bello per morire".
Gli uomini mi lanciavano degli insulti,
mi maledivano, altri mi lanciavano pietre attraverso le sbarre. Un giorno
arrivo' in caserma un reparto di seimila militari e le guardie stentarono
a tenerli lontani dalla mia cella.
Una settantina di loro riuscirono ad entrare
con la forza gridando insulti osceni nei miei riguardi. Mi e’ rimasta impressa
una voce piu’ acuta che sovrastava le altre e gridava in inglese:
"Che la malasorte ti accompagni, ragazzo".
Questi fanatici Repubblicani erano cosi'
pazzi che contribuirono ad evitare che io impazzissi.
Le due guardie del turno di notte erano
molto gentili con me. Qualche volta andavano a comprare a loro spese pane,
uva e caffè e me li offrivano quando eravamo soli. Dovevano stare
molto attenti che nessuno li vedesse.
Una notte udii in distanza delle voci
maschili che cantavano l’inno fascista.
”Sono circa trecento e vanno a morire”
disse la guardia.
Un'altra notte udii delle donne urlare.
”Per amor del cielo” chiamai la guardia
“cosa succede la fuori?”
“Hanno preso le prostitute che Franco
ha mandato per diffondere le malattie veneree nei ranghi dei Repubblicani”mi
disse la guardia che in passato mi aveva detto di avere pazienza.
“Le ragazze che Franco mando’ a diffondere
le malattie veneree tra i ranghi dei Repubblicani?. Veramente tu credi
a questa propaganda?” esclamai.
”Quien sabe? (chi lo sa?). Non so se credere
ai miei occhi, ma questa è la guerra. Oggi in strada ho visto un
combattimento tra il P.O.U.M. (Partido Obrero Union Marxista) ed il F.A.I.
(Federacion Anarquista Iberica). Domani il Partito Socialista combatterà
tutte e due e noi ci chiamiamo lealisti (republicani), uniti insieme per
una causa comune. Non si sa a cosa credere oggi, l’unica cosa sicura e’
la propria pancia che dice quando e’ vuota. Soltanto lei dice la verita’
“ mi rispose la guardia.
Mentre parlava le grida delle donne aumentavano.
Acute e più alte e sovrastanti i rumori dei motori che provenivano
dalla strada. Facevano rabbrividire. Non avevo mai sentito simili urla
strazianti.
"Dove le stanno portando?" chiesi.
"Alla Corrida", disse la guardia passandomi
una sigaretta.
Un sorriso strano apparve sulle sue labbra
come se facesse fatica a controllarsi. Si allontano' dalla porta della
mia cella. Le grida cessarono improvvisamente. Non riuscivo a togliermi
dalle orecchie le grida di quelle sventurate.
Una mattina una guardia irruppe nella
mia cella:
"Stai per uscire", disse.
Avevo difficoltà a sentire la sua
voce, ma poco dopo ero davanti ad un generale spagnolo e, con mia grande
sorpresa, a due membri dell'ambasciata americana.
Al mio fianco c’era il Facente Funzioni
dell’Ambasciatore Wendelin ed il Consulente Generale Johnson.
"Siedi diritto, sei in una situazione
molto critica, ma forse potremo tirarti fuori" sussurro' Mr Wendelin.
Al ritorno nella mia cella avevo il dubbio
di avere sognato e mi sembrava impossibile che si stesse facendo qualcosa
per liberarmi. Solo i resti del cibo che Mr Wendly mi aveva portato, una
bottiglia vuota di latte ed alcuni torsoli di mele provavano che non sognavo.
Da quel giorno non dovetti più
mangiare i rifiuti della prigione. Ogni pomeriggio veniva qualcuno
dell'Ambasciata con un canestro di zuppa calda, pane e frutta. Fui anche
trasferito dalla cella sotterranea ad uno dei garage nel cortile. Mi fu
permesso di fare della ginnastica. Una volta giocai perfino a palla con
la guardia.
E, incredibile, mi fu dato un pezzo di
sapone: potei fare il bagno nell'abbeveratoio dei cavalli della prigione
e lavare finalmente la mia tuta di volo sporca, indossata per tutte quelle
interminabili settimane.
Cominciavo a perdere la speranza di essere
rilasciato, tuttavia nelle mie preghiere imploravo la fine di questa prigionia.
Quando finalmente era arrivato un aiuto, forse era già’ tardi. Presto
una notte anch’io sarei stato portato alla “Corrida” per essere giustiziato.
Stupidamente mi stavo facendo del male da solo.
Un tardo pomeriggio due Franchisti (Nazionalisti),
un portaordini del Marocco ed un artigliere italiano, furono rinchiusi
nel garage con me. Il primo era quasi morto. Sussurro' che gli avevano
messo una corda attorno al collo ed era stato trascinato per le strade
di Toledo. Non si capiva come fosse ancora vivo. La folla lo aveva lapidato
e un esagitato gli ha gridato: "Hai ucciso mio cugino" e poi colpito alla
la testa con la baionettta.
Il prigioniero italiano, un ragazzo sotto
i 19 anni, era isterico, terrorizzato. Quando i soldati che lo portarono
in cella si voltarono per andare via, egli si piego’ sulle ginocchia piangendo
e baciando loro le mani.
Osservavo ed ero disgustato dalla scena.
Quando la guardia non ci poteva sentire, mi avvicinai a lui:
"Tenta ancora una volta quella specie
di baciamano e se i Repubblicani non ti sistemano, ci penso io. Puoi esserne
certo che lo faro’!"
gli dissi.
Mi guardava attraverso le lacrime come
un bambino. Ho pensato che non fosse fatto per la guerra.
"Sarai interrogato” continuai “e ricorda
una sola cosa, non dichiarare mai la verità. Tira fuori i muscoli,
fai vedere che hai del fegato. Esagera o diminuisci i fatti, intimoriscili,
falli preoccupare. E' l'unico modo per aiutare i compagni di prigionia"
Quella stessa notte fu portato al Ministero
per un interrogatorio. Immagino che sia crollato perche’ racconto’ tutto
quello che gli avevo detto, parola per parola. Fui rispedito nuovamente
nella cella situata nei sotterranei del carcere.
Quando all’indomani, William Krieger,
terzo segretario dell'Ambasciata Americana, venne da me con il cibo, mi
fisso’ a lungo:
"Hai una predisposizione per ficcarti
nei guai. Come sei riuscito a rimanere vivo per 23 anni?", mi disse.
Krieger mi aveva portato dei canditi e
quella notte, quando un tenente venne nella mia cella, gliene offrii alcuni.
"Molto buoni" disse ma i suoi pensieri
sembravano molto distanti.
"E' un candito americano", risposi. Prese
un altro:
"A proposito, stasera verranno a prenderti
per portarti via"
Non ebbi il tempo di rispondere, se n'era
già andato. Provai di nuovo un senso di sollievo.
Ero dispiaciuto per il personale dell'Ambasciata
che avevo stupidamente messo nei guai con i consigli al prigioniero italiano.
Jay Allen e Louis Fischer si erano adoperati per me ed io gli avevo procurato
delle noie per niente.
A mezzanotte salutai le due guardie
che erano state sempre premurose e mi avevano trattato bene. Una guardia
dall'aspetto molto fiero venne verso di me, non l'avevo mai vista prima.
Mi porto' in un ufficio della caserma, la canna del suo fucile premeva
tra le mie scapole.
All'interno aspettammo due colonnelli
Repubblicani. Uscimmo subito nel cortile. Un capo delle guardie mi saluto'
e mi sussurro': "Ti auguro buona fortuna".
C’era qualcosa che non riuscivo a ricordare,
poi improvvisamente mi rammentai:
"Ci sono due coperte nella mia cella,
appartengono a Bill Kriger dell'Ambasciata Americana".
Uno dei colonnelli ordinò di andare
a prenderle. Poi mi spinsero sul sedile posteriore di una limousine che
stava aspettando. Sentivo i battiti del mio cuore, ma la mente era lucida.
Cio’ nonostante non riuscivo a pregare, continuavo a ripetere a me stesso:
“Ricordati che questi sono i tuoi ultimi
momenti, in questo luogo che non dimenticherai per tutta la vita”.
Improvvisamente quella parola "ricordati" sembrava divertente, era tutto
finito!.
Eravamo partiti da poco quando l'autista
si volto’ verso il colonnello:
"Dove andiamo?"
Il colonnello, seduto alla mia destra
rise, mi guardo' negli occhi e rispose:
"All'Ambasciata Americana"
Il mio viso dev'essere sbiancato o arrossito,
non lo so neanch’io.
L’altro colonnello alla mia sinistra aggiunse:
"Noi rispettiamo il Governo Americano
perchè rispetta il trattato di non intervento”
“Dove pensa che la stavamo portando?",
chiese il colonnello alla mia sinistra.
"Alla Corrida", risposi spontaneamente.
Se sono un mercenario, come disse il generale
repubblicano, allora non sembra proprio sia stato un grande affare! Il
governo degli Stati Uniti non riconosce quei “bizzarri” piloti che vanno
a combattere per altri Paesi.
E cosi’, sebbene abbia quattro anni di
addestramento in due delle migliori scuole militari italiane, su un aereo
da caccia fra i piu’ moderni ed un’esperienza unica nella disciplina di
due guerre in un anno, nel mio Paese non ho diritto neanche una semplice
licenza per il volo turistico.
Secondo la regolamentazione in vigore
negli Stati Uniti, dovrei frequentare nuovamente una scuola di volo e ricominciare
d’accapo tutto il corso di pilotaggio.
Mi e’ “concesso” invece trovare lavoro
come autista d'auto o di camion, come marinaio su uno yacht, come verniciatore
a 70 cents l'ora, ma guadagnare da vivere col lavoro che meglio conosco,
cioè il volo, quello proprio no!
“Sono stato messo a terra”, come si dice
nel gergo aviatorio. Le parole più tragiche per un uomo che vive
solo per volare!
4.Ettore Erasmo di Valvasone
Il 6 Aprile 1940 presentai domanda per
il corso di all’allievo sottufficiale pilota ma il fatto che non avessi
concluso gli studi non andava bene a mia madre: voleva che facessi l’Ufficiale.
Pur essendo entrato tra i primi otto, ed avendo quindi iniziato il corso
conseguii la Maturità Classica dando gli esami da privatista, era
il periodo intorno al 10 Giugno 1940, il giorno dell’entrata in guerra
dell’Italia. Immediatamente dopo feci domanda per l’Accademia. Rimasi alla
scuola sottufficiali fino al momento di entrare in Accademia, a Caserta,
alla fine di ottobre del 1940. Ne uscii dopo tre anni, nel giugno del 1943,
e fui mandato alla Scuola Caccia di Gorizia, aeroporto di Merna, per un
addestramento specifico prima del trasferimento ai Reparti operativi e
poi essere impiegato in operazioni belliche. Alloggiavo a Salcano,
paesino vicino a Gorizia sul fiume Isonzo
ed i pasti li consumavo all’albergo Posta. Doppio comando con il
maresciallo Nicola sul CR30, passaggio sul CR32 ed inizio di preparazione
con acrobazie di coppia. La vita era bella, la speranza era superiore a
tutte le difficoltà, e le “mule” ci guardavano con occhi velati
d’amore. La caduta del fascismo del 25 luglio fu un primo colpo alle mie
patriottiche illusioni, ma tutto continuò nel migliore dei modi
e volando, con la speranza di passare presto sul G.50 e Macchi 200 per
addestrarmi con l’allora cap. Pezzè ed altri istruttori, ed essere
al più presto pronto per servire il mio Paese. L’otto settembre
1943 mi trovavo all’aeroporto di Gorizia nell’hangar di mezzo, insieme
con il mar.llo Nicola mio istruttore di volo su CR32, quando appresi la
notizia dell’armistizio. Mi recai allora al primo hangar verso la strada
di Merna, strada che costeggia l’aeroporto nella parte nord. Nell’hangar
c’era un tenente anziano, o un capitano, che strappava un paracadute: a
momenti facevamo a botte. Per me il paracadute era un simbolo (il paracadute
salva la vita), a lui serviva solo per fare camicette o mutande per la
moglie. La sera dell’8 mentre con il torpedone ritornavamo a Salcano molti
cittadini specie ragazzi goriziani cominciarono a fischiare ed a sfottere.
Il torpedone si fermò, scesi ma tutto finì lì. L'8
settembre 1943 è la data della delusione, del termine dei sogni
e nel mio io rimase solo la voglia di volare. L’allora t.col. Botto Ernesto
detto Gamba di ferro, medaglia d’oro vivente, comandava la linea di volo
e quindi noi allievi del corsoVulcano. Il giorno 9 settembre ci radunò
e disse: “chi ha parenti o amici vicini può andare via”. Poi Botto,
divenne Sottosegretario all’Aeronautica nella Repubblica di Salò.
Graziani era Sottosegretario per l’esercito ed un ammiraglio di cui non
ricordo il nome per la Marina.
Botto era medaglia d’oro, ed era detto
«gamba di ferro» in quanto gli mancava una gamba persa durante
un combattimento in volo nella guerra di Spagna. Botto disse – come ho
ricordato - che chi aveva parenti o amici vicino a Gorizia poteva
andare da loro. Io volevo recarmi a Valvasone ma mi dissero che al ponte
della Delizia sul Tagliamento c’erano i tedeschi e sul Tagliamento fermavano
tutti i giovani. Allora mi fermai a Saciletto nei pressi di Cervignano
dal sergente Cesare Dibert, mio compagno del corso Allievi Sottufficiali
piloti che aveva due molini uno a Cervignano, che funzionava con l’elettricità
e l’altro a Saciletto con la ruota ad acqua.
Imparai a fare il mugnaio. Usavo la tuta
di volo bianca, quella estiva. Rimasi a Cervignano per due mesi fino a
novembre. Sospettavo che all’aeroporto di Gorizia non fosse rimasto quasi
nessuno e ne ebbi conferma quando un giorno provai a rientrare all’aeroporto
e lo trovai deserto. A Cervignano viveva il maggiore De Agostinis ed ascoltando
lui seguii tutte le vicissitudini per la nomina di Botto a capo dell’Aeronautica
della Repubblica Sociale Italiana. Botto era a Padova, alla Fiera Campionaria.
Io insieme a Fiumicelli e ad un ufficiale superiore, un maggiore soprannominato
«il Biondo» [nota: nel raccontarmi di questo ufficiale mio
padre omise volontariamente il nome dicendo che era una persona che aveva
fatto carriera dopo la guerra non ammettendo mai di essersi unito dai repubblichini
; la mia insistenza fu tale per cui alla fine mi disse il nome] andammo
a Padova, avendo saputo del proclama che la Repubblica di Salò aveva
emesso per far rientrare i piloti.
A novembre del 1943 presi il treno a Cervignano
e mi presentai alla Zona Territoriale di Padova e fui reimpiegato. Assegnato
all’ufficio del t.col. Beneforti trovai con me il compagno di corso Erminio
Grandinetti [nota: con Grandinetti mio padre farà la “ripresa voli”
all’aeroporto di Gioia del Colle nel 1950/51]. Ci dettero la mensilità
di settembre e 7.000 lire di perdita bagagli. Con questi soldi potevamo
andare al ristorante e così ci recammo al ristorante Stoppato:,
dove mangiai Faraona arrosto con i carciofini. In questo ristorante tornai
in viaggio di nozze e Anna [nota: mia madre] imparò lì a
fare i carciofi, del tipo alla romana con aglio e prezzemolo. Da Stoppato
andammo in quattro. C’era anche il tenente Alvaro Querci di Lucca che poi
ai primi di agosto del 1944 passò le linee per andare a trovare
la fidanzata a Lucca. Fu preso e portato in un campo di concentramento
a Coltano vicino Pisa. Questo era un campo gestito da partigiani o badogliani
dove venivano internati i fascisti. In realtà fu beffato, in quanto
invece di essere considerato un eroe per avere passato le linee fu considerato
fascista come quelli della «Decima» e gli altri che subiranno
la sorte degli sconfitti.
A proposito della X MAS, in località
Garfagnana al passo dei Carpineti combattevano contro gli americani la
Divisione «Monterosa» e la «Decima ». Ci fu un
episodio: questi “ragazzi” andavano a svaligiare i magazzini degli americani
(sigarette e cioccolato). In queste loro scorribande si erano accorti che
gli americani avevano steso un filo collegato a una mitragliatrice che
sarebbe scattato se qualcuno ci inciampava. Di queste trappole ve n’erano
più d’una. Una sera girarono la
direzione di mira delle mitragliatrici
contro gli americani. Gli italiani dettero un calcio al filo che collegava
le mitragliatrici che incominciarono a sparare, a quel punto gli americani
scapparono credendo fosse in atto un attacco in grande stile. Arrivarono
oltre Lucca e ho saputo che fu istituito un processo contro questi soldati
americani che erano fuggiti. Erano dell’Ottava Armata. Botto tenne un discorso
il 17 novembre 1943 alla Fiera Campionaria a Padova di questo tono: «l’Aeronautica
è l’Aeronautica, quindi, noi ci presentiamo qui e speriamo che quelli
andati a sud ci perdonino, noi perdoneremo loro». Questa è
l’amicizia fra aviatori. Tant’è che quando ero alla 2^ ZAT (Zona
Area Territoriale) a Padova, noi salutavamo ancora con la mano alla visiera
e l’esercito già salutava alla romana, e ci furono delle discussioni
con quelli dell’esercito, al teatro vicino al Pedrocchi. Infatti Graziani
e l’Ammiraglio avevano cambiato il saluto senza dirlo a Botto.
A Padova ero assieme ad Erminio Grandinetti:
ci avevano sistemati all’ufficio personale della segreteria della 2^ Zona
Aerea con il t.col. Beneforti, che all’8 settembre comandava un Gruppo
caccia del 1° Stormo. Questo gruppo di stanza a Ronchi dei Legionari
era equipaggiato con i Macchi 200 ma avrebbe dovuto ricevere i Macchi 202
che non arrivarono mai. Il Colonnello Beneforti era una ottima persona,
poi venni a sapere che era di Pistoia. Poi fui trasferito alla segreteria
del col. Vossilla, che era il Comandante della 2^ Zona Aerea; assieme a
lui c’era anche il magg. Bertoni. Alla ricezione di quelli che si presentavano
c’era il serg.m. Castellani, che poi morì al 1° Stormo con il
gruppo di Visconti, e un certo magg. Musolino.
Di Lollo, mio compagno di corso e con
me a Gorizia in un primo tempo, fu il primo italiano a pilotare un Messerchmit
262, a reazione. Volava nel gruppo di Visconti. All’Ufficio Personale Ufficiali
c’era il magg. Baruffi al quale domandai di tornare a Gorizia. Mi disse
di no. Un giorno ad Erminio Grandinetti fu proposto di andare con un aereo
Saiman 202 presso un comando tedesco a Tricesimo.
Dopo alcuni mesi venne offerto anche ad
un mio subalterno di volare con un Saiman presso l’aeroporto di Povoleto
in collegamento con il comando tedesco che si trovava a Tricesimo
per l’eventuale trasporto del personale. Lui doveva studiare, allora gli
dissi di dire che sarei andato io perché così potevo rivolare.
Fui trasferito nel febbraio del
1944 a Tricesimo al Flugzeug Fhurer Comander [?sic!], quello che oggi chiamano
«guida caccia». L’attività del Comander era la presa
di segnalazione della partenza degli aerei americani da Foggia che andavano
in Austria, Germania ed Italia a bombardare. Una volta intercettati i bombardieri
veniva avvisata la «Caccia» che interveniva dove era segnalato
che stavano arrivando le fortezze volanti. I caccia tedeschi e italiani
si alzavano in volo a difendere il suolo italiano. Il comandante di questo
gruppo tedesco era il col. Von Maltzan. [sic!]. Atterrai a Povoleto, feci
poi un giretto con l’aereo, ma i tedeschi usavano dare motore al contrario
di noi. Noi si tirava la manetta, loro la spingevano. Feci una puntata
su un gruppo di tedeschi ed italiani e sbagliai dando manetta con il Saiman
e passando sopra le loro teste; avevo rischiato di ucciderli e di schiantarmi
al suolo. Loro invece mi applaudirono pensando che avessi fatto chi sa
quale impresa.
Nel marzo del 1944 morì mio patrigno
Attilio Bencaster per un attacco di cuore. Chiesi a Von Maltzan un aereo,
e mi fu dato un Saiman. Pensavo di atterrare a Sarzana, ma era stata bombardata.
Allora atterrai a Parma e di lì in treno arrivai a casa a La Spezia
da mia madre.
Successivamente il Comando Flugzeug [?]
fu trasferito vicino Bologna a villa Marconi (Sasso Marconi) e portai il
Saiman all’aeroporto di Bologna. Il Comandante Von Maltzan mi propose di
entrare come tenente nella Lutwaffe, io ero sottotenente, ma gli feci vedere
il distintivo di orfano di guerra e dissi: «Comandante, vede, mio
padre è morto per avere combattuto contro di voi ed io non posso
tradire la sua memoria. Mio nonno Nicolò aveva combattuto nella
I GM dal 1916 al 1918, ed era stato congedato nel luglio 1919 col grado
di Tenente. A causa delle ferite e in particolare del freddo e malattie
che aveva preso sia sul Pasubio nel 1916/17 che attraversando il Piave
a nuoto come ufficiale del servizio informazioni dell’VIII armata nel 1918,
morì nel 1926 ad appena 39 anni; per questo gli era stata riconosciuta
la causa di guerra. Anzi lei che può mi faccia trasferire a Gorizia».
Andai a finire al Gruppo Trasporto Velivoli
“De Camillis” di Gorizia. Gruppo trasporto velivoli di varia qualità,
dall’FL3 al Macchi 200, dall’Italia in Germania. Era all’incirca tra marzo
e aprile del 1944. Mi presento all’aeroporto e dico: «sono Valvasone»;
mi dice un caporale maggiore tedesco: «non c’è» (intendeva
nell’elenco). In quel momento era presente
Pontevivo, un altro del Vulcano, che disse: «Graf» (Conte),
e il caporale «Ja,Ja»; nell’elenco c’era scritto «Graf
Von Valvasone».
A Gorizia ritrovai oltre a Pontevivo anche
Peppuccio Gennaro, Marangoni, Minotti che era di Gorizia, Di Lollo, e tanti
altri del corso Vulcano. Il giorno dopo mi dettero un foglio di viaggio
con l’ordine di andare a portare un FL3 a Muenkendorf, che è un
paesetto in Austria dove all’epoca si trovava una scuola di volo. L’FL3
era la balilla d’Italia, con un litro faceva dieci chilometri. Aveva un
motore leggerissimo. Un giorno Non riuscivo a farlo decollare controvento,
allora lo presi per il ruotino di coda e lo trascinai mettendolo verso
la direzione del vento, così decollai col vento in coda.
Da Gorizia la maggior parte dei voli era
in direzione di Graz e dei laghetti di Klagenfurt, verso Vienna, in Austria.
Spesso portavamo aerei a Graz dove c’era la «scuola allievi»
tedeschi. Poi tornavamo con uno Junker 52 che ci raccoglieva tutti riportandoci
a Gorizia. Graz, luogo frequente di arrivo del trasporto degli aerei, aveva
più piste sia per la scuola di volo con FL3 che con gli Arado ed
una pista per la scuola di volo a vela con alianti.
Nella seconda metà di luglio ci
affidarono il compito di trasferire da Gorizia quattro Saiman a Baltringen,
verso Magonza in Germania, via Innsbruck, ad un’altra scuola di volo. Le
cattive condizioni del tempo ci costrinsero a deviare per Bolzano ove restammo
fermi per circa 20 giorni in attesa di miglioramento delle condizioni climatiche.
Il 9 Agosto ottenemmo il permesso di decollare. Con me c’erano il s.ten.
Zucconi ed i marescialli Zorn e Montanari. Poco dopo aver superato il Brennero,
all’altezza dei laghi di Schongau, fummo improvvisamente attaccati sul
fianco destro da una pattuglia di quattro aerei Mustang americani. Virai
istintivamente a sinistra cercando di infilarmi nelle valli strette delle
Alpi [nota: a mia madre aveva detto che s’era infilato in una gola dove
volando parallelo al terreno avrebbe rischiato di toccare con le ali la
montagna, ma che quello era l’unico modo per salvarsi]. Gli aerei inglesi
ed americani non potevano certamente volare così bassi ed in spazi
così angusti. Vidi il m.llo Zorn tentare un atterraggio di fortuna
virando e tornando verso la direzione da cui eravamo venuti. Fu raggiunto
dai caccia nemici quando oramai era a terra e ripetutamente colpito sino
a quando l’apparecchio non prese fuoco. Ci salvammo in tre raggiungendo
Baltringen e rientrammo in sede il 13 agosto. I Saiman in Italia venivano
usati per il volo strumentale. Li avevo usati durante i corsi in Accademia,
a Capua. C’erano due strumenti che servivano per valutare se uno «andava
via liscio». In maggioranza portavamo Saiman ed FL3 utili alle scuole
di volo. I CR32, che a volte portai anche all’aeroporto di Graz, venivano
usati come aereo civetta oppure demoliti per recuperare il ferro, strumenti
e quant’altro di utile. A proposito dei CR32, il 28 maggio partimmo da
Gorizia diretti a Muenkendorf in tre: io, il s.ten. Pitocchi, che era del
corso Vulcano, ed il serg.m. Buccero. Pitocchi, che era l’unico ad avere
la bussola, si infilò dentro le nuvole. Sentii un aereo che mi passava
sulla testa. Era Buccero che tornava indietro in direzione di Gorizia.
Probabilmente si perse e forse finì in mare o in qualche palude.
Fu dato per disperso e non si seppe mai che fine aveva fatto. Io proseguii
e facendo dei gestacci a Pitocchi lo oltrepassai e me ne andai per i fatti
miei. Arrivai a Graz prima di lui, senza bussola.
Un giorno, con un CR32, ero diretto verso
un altro aeroporto dell’Austria. Un sottotenente di complemento disse:
«facciamo la coppia»; ma mi passava sopra e sotto continuamente.
Diedi manetta e scappai perché capii subito che la coppia non l’aveva
mai fatta. Infatti, come si dice, non reggeva la coppia, ovvero stare in
volo affiancati. Dava continuamente «piede» per cercare di
avvicinarsi. Meglio togliersi prima che mi finisse addosso. Facemmo molti
viaggi fino all’Agosto del 1944. C’era un aeroporto vicino a Vienna nel
cui sottosuolo, ad una profondità di dieci metri, avevano costruito
una fabbrica di benzina sintetica. Gli alleati a « suon di bombe
» raggiunsero la fabbrica distruggendola.
I tedeschi avevano promesso i Me 109,
invece non fecero altro che cercare di portare i piloti italiani in Germania
alla Lutwaffe. Io non accettai. Infatti era successo un «casino»
nell’agosto del 1944: i tedeschi volevano mettere i piloti italiani con
la divisa tedesca, ovvero istituire una legione italiana all’interno della
Luftwaffe. Pochi lo volevano e sciolsero molti Gruppi. A causa delle tensioni
con i tedeschi per due mesi fu bloccata quasi ogni attività dell’aviazione
repubblicana. Il reparto G. T.V. era stato reso inoperativo il 15 agosto
e trasferito a Lonate Pozzolo. Nel settembre fu sciolto e ai piloti fu
data libertà di congedarsi o passare ad altri reparti.
Lasciata a settembre Gorizia, andai ad
Udine alla Caserma Erasmo di Valvasone. Dopo qualche tempo passò
Marangoni e mi disse che mi cercavano, mi avevano dato per disperso.
Andai a Bergamo all’ufficio personale
dove incontrai Fiumicelli. Mi mandarono al Gruppo Azzurro a Trezzo d’Adda
dove c’era il deposito macchine della 1^ Legione Aerea, Zona di Milano.
Il mio fratellastro Sergio Bencaster mi venne a trovare a Trezzo d’Adda.
Era entrato nella Milizia Ferroviaria, aveva 15 anni e portava un pistolone
per cui gli dissi: «il carro armato dove l’hai lasciato?».
Sergio era grande e grosso e veniva continuamente bloccato dai tedeschi
che lo volevano portare a lavorare nella Todt credendo fosse un renitente
alla leva. Lui invece voleva andare alla Decima MAS, ma io scrissi a mia
madre che era meglio entrasse nella Milizia Ferroviaria. Un giorno a Trezzo
diedi un permesso ad un aviere che voleva andare a Palazzuolo vicino Brescia.
Era un sabato ed io gli dissi che doveva essere presente in tutti i modi
all’appello di lunedì mattina. Partì sui pattini a rotelle
ed il lunedì mattina era rientrato in caserma. Poco tempo dopo,
quando Mario Anzichi (altro del Vulcano) mi chiese di andare con
lui a Mantova, (Mario Anzichi assieme al s.ten. Porro mi avevano invitato
a lasciare il servizio. In seguito alla morte del s.ten. Porro per un incidente
di macchina Mario aveva insistito perchè lasciassi il servizio),
dissi a Fiumicelli che me ne volevo andare, perché di fare il «fante»
nel battaglione azzurro a me non andava. Mi diede una licenza illimitata
senza assegni.
Con Mario Anzichi, Luciano Semeraro e
Franco Dalè andai quindi a Mantova tra la fine di gennaio e l’inizio
di febbraio 1945; poi arrivò anche Antonio Berillo, un altro del
Vulcano. Mario aveva un foglio, un permesso dei tedeschi, che dava la possibilità
di comprare automezzi e rivenderli a loro. Avevamo preso in affitto un
garage grande alla Molina dove sistemavamo macchine e camion da rivendere.
Una volta un tedesco ci vendette un Taurus
verniciato con pittura mimetica per cinquecentomila lire. Noi lo portammo
in garage alla Molina, lo pitturammo d’azzurro, unica vernice che avevamo,
ed il giorno dopo lo rivendemmo ai tedeschi per un milione e mezzo.
Un giorno, mentre con Mario tornavamo
da Bergamo su una “1100”, fummo attaccati da due aerei americani Thunderbolt.
Stavamo viaggiando tranquilli e poco prima avevamo chiesto a due operai,
due «stradini», se avevano sentito o visto aerei, ottenendo
un cenno negativo. Solo dopo scoprimmo che erano due sordomuti.
Ad un certo punto dissi a Mario di rallentare,
anzi di fermarsi. Avevo l’impressione che la ruota posteriore destra fosse
bucata. Appena in tempo. Mario rallentò ed inserì la “terza”,
ed in quel mentre ducento colpi di mitraglia si stamparono sul cofano anteriore
della macchina. Mario sterzò bruscamente e finimmo in un fosso.
La prima passata dei caccia americani aveva bucato il pneumatico posteriore
e non ce ne eravamo accorti. La seconda invece arrivò talmente vicino
che un
pallottola bucò il sedile dove
ero seduto, mi passò in mezzo alle gambe. Inoltre nel fosso era
stato accumulato il letame fresco, come usava un tempo, in attesa di spargerlo
nei campi. Mario, nell’uscire dall’auto passando dalla parte dove sedevo
io, era finito in quel letamaio. Ci nascondemmo sotto un piccolo albero
poco distante ma per fortuna gli aerei si erano già allontanati.
Lasciata Mantova con Mario andammo a Bergamo
e cercammo di trafficare con merce varia. Una mattina sentimmo degli spari
e meravigliati ci dissero che erano scesi in città i partigiani,
era il 25 Aprile 1945.
Nell’ottobre del 1945 ero a Vicenza da
Armando Marangoni che mi disse : «come! non ti sei ancora ripresentato?».
Era uscito un bando per la raccolta di quelli che erano stati nella Repubblica
Sociale. Mi presentai a Vicenza. C’era un capitano che mi disse: «peccato
voi del Vulcano, così giovani»; intendeva dire che non ci
avrebbero accettato nell’Aeronautica per
il nostro passato nella RSI. Allora dissi che lo avevo visto quando nel
1943 si era presentato alla ZAT di Padova, quindi della Repubblica
di Salò, per i soldi. Mi disse: «si, ma poi mi sono dato ammalato»;
ed io: «anch’io mi sarei dato ammalato, se avessi potuto, e comunque
ti ho visto in via Dante alla mensa». Mi diede cinque giorni di arresti
con una scusa.
Dopo una settimana tornai a casa a La
Spezia. Mi avevano epurato. Mi avevano fatto delle domande del tipo «perché
hai aderito alla Repubblica di Salò?» ed io scrissi «perché
avevo lì i miei superiori», e «hai avuto contatti con
i partigiani?» ed io «si, dopo la liberazione».
A casa mia madre mi presentò Lamberto
Colapietro. Mentre ero in Accademia mi ero iscritto a Legge a Pisa. «Così
studiate assieme» disse mia madre. La nonna di Lamberto aveva un
bar in via del Torretto a La Spezia. Lo zio di Lamberto trasportava i giornali
da Genova fino a Pisa con un camioncino e qualche volta lo accompagnavo.
Un giorno ad una curva sulla Foce, vicino a Spezia, trovammo del ghiaino
sull’asfalto e uscimmo di strada finendo in un burrone .Anche quella volta
mi andò bene.
Un giorno con Lamberto dovevamo andare
a Pisa per pagare le tasse universitarie. Ma non lo facemmo e, tornati
indietro, comprammo un camion per il trasporto di benzina. Io avevo trecentomila
lire, un milione e seicentomila me li prestò mia nonna Elvira, duecentomila
lire era quel che aveva Lamberto. Il camion lo pagammo in tutto tre milioni
e mezzo, quel che mancava l’avremmo pagato col lavoro. Io mi occupavo del
lato «commerciale» dell’impresa, Lamberto ed un altro facevano
gli autisti. La mattina andavo da « Peola » sotto i portici,
verso le 10 e mezzo o 11. Arrivavano i clienti, offrivo un caffè
od un aperitivo, se chiedevano una certa quantità di carburante,
ad esempio 50 quintali di olio combustibile, andavamo alla “Shell”, caricavamo
l’olio combustibile pagandolo subito, e lo portavamo al cliente. Comprammo
un camion tipo «66» con quattro milioni e mezzo per trasportare
catrame. Per Lamberto questo finì per essere il suo lavoro, e così
lo è stato per i suoi figli. Divenne uno degli uomini più
ricchi di La Spezia.
Io rientrai in Aeronautica, dopo cinque
anni, perché pur di rientrare e volare avrei fatto i salti mortali.
Infatti mi richiamarono, nell’ottobre del 1949, dandomi 60 giorni di fortezza
per essere stato nella Repubblica Sociale. La pena fu trasformata in dieci
giorni di arresti poi condonati anche questi. Fui mandato a Firenze.
La sera del 10 dicembre 1950, alla festa
per la Madonna di Loreto, protettrice degli aviatori, alla Scuola di Guerra
Aerea di Firenze, conobbi Anna, mia moglie. Nel marzo del 1951 ci sposammo
e, dopo il viaggio di nozze, ci trasferimmo a Gioia del Colle dove continuai
la «ripresa voli» su aerei americani, gli Stinson.
Nell'agosto del 1974 sono stato messo
a riposo, nella riserva, con il grado di Colonnello. Pochi giorni prima
avevo effettuato le ultime ore di volo in seno all’Aeronautica Militare
Italiana. Solo successivamente a me e ad altri colleghi del Vulcano hanno
riconosciuto il grado di Generale. Sempre a titolo onorifico ho poi ricevuto
il grado di Generale di Divisione Aerea.
5.Leonardo Ferrulli
Leonardo Ferrulli nasce il 1°gennaio
1918 a Brindisi. Si arruola in Aeronautica il 23 giugno 1935 e consegue
il brevetto di pilota militare il 5 marzo 1936 a Grottaglie. Il 16 marzo
1936 viene assegnato alla 84^Squadriglia del 4°Stormo di Gorizia. Parte
per la Campagna di Spagna il 12 febbraio 1937 e rientra a Gorizia il 24
dicembre 1937. Viene assegnato prima alla 90^ Squadriglia e poi alla
91^. All'inizio della Seconda Guerra Mondiale, il 7 giugno 1940, e' inviato
in Libia (A.O.I.). Partito da Sigonella il 5 luglio 1943, durante un combattimento
contro uno Spitfire nel quale il suo aereo viene gravemente danneggiato
decide di lanciarsi con il paracadute quando ormai e' troppo tardi. Nella
sua seppur breve carriera gli vengono conferite tre Medaglie d'Argento
al Valore Militare, tre medaglie in Spagna ("Medalla Militar", "Medalla
de la Campana", "Cruz Roja"), tre Croci al Merito di Guerra e una Medaglia
d'oro al Valore Militare. Ferrulli e' stato uno dei piu' grandi assi dell'Aviazione
italiana e pilota eccezionale. Ha conseguito un totale di 22 abbattimenti
individuali e uno collettivo. Di lui si sa ben poco altro, poiche' la documentazione
ufficiale dello Stormo e' andata perduta nell'affondamento della nave che
la trasportava daal'Africa all'Italia.
6.Ugo Corsi
Ugo Corsi, soprannominato "Fufo" per il
suo volto da ragazzino, aveva un istinto innato per il volo, una padronanza
senza uguali del velivolo e di lui si dice che, se non fosse nato sfortunato,
sarebbe stato il miglior pilota acrobatico dell'Aviazione italiana. Fu
il pilota piu' abile del 4°Stormo. Poco dopo essere giunto in Spagna,
cade prigioniero. Al primo combattimento in Africa si trova ad affrontare
da solo cinque Hurricane, ne abbatte tre e alla fine viene a sua volta
abbattuto. Finito in mare con il suo CR 32, il suo corpo non verra' mai
piu' trovato. Nato a Pirano d'Istria nel 1911, e' scomparso nel Golfo di
Sollum il 19 giugno 1940.
7.Francesco Comelli
Franco (Francesco) Comelli (Komel), nasce
a Gorizia il 29 aprile 1910 in via Codelli n.14 da Francesco e Maria Vecchiet.
Il 14 gennaio 1931 viene ammesso alla Scuola Specialisti di Capua, il 28
marzo 1931 inizia il corso di pilotaggio alla Scuola di Volo di Sesto San
Giovanni e il 9 settembre consegue il brevetto di pilota civile. Assegnato
alla 2^Squadriglia Caccia di Aviano, il 10 ottobre, consegue il brevetto
militare su CR 20 il 20 novembre e transita alla 75^Squadriglia il 4 gennaio
1932 e successivamente al XXIII Gruppo di Lonate Pozzolo. Il 15 agosto
1933 giunge infine alla 91^Squadriglia del 4°Stormo di Gorizia e vi
rimarra' fino alla morte, l' 8 luglio 1938, dovuta a un incidente durante
il decollo da Fologno. Partecipa alla Campagna di Spagna nel 1937 ove si
guadagna una medaglia d'argento, una di bronzo e la "proposta" di una seconda
medaglia d'argento
8. Marco Minio Paluello
Mio padre, purtroppo molto rigido nell'educazione con noi figli e piu' "largo" con gli altri, non aveva assolutamente l'abitudine di parlare di se stesso. I ritagli di giornali contenuti nel libro del Gen. Duma che accennano a mio padre li ho avuti da una mia zia, che li aveva gelosamente conservati. Mio padre ha distrutto dopo la guerra le copie conservate da mia madre perche' lui "quello che ha fatto lo ha fatto perche' suo dovere e non se ne doveva gloriare" e questo prendetelo come unico aneddoto che io ho su di lui. Purtroppo non ho ricordi perche' non me li ha mai raccontati. Posso solo dire che era molto severo (soprattutto con se stesso), onesto, lavoratore, non lo ho mai sentito dire una parolaccia! Massimo Minio Paluello
Ecco tutto quello che sappiamo della vita
aeronautica di Marco Minio Paluello:
Com.te 73^Sq. dal 05/03/1934 al 1/02/1935
Com.te 96^Sq. dal 06/04/1936 al 31/03/1937
Com.te IX Gr. dal 27/02/1941 al 23/11/1941
Com.te 4°St. dal 25/10/1941 al 01/01/1942
Nell'ottobre 1941, a bordo di un MC 202,
in un combattimento a Nord di Malta abbatte uno Spitfire.
9.Mario Bandini
Nato il 12 dicembre a Castrocaro (Forli'),
consegue il brevetto di pilota d'aeroplano il 24 settembre 1929 e il brevetto
di pilota militare il 13 febbraio 1930. Inseparabile amico di Raffaele
Chianese, e' vissuto a Gorizia (in via Manzoni) fono alla morte, avvenuta
il 23 aprile 1983. E' stato decorato con la Medaglia d'Argento al
Valor Militare per la sua azione sul cielo di El Adem del 16 giugno 1940,
con le seguente motivazione: "Sottufficiale pilota da caccia ardito ed
esperto, capo formazione di una pattuglia di polizia aerea, avendo avvistato
sei apparecchi nemici, decisamente li inseguiva e li attaccava. Ferito
ad un braccio da una raffica di mitragliatrice insisteva nei suoi attacchi
riuscendo ad abbattere un velivolo nemico". L'azione puo' essere dunque
cosi' riassunta: Bandini sta rientrando dopo aver completato il turno di
allarme sul camapo T3 di Tobruk quando si trova in rotta con sei Blenheim
inglesi che stanno rientrando dopo aver bombardato il suo campo base di
El Adem, ne raggiunge uno in coda e lo mitraglia, mentre viene ferito al
braccio da un altro avversario, fino a quando non lo vede infrangersi al
suolo. A questo punto rientra a Tobruk T2 e solo dopo aver riferito su
quanto avvenuto acconsente a essere trasportato in ospedale.
10.Alberto Montanari
Nato a Sagrado (Gorizia) il 10 luglio 1911,
inizia a volare nel 1929. Consegue il brevetto di pilota d'aeroplano nel
1930 presso la Scuola di Volo di Ciampino. E'assegnato alla 91^Squadriglia
del 1°Stormo di Campoformido e, durante le "Grandi Manovre Aeree",
momentaneamente dislocato ad Aviano. Fa parte del primo gruppo di 64 piloti
insediato a Gorizia nel settembre 1931. Partecipa alle piu' importanti
manifestazioni aeree di quei tempi: Budapest (1936 e 1937), Zurigo (1937),
Belgrado (1938) e Berlino (1939). Durante il Secondo Conflitto Mondiale
e' in Africa sempre con il 4°Stormo e dopo l'8 settembre entra a far
parte del G.T.V. (Gruppo Trasporto Velivoli). Terminata la guerra, lascia
l'Aeronautica e continua a volare come istruttore dell'Aeroclub di Trieste
e Gorizia. E' scomparso il 30 giugno 1998