Un volo, più di cinquant’anni
fa.
Un pò più di mezzo secolo fa, il Comandante Chianese mi regalò l’emozione del primo volo. Doveva essere nella seconda metà degli anni ’50 e sul campo di Ronchi del Legionari si celebrava la Giornata dell’Ala. Era una manifestazione con qualche connotato di sagra paesana, perché in Italia erano tempi davvero difficili per le attività aeronautiche, ma richiamava spettatori entusiasti da tutta la regione. Davano spettacolo noti “artisti” dell’aria: il capitano Damiani, con il G46, il maggiore Mantelli, con l’aliante Canguro ... Quella festa (che si tenne annualmente dal 1950 al 1958) l’aveva resuscitata Furio Lauri, avvocato e pilota, medaglia d’oro al Valor Militare nella guerra appena terminata. Nel 1947, nei capannoni rabberciati dell’aeroporto, maltrattato dai bombardamenti, aveva avviato con alcuni amici la Meteor, società per costruzioni aeronautiche, oggi universalmente nota. Le officine avevano cominciato con la riparazione di aerei recuperati nel surplus delle forze Alleate, erano passate poi alla costruzione di alianti e, quasi ontemporaneamente, avevano messo mano alla realizzazione di un agile monomotore ad ala bassa, derivato dall’addestratore FL3. Nacquero così, uno dopo l’altro, l’FL 53, l’FL 54 e l’FL 55, rispettivamente a due, tre e quattro posti. In quegli anni ero corrispondente del settimanale ALI Nuove, di cui era direttore il mitico Armando Silvestri. Mi aveva chiesto “un buon servizio” dalla manifestazione di Ronchi e, alla chiusura della giornata, esibii all’avvocato Lauri la mia modesta Closter e gli chiesi di poter fotografare in volo un FL dell’ultima serie. Lui mi affidò alle cure del Comandante Chianese, a quel tempo pilota istruttore dell’Aero club di Ronchi, che mi fece salire su un MB 308, mi allacciò la cintura e dette manetta. Cominciai così una lunga avventura tra aeroporti e aeroplani, ma ho sempre vivo il ricordo di quel volo e di quel signore in tuta, silenzioso e già con i capelli diradati, che per la prima volta dette una dimensione reale alla mia passione per il volo. Mezzo secolo fa, Raffaele Chianese faceva già parte della storia dell’aviazione italiana. E l’aviazione italiana, come dimostra nei suoi scritti, è la storia della sua vita. Ancora una volta, gheregheghez, Comandante. Bruno Stella.
Presidente UGAI
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A Raffaele Chianese
Dopo quasi 55 anni è ancora con grande emozione che ho ritrovato nelle pagine di quest'opera magistrale quell'Uomo e quell'Istruttore che con il Suo esempio m'ha insegnato ad essere pilota, istruttore ed uomo con il senso del dovere, a Sua immagine e somiglianza morale. Grazie, RAFFAELE CHIANESE ! Suo per sempre affezionatissimo. Renzo Dentesano
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Mio padre
Al momento di mandare in stampa questo libro, Raffaele Chianese sta per compiere 100 anni e la sua memoria non è più lucida come in passato,tuttavia è stato possibile carpirgli ulteriori dettagli che hanno arricchito il diario oggetto della nostra precedente pubblicazione “Aquile e Pomodori”. Del primo gruppo di 64 piloti che giunsero a Gorizia nel settembre del 1931, oggi lui è l’ultimo "superstite". Al 4° Stormo è giunto dopo un anno trascorso al 1° Stormo di Campoformido ed a Gorizia ha contribuito a portare avanti la tradizione dell'acrobazia collettiva, voluta e sostenuta da Rino Corso Fougier, che rese famoso il 4° Stormo. Lasciato definitivamente il volo nel 1970, si è dedicato, fino a quando ne ha avuto la forza, al suo “orticello”, tornando così alle origini contadine di famiglia e, con chi lo andava a trovare, amava più parlare delle sue piante di pomodori che del suo passato. Fulvio Chianese
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La mia infanzia
Sono nato a Calvizzano, provincia di Napoli,
il 14 marzo 1910 in una modesta casa di campagna ove ho trascorso la giovinezza
insieme ai miei genitori e numerosi fratelli. Mio padre Gennaro, morì
nel 1936, a 68 anni per una banale infezione alle vie urinarie che oggi
si sarebbe curata con antibiotici. Mia madre, Giovanna Galiero, è
morta a cent'anni ed ha vissuto fino all'ultimo da sola, nella sua vecchia
casa di Calvizzano. Il più anziano dei miei fratelli, Vincenzo,
classe 1896, partecipò alla Grande Guerra e il 29 giugno 1916, mentre
si trovava nella zona del San Michele, a 4 km dal campo di volo di Gorizia,
venne coinvolto dall'attacco austriaco con il fosgene, il terribile gas
ulcerante fatto defluire da centinaia di bombole piazzate presso la Cima
4 del monte. Vincenzo fu solo sfiorato dalla nube tossica, ma per il resto
della vita risentì delle conseguenze del gas. Della Grande Guerra
ricordo ancora con chiarezza un episodio poco noto, forse poco pubblicizzato
perchè poteva costituire uno smacco per le nostre Forze Armate:
nel marzo del 1918, durante la notte un dirigibile tedesco sorvolò
senza trovare ostacoli la città di Napoli, sganciò alcune
bombe che mancarono gli obiettivi strategici e colpirono il centro abitato,
causando il panico e diversi morti. Il frastuono delle bombe giunse fino
a Calvizzano, mi svegliai e mi affacciai al balcone, in strada i paesani
spaventati facevano le ipotesi più disparate sulle cause dei boati.
Nel 1919, da poco terminata la Guerra, scoppiò l'epidemia "spagnola"
e Napoli subì un'altra dura prova, anche la nostra famiglia ebbe
una vittima, mio zio paterno Girolamo. La nostra era una famiglia di contadini,
eravamo nove fratelli, tutti fin da piccoli impegnati ad aiutare nei lavori
dei campi e ad accudire gli animali della masseria. Io fui più fortunato
degli altri poichè mio zio materno, Raffaele, mi prese a cuore e
convinse mio padre a farmi studiare fino al conseguimento della licenza
media. Non fui comunque esonerato dai lavori in campagna che mi attendevano
al pomeriggio, quando rientravo dalla scuola che si trovava in un altro
paese e che raggiungevo percorrendo diversi chilometri a piedi. Mio zio
Raffaele, classe 1885, era sacerdote e professore. Uomo di cultura, ordinato
sacerdote nel 1910, partecipò alla Grande Guerra e successivamente
fu molto attivo, si distinse per alcune sue opere storiche su Calvizzano
e si impegnò anche in politica. Finite le scuole medie dovetti aiutare
mio padre nei lavori della campagna e questa volta a tempo pieno. L'Italia
era uscita vittoriosa dalla Grande Guerra ma le ferite erano ancora aperte,
la vita era dura ed il cibo non abbondava. La nostra casa era in aperta
campagna, costruita al piano terra con muri di tufo, si accedeva dall'interno
di un cortile, la porta d'ingresso semplice e massiccia, aveva una sola
battuta. All'interno un focolare con intorno panche e qualche vecchia sedia
di legno grezzo. Nel caminetto grossi ceppi bruciavano lentamente e contribuivano
ad illuminare la stanza le cui pareti erano annerite dal fumo che a volte
fuorusciva dalla cappa. I servizi igienici erano all'esterno ed erano tutto
tranne che "igienici". Le pietanze più consumate erano fagioli,
patate, pomodori, uova, animali da cortile, salsicce affumicate. Non mancavano
noci e castagne ma il piatto al quale ero più affezionato era la
zuppa di patate con lo stoccafisso. Vivendo in campagna non abbiamo sofferto
la fame che invece era un problema più sentito da chi stava in città.
Nostro padre, con una famiglia di tanti figli, non poteva permettersi molti
lussi ma tutto sommato non ci potevamo lamentare, tutti si lavorava sodo,
noi maschi in campagna e le femmine in casa. Mia madre provvedeva ad acquistare
il vestiario che ci serviva ed alla fine della settimana, avevamo anche
qualche soldo per le nostre piccole spese. Mio padre aveva preso in affitto
24 campi che erano coltivati in gran parte a frutteto ed il resto a canapa.
Tutto intorno, nella parte perimetrale dei campi, c’erano lunghi filari
alberi di noci il cui raccolto rappresentava una consistente entrata per
la famiglia. Le noci erano pagate bene e gli alberi venivano “battuti”
con dei bastoni ma i rami più alti non erano facilmente raggiungibili.
Io ero agile e mi arrampicavo senza timore fino alla cima e così
cominciai a raccogliere le noci abbandonate che poi andavo a vendere “in
proprio”. Dopo diversi mesi raccolsi un gruzzoletto che mi permise di acquistare
una bicicletta, a quei tempi un miraggio per un giovane come me. Un giorno
mia madre mi incaricò di portare ad un negoziante del paese i soldi
relativi alle spese arretrate, una cifra consistente, cosa che feci senza
preoccuparmi di chiedere una ricevuta, ero troppo giovane ed inesperto.
Il negoziante in seguito negò di aver ricevuto il denaro e mia madre
dovette sborsare nuovamente la somma e non volle credere mai alla mia versione
dei fatti, l’acquisto della bicicletta aggravò la mia posizione.
Questa convinzione non la modificò negli anni, nonostante i miei
sforzi per dimostrare il contrario, e questo mi amareggiò per la
mancanza di fiducia nei miei confronti. Molti anni dopo mi confessò
di essere convinta che la somma che riceveva mensilmente e che era il mio
compenso per la mia rischiosa missione in Spagna, fosse dovuta al mio senso
di colpa per quella vecchia storia, ci rimasi molto male!
L'arruolamento
Come tutti giovani dell’epoca, sono attratto
dalla nuova Arma, l’Aviazione, che, dopo aver dimostrato la sua importanza
strategica durante la Grande Guerra, stava sviluppandosi velocemente, conquistando
record dopo record. Compiuti i 18 anni, confido a mio padre che vorrei
arruolarmi nella Regia Aeronautica spiegando che volevo intraprendere la
carriera di pilota. Mio padre non si dimostra entusiasta dell’idea, anzi,
non può permettersi di perdere due braccia, proprio ora che aveva
preso in affitto altri campi e pertanto la risposta è un secco “No!
Scordatelo”. Così, contro la volontà dei miei genitori e
falsificando la firma di mio padre, presento segretamente la domanda per
la selezione all’ammissione al Corso Sottufficiali Piloti. Un paio di mesi
più tardi ricevo una lettera, debbo presentarmi all'Istituto di
Medicina Legale di Napoli per essere sottoposto ai controlli medici e verificare
così la mia idoneità psico fisica e attitudinale al volo.
Fuori dall’edificio dell’Istituto di Medicina trovo un folto gruppo di
coetanei che attende come me di entrare, ci vengono richiesti un documento
di riconoscimento e la lettera. Dopo una mezzora, un aviere con le nostre
cartelle sotto il braccio, ci chiama a gruppi di una mezza dozzina per
volta e ci accompagna accanto all’ingresso degli stanzoni che fungono da
ambulatori dove i medici specialisti, tutti Ufficiali dell’Aeronautica
in camice bianco, coadiuvati da avieri, esaminano, uno alla volta, i giovani
aspiranti piloti. C’è un gran trambusto, gli esaminandi si spostano
da un ambulatorio all’altro, gli avieri chiamano i nomi ad alta voce e
con le cartelle si spostano da uno stanzone all’altro, seguiti da gruppetti
di ragazzi. Quando è il mio turno della visita di otorinolaringoiatria,
l'Ufficiale medico, dopo avermi controllato naso, orecchie e bocca, mi
chiede di voltargli le spalle e ripetere le parole che pronuncia. Sono
raffreddato e probabilmente non ripeto correttamente alcune parole ed inoltre,
quando il medico emette un fischio, io che non so fischiare, me ne sto
zitto. Il medico conclude che il mio udito non è normale e verso
mezzogiorno, terminate tutte le visite, vengo chiamato in un ufficio dove
un maresciallo, dietro ad una scrivania stracolma di cartelle, mi comunica
frettolosamente che non sono idoneo perche “non ci sento”! È un
duro colpo ma non mi arrendo, dopo circa sei mesi, nel novembre 1929, ostinato
nella mia determinazione di diventare pilota, ripresento la domanda senza
menzionare il precedente esito negativo, altrimenti non potrei essere riammesso
alla selezione. Ripeto tutta la trafila di esami clinici e visite e, quando
entro nell’ambulatorio di otorinolaringoiatria, per un attimo mi si gela
il sangue nelle vene, l’Ufficiale medico è lo stesso che mi aveva
visitato sei mesi prima e mi riconosce e mi chiede: "… ma tu non eri sordo?".
Questa volta però supero la selezione, finalmente respiro a pieni
polmoni, la mia vita è cambiata, mi sembra di toccare il cielo con
un dito!
Il Centro Addestramento di Capua
Ora debbo affrontare un’altra prova: rivelare
ai miei che intendo lasciare la famiglia per fare il pilota e … che ho
“falsificato” la firma. La reazione di mio padre era scontata ma fortunatamente
mia madre contribuisce a placare la sua irritazione. Trascorrono alcuni
mesi in attesa della lettera di convocazione per l’inizio del corso di
formazione militare. Ai primi del gennaio del 1930 ricevo la lettera, debbo
presentarmi a Capua, al centro di addestramento militare. Solamente qualche
giorno prima della partenza comincio a rendermi conto che la mia vita è
ad una svolta, dovrò separarmi dai miei genitori, dai miei fratelli,
dalla mia casa, dagli amici. Una settimana dopo mi ritrovo a Capua, in
una caserma, insieme ad altri 330 coetanei. Veniamo subito inquadrati,
divisi in plotoni di una cinquantina di allievi e assegnati a diversi istruttori,
ci viene insegnata la disciplina militare ed a marciare. È previsto
anche lo studio delle materie correlate al volo: aerodinamica, motori,
impianti, e così via. Siamo alloggiati tutti insieme in alcuni grandi
hangar utilizzati come camerate, gli ultimi giorni veniamo addestrati all'uso
delle armi. Divento amico di Italo Baldelli, di un anno più giovane,
con il quale trascorro insieme le ore di studio e di libera uscita. Il
corso termina l'11 marzo con gli esami che supero classificandomi al 130°
posto.
L’Aeroporto del Littorio
Dopo Capua gli allievi sergenti vengono
avviati ciascuno a diverse Scuole di Volo private: Roma Littorio, Ponte
San Pietro e Portorose, per il conseguimento del brevetto di volo civile
di 1° grado. Assieme ad un altro gruppo, vengo destinato alla Scuola
di Pilotaggio del Littorio, oggi aeroporto dell’Urbe, dove veniamo sistemati
in ampie camerate; oltre ai classici letti metallici, abbiamo a disposizione
degli “stipetti” per sistemare i nostri effetti personali. I primi giorni
li trascorriamo ritirando il materiale didattico ed il vestiario per il
volo: tuta, caschetto, occhiali. La "Scuola di Pilotaggio del Littorio"
è privata ma noi siamo comunque dei militari e pertanto dipendiamo
dal "Comando Militare Scuola Aviazione Aeroporto Littorio". Il Comandante
del “Aeroporto presidiato” è il m.llo Alfredo Checchia mentre l’Ufficiale
di Sorveglianza è il ten. Vincenzo Ceciarelli che il primo giorno
ci presenta i nostri istruttori di teoria e, dopo averci diviso in gruppi
di una mezza dozzina, ci assegna ai rispettivi istruttori di volo. Dopo
alcune ore trascorse in aula e accanto agli aerei per apprendere le nozioni
basilari, il 20 marzo effettuo il primo volo di ambientamento su un AS
1. L’istruttore mi invita a salire sul posto anteriore e di seguire le
manovre che lui farà, appoggiando le mani ed i piedi sui comandi
di volo. Quando scendo sono emozionato ma anche preoccupato, “riuscirò
a fare quello che l’istruttore pretende da me?” mi chiedo. Le lezioni di
volo sono brevi ma impegnative, hanno una durata media di 7-8 minuti e
di solito si effettuano due atterraggi per missione. L’istruttore interviene
spesso sui comandi, dando di tanto in tanto degli strattoni per farmi capire
quando sbaglio e contemporaneamente da dietro strilla ma, con il rumore
del motore ed il caschetto, non riesco a capire che poche parole. Quando
scendo sono demoralizzato, comincio ad avere qualche dubbio sull’esito
del corso. Il 28 maggio, ho il primo turno di volo del mattino, arrivo
in linea di volo alle 05.30, i motoristi hanno già’ aperto gli hangar
e portato fuori i velivoli, l’istruttore arriva qualche minuto dopo, è
assonnato e non sembra di buon umore. Effettuati i controlli previsti e
riscaldato e provato il motore, decolliamo. Dopo 12 minuti e tre atterraggi,
l’istruttore fa cenno di rullare verso l’hangar, spengo il motore, lui
si slaccia le cinture e scende. Mi slaccio anch’io e quando mi sollevo
dal sedile per scendere, mi fa cenno di non muovermi e si avvicina “Fermo.
Metti in moto e vai in volo!”. Sul momento non capisco e quando realizzo
che è arrivato il momento tanto atteso, ho un tuffo al cuore, non
me l’aspettavo! Effettuo un solo circuito e dopo 4 minuti sono nuovamente
a terra. Dopo 66 missioni e 7 ore e 40 minuti di voli a doppio comando,
ho provato finalmente l’emozione di essere da solo su un aereo tutto mio!
Il 13 giugno inizio una serie di doppio comando con l’istruttore sullo
SVA 10 ed il 25 giugno effettuo il primo decollo da solo sullo SVA 4. Il
19 luglio decollo sullo SVA 1 "Balilla". Le ultime lezioni comprendono
un pò di acrobazia ed un paio di "raid" a Cerveteri. Col passare
del tempo anche la durata dei voli si allunga e si arriva a un'ora ed anche
un'ora e mezza. Lo stesso per la quota, dai primi voli a 200 metri, si
passa a 500 metri, 1000 metri, fino a 5000 metri con il "Balilla". L'8
agosto 1930 effettuo il mio ultimo volo al Littorio con una missione di
43 minuti di acrobazia sullo SVA 3. Supero gli esami e vengo assegnato
alla Caccia, la specialità più ambita, riservata ai migliori
del corso. Dopo una cerimonia per la consegna del brevetto di pilota civile,
alla presenza del Comandante della Scuola e degli istruttori, c’è
il commiato ed il giorno dopo lascio l’aeroporto del Littorio per la nuova
destinazione.
La Scuola Caccia di Ghedi
Vengo nominato 1° Aviere Pilota e
verso metà agosto sono assegnato alla 2^ Squadriglia Allenamento
Caccia di Ghedi, cittadina vicino a Brescia, dove inizio il corso per il
conseguimento del brevetto di Pilota Militare. Noto subito la differenza
dall’aeroporto del Littorio, l’organizzazione è decisamente militare,
gli istruttori sono tutti in divisa ed anche da noi si pretende più
disciplina. Siamo ospitati nelle solite camerate affollate, la mensa invece
è più grande e più efficiente. La Scuola è
comandata dal cap. Arrigoni che ci accoglie e ci presenta al Comandante
della Squadriglia, il cap. Lorito, al capopilota, il ten. De Wittemberski,
agli istruttori di volo, i m.lli Cirelli, Baldazzi e Rizzotto. Seguiamo
un breve corso per conoscere le caratteristiche dei velivoli sui quali
dovremo volare e il 27 agosto inizio una serie di voli a doppio comando
sul CR 20, con il ten. De Wittemberski che, dopo nove missioni, il 3 settembre,
mi fa decollare da solo. Queste missioni sul CR 20 servono per preparare
l’allievo ad andare in volo con il CR 1 che è “monoposto” e così
il 18 settembre salgo su un CR 1 per il mio primo volo su questo velivolo.
Sia il CR 1 che il CR 20 sono macchine “militari”, decisamente più
potenti, oltre i 400 CV, ed anche più impegnative, progettate per
un impiego operativo dei vari Reparti dell’Aeronautica. Dopo il conseguimento
del brevetto di pilota militare e la nomina a Sergente, si viene destinati
al Reparto in base alla classifica ottenuta alla fine del corso.
Al 1° Stormo di Campoformido
Il 23 ottobre 1930, mi viene comunicata
la nuova destinazione, il 1° Stormo Caccia di Campoformido, cittadina
vicino a Udine. È una notizia che accolgo con gioia, essere destinati
ad un Reparto da Caccia è l’ambizione di tutti gli allievi, “Vuol
dire che non sono tanto male” è la conclusione che traggo. Pensare
che ero convinto di essere più scarso di alcuni miei compagni che
invece sono stati esonerati; il mio morale è alto, mi sento sereno
e più sicuro per il mio futuro. Se, come dicevo, l’ambizione dei
piloti è di essere assegnati alla Caccia, esserlo al 1° Stormo
di Campoformido, è il “massimo” che si possa pretendere! Campoformido
è uno dei campi di volo del Friuli da dove decollavano alcuni tra
i più noti piloti della Grande Guerra, da Baracca a Ruffo di Calabria,
Ranza ed altri. Il 1° Stormo, trasferitosi a Campoformido nel 1927,
è ora comandato dal t.col. Rino Corso Fougier, un pilota distintosi
durante la Grande Guerra, convinto sostenitore dell'acrobazia collettiva,
che con il suo grande carisma ha reso celebre questo Reparto. Il campo
è situato ad una mezza dozzina di chilometri a Sud-Ovest di Udine,
di forma grosso modo “triangolare”, è delimitato da un lato dalla
ferrovia e dall’altro dalla strada provinciale Udine – Treviso. L’ingresso
è curato con aiuole e piante, lungo il perimetro aeroportuale sorgono
tre imponenti hangar in cemento, chiamati “Voisin”, dalla forma insolita
ed elegante ed altri quattro classici e rettangolari. Il Comando d'aeroporto
è situato in un edificio che ha più l'aspetto di una palazzina
signorile che di una struttura militare. I nostri alloggi sono situati
nel lato Nord del campo, accanto alla mensa Sottufficiali. Il clima a Campoformido
è alquanto diverso da quello che ero abituato a Napoli, d'inverno
spesso il cielo è completamente coperto da nubi basse ed una incessante
pioggerella infastidisce e penetra attraverso i vestiti: per diversi giorni
consecutivi si è costretti "a terra"! Improvvisamente poi il tempo
cambia, il cielo diventa limpidissimo ed azzurro, la grande vallata friulana
riappare e tutt'intorno si stagliano, in tutta la loro bellezza, le Prealpi
Giulie con le cime imbiancate dalle nevicate. Vengo assegnato alla
96^
Squadriglia, comandata dal cap. Angelo Reali, che insieme alla 73^ e 97^
fa parte del IX Gruppo, quest’ultimo comandato dal magg. Gelmetti. L'accoglienza
è calorosa e trovo una grande disponibilità nei colleghi
Sottufficiali; molti di loro, seppure di poco più anziani, sono
già affermati per le loro qualità di pilotaggio. Conosco
e faccio amicizia con i sergenti Sansone, Mascellani e Tommaso Diamare,
quest’ultimo, uscito anche lui dalla scuola di volo di Ghedi, è
giunto a Campoformido nel 1928, ed è considerato un dei migliori
piloti del 1° Stormo, proprio come lo sarà il serg. Ugo Corsi
per il 4° Stormo. Un’altra bella figura è il serg. Silvio De
Giorgi, uno dei piloti della famosa "Squadriglia Acrobatica di impiego
nazionale" comandata da Ariosto Neri. De Giorgi farà parte nel 1934,
del Reparto Alta Velocità di Desenzano.
In volo con la 96^ Squadriglia
Vengo affidato al pilota più anziano
della Squadriglia che si accerta di come volo e poi inizio subito l'addestramento
previsto per un pilota da Caccia che deve essere in grado di confrontarsi
nei combattimenti aerei e di portare a compimento ogni tipo di missione
bellica. Si comincia subito con i voli in coppia e in formazione, con la
finta caccia, con i tiri al poligono. La convinzione di Fougier che l’acrobazia
contribuisca a perfezionare qualità del pilota da caccia, fa sì
che molto tempo venga dedicato a questa specialità. Non esiste tuttavia
un addestramento standard, come avverrà solamente a partire dagli
anni ’50, e molte manovre si imparano guardando gli altri e provando e
riprovando in volo, da soli. Un giorno chiedo ad un collega più
anziano come si esegue un tonneau e lui mi risponde: "Semplice, prendi
velocità, cabri di circa 30 gradi, dai piede ed alettone e quando
sei rovescio centra i comandi …". Convinto dalla spiegazione decollo, mi
porto sulla verticale dell'aeroporto a circa 700 metri e provo la manovra
ma centrando i comandi l'aereo continua a ruotare, abbassa il muso e scende
in verticale. Fermo la rotazione a circa 200 mt da terra, cabro e ritorno
in quota e ripeto il tutto ma il risultato è lo stesso. Il collega
o non sapeva spiegarsi od il tonneau non l'aveva mai fatto! Quando atterro
noto gli specialisti fuori dagli hangar che guardano nella mia direzione.
Spento il motore vedo il Comandante di Squadriglia uscire dall’hangar ed
incamminarsi verso il mio aereo, salto giù dall’aereo, penso che
voglia sapere cosa è successo ed invece, quando è vicino,
mi dà una bella strigliata e mi affibia una punizione di rigore
di 15 giorni. Dopo tre giorni mi chiama l'Aiutante di Campo di Fougier,
il magg. Raul Moore, latore di un messaggio del Comandante: " ... Non provare
più a bassa quota queste manovre. Hai della stoffa e farai strada.
Per questa volta te la cavi con tre giorni di arresti!". Volo con il CR
1 fino al 29 gennaio 1931, sono tutti voli "Pattuglia" e "Acrobazia". Dal
4 febbraio passo sul CR 20, dove, oltre i soliti voli, ci sono missioni
di "Ricognizione", "Raid", "Quota", "Fotomitragliamento", "Virage con incrocio"
(che i giornalisti chiamano "bomba") . Il 27 aprile, in un incidente in
fase di decollo muore un caro amico, il serg. Enrico de Ferrari. Non ci
si abitua facilmente a queste perdite di giovani piloti con i quali fino
a pochi giorni prima vivevi gomito a gomito. Un groppo alla gola ti prende
quando torni nella camerata e gli occhi ti cadono sul suo letto vuoto e
sulle mani pietose di un collega che raccoglie gli effetti personali
dello scomparso per consegnarli alla famiglia, quale ultimo conforto. Lo
Stato Maggiore dell'Aeronautica decide di effettuare le "Grandi Manovre
dell'Armata Aerea" nella seconda metà di agosto 1931. Le manovre
dovranno interessare diversi aeroporti del Nord Italia e vedranno l'impiego
di 900 aerei di vari reparti, Caccia, Ricognizione e Bombardieri. Per l'occasione
sarà costituito un nuovo Stormo Caccia, il 4°, con l'intento
poi di scioglierlo al termine delle manovre. Il 4° Stormo sarà
composto dal IX Gruppo del 1° Stormo di Campoformido (73^,96^ e 97^
Squadriglia), dalla 84^ e la 91^ Squadriglia che arrivano da Ciampino e
dalla 90^ del XVII Gruppo che arriva da Aviano. Il 1° di giugno del
1931, nell’aeroporto di Campoformido, viene così costituito il 4°
Stormo ed in agosto giunge il Comandante della II Brigata da Caccia, col.
Mazzucco, che passa in rassegna il 1° e 4° Stormo e si accerta
che la pianificazione per le manovre sia adeguata al grande impegno richiesto.
Fin dai primi giorni di giugno iniziamo ad allenarci per le manovre, il
2 giugno decolliamo alle 08.30 per un "Raid Campoformido - Ferrara - Campoformido",
arriviamo a Ferrara, effettuiamo le prove acrobatiche e rientriamo a Campoformido
alle 11.10. Dal 5 giugno, prima a giorni alterni e poi quasi ogni giorno,
siamo in volo per missioni di "Pattuglia con trasformazione", "Esercitazioni
di Brigata Aerea", "Pattuglia acrobatica", "Acrobazia in pattuglia".
Il mio primo incidente, la collisione
a terra
Nel corso degli allenamenti, il 18 agosto
1931, qualche giorno prima che inizino le manovre, rientrando al campo
sto posando le ruote a terra, quando un Ca 100 pilotato da un Maggiore,
inizia la corsa di decollo. Mentre sto smaltendo la velocità mi
accorgo che il Ca 100 "scarroccia", interessando la mia traiettoria. Tento
un'azione evasiva ma la velocità è troppo bassa e l'altro
velivolo si avvicina velocemente da sinistra, con l'elica minacciosa che
rischia di maciullarmi. Qualche secondo prima dell'impatto, con una "spedalata",
imbardo per cercare di proteggermi presentandogli la coda. Sento un gran
colpo ed un rumore di ferraglia: l'elica mi "trita" letteralmente la fusoliera
fino a pochi centimetri dall'abitacolo. Fortunatamente non c'è alcun
inizio d'incendio e nessuno di noi due rimane ferito. Il Maggiore, facendosi
forte del suo grado cerca di giustificarsi di fronte al Comandante d'aeroporto
e tenta di incolparmi ma l'inchiesta, pochi giorni dopo, stabilirà
che è lui ad aver commesso un’infrazione alle regole di volo. Chi
atterra ha sempre la precedenza su chi decolla e quest'ultimo deve accertarsi
che non ci siano rischi di collisioni e di non costringere a manovre evasive
chi atterra. Intanto, mentre proseguono gli allenamenti, si fa amicizia
con gli altri piloti che si allenano insieme a noi, sono quelli della 84^,
91^ e 90^ Squadriglia che, dislocati ad Aviano, sono spesso a Campoformido.
Insieme si va nei ristoranti frequentati dai piloti del 1° Stormo,
all'Arizona degli Aviatori e da Boschetti, a Tricesimo.
Le Grandi Manovre
Nonostante i velivoli siano stati controllati
e riforniti il giorno prima, il 24 agosto ci si alza molto presto, far
decollare una trentina di CR 20 è sempre un lavoro impegnativo.
Il mio IX Gruppo decolla alle 06.30 con destinazione Modena, dove giungiamo
alle 08.10. Intanto il X Gruppo parte da Aviano per Rimini. Il 27 agosto
effettuiamo una "Crociera di protezione" su La Spezia ed il 28 agosto su
Bologna. Il 30 agosto si vola a Milano ed il 31 agosto a Ferrara, dove
arriviamo alle 10.15 e qui partecipiamo alla "chiusura" della Manifestazione
Aerea. Il grande numero di velivoli impiegati comporta non pochi problemi
organizzativi ed è una fortuna che ci sia un “solo” un incidente.
Visto il successo conseguito nell'esercitazione collettiva, i vertici dell’Aeronautica
decidono di dare forma definitiva al 4° Stormo. A Campoformido non
c'è posto per ospitare il IX Gruppo e come sede operativa viene
scelto l'aeroporto Egidio Grego di Merna, vicino a Gorizia. Il 9 settembre
il X Gruppo si trasferisce da Aviano a Merna e subito dopo, il 28 settembre,
anche il nostro IX Gruppo, lo segue da Campoformido. Alle 09.55, a bordo
del mio CR 20, insieme a tutta la mia Squadriglia atterriamo a Gorizia
e con il nostro arrivo lo Stormo ora è al completo. Il gen. Duma
nel libro “Quelli del Cavallino Rampante”, il più autorevole e completo
documento sul 4° Stormo, dopo meticolose ricerche è riuscito
a risalire ai nominativi dei piloti giunti a Gorizia quel settembre: ten.
Oscar Molinari, ten. Antonio Colla, ten. Roberto Giannoni, ten. Marco Bressan,
ten. Gustavo Giusti, ten. Carlo Azzali, ten. Francesco De Turro, cap. Astorre
Alvisi, serg. Luigi Acerbi, m.llo Attilio Allavena, serg. Raffaele Anelli,
serg. Carlo Attanasio, serg. Giuseppe Avvico, serg. Mario Bandini, serg.
Emilio Barbetti, serg. Aldo Bassi, serg. Rodolfo Bergamini, serg. Francesco
Breveglieri, serg. Enzo Callegari, serg.magg. Romolo Cantelli, serg. Casentini,
serg. Giovanni Celeghini, serg. Raffaele Chianese, serg. Ugo Corsi, serg.
Silvio Costigliolo, m.llo Terzo Degan, serg.magg. Giuseppe Frass, serg.magg.
Antonio Gallarani, serg. Franco Giachetti, serg.magg. Antonio Gugliotta,
serg. Italo Larese, serg. Arrigo Marchetti, serg. Canzio Marini, serg.
Amerigo Melani, serg. Metlicovith, serg. Alberto Montanari, m.llo Emiro
Nicola, serg. Gino Passeri, serg. Poltronieri, serg. G. Pongiluppi, serg.
V. Pongiluppi, serg. Giuseppe Regini, serg. Norino Renzi, serg. Giovanni
Ricco, serg. Vittorio Romandini, serg. Mario Ruffilli, serg. Giuseppe Salvadori,
serg. Sirio Salvadori, serg. Luigi Sandoli, serg. Sanzin, serg. Sica Alberico,
serg.magg. Giovanni Silvestri, serg. Felice Sozzi, serg. Elio Steffan,
m.llo Pietro Tofful, m.llo Giovanni Venturi, e altri quattro Sottufficiali
piloti non identificati. Il 10 ottobre viene emanato l’atto ufficiale che
costituisce in forma definitiva il 4° Stormo.
L’aeroporto Egidio Grego di Merna,
Gorizia
Il campo di volo di Merna, utilizzato
dagli austriaci per un breve periodo prima dell'inizio della Grande Guerra,
sorge su un terreno alluvionale che ha la caratteristica molto importante
di consentire il rapido drenaggio dalle piogge, anche di forte intensità.
Nel 1924 il Ministero dell'Aeronautica decide di utilizzare questo
campo ed avvia i lavori per la costruzione di hangar e strutture annesse.
Verso la fine del 1925 si insedia la 38^ Squadriglia del 63° Gruppo
del 21° Stormo Osservazione Aerea, seguita poco dopo dalla 41^ e 113^
Squadriglia. Nel 1929 anche il Comando del 21° Stormo si trasferisce
a Gorizia. Le tre Squadriglie che hanno in dotazione il Ro 1, dispongono
in totale di una trentina di velivoli. Quando giungiamo a Gorizia, sull'aeroporto
ci sono quattro enormi hangar Lancini di 50 x 50 metri alla base ed alti
circa 18 metri, due hangar affiancati di 65 x 30 metri, un hangar "austriaco"
Gleiwitz di 67 x 28 metri e diversi altri edifici utlizzati come magazzini,
uffici, posti di guardia, officine, dormitori e mense per il personale.
I velivoli del 4° Stormo vengono ospitati nei tre hangar Lancini posti
a Sud dell’aeroporto che fino a poco prima avevano ospitato una Squadriglia
di bombardieri. In ogni hangar vengono sistemate due Squadriglie, partendo
da quello più vicino alla strada statale che costeggia l’aeroporto,
sono la 73^, 96^, 97^, 84^, 90^,91^. Nella parte esterna degli hangar,
sul lato Sud, nelle cosidette "appendici", ci sono i Comandi di Squadriglia.
Nel secondo hangar, sempre a partire dalla strada, c'è il Comando
del IX Gruppo e di Stormo, mentre nel terzo hangar c'è il Comando
del X Gruppo. Sul terreno retrostante i tre hangar, qualche anno più
tardi troverà posto la Colonia Elioterapica, voluta dal Duca d'Aosta
per ospitare i figli dei contadini di lingua slovena che, proprio a causa
degli espropri dei loro campi per costruire l'aeroporto, hanno subito un
non indifferente danno economico al punto che alcune famiglie stanno vivendo
in condizioni di povertà. Seguendo il vialetto interno parallelo
alla strada statale, in direzione Nord, si incontrano due edifici paralleli,
sono adibiti a Reparto Servizi e Cassa, Casermetta Alloggio Carabinieri
e Infermeria, accanto a questi troviamo un giardino particolarmente curato
e poco più avanti una piscina. Gli uffici del Comando d'Aeroporto
sono più a Nord, nella elegante palazzina che si affaccia su un
lato alla strada e dall’altro ad una grande aiuola e alla Rosa dei Venti.
Poco più avanti il quarto hangar Lancini, detto anche del 6°
Stormo, in quanto per un breve periodo ospitò una Squadriglia di
questo Stormo, con accanto l'Aerofaro "Luria". Tra quest'ultimo hangar
e la strada, la Cabina con pozzo (dove sorgerà nel 1936 un altro
edificio adibito a servizi vari), l'Autorimessa e annesso Gabinetto Fotografico,
il Corpo di Guardia e Prigioni. Dal corpo di guardia parte un vialetto
con direzione Ovest, alla sua sinistra troviamo l'Officina tipo III, l'Hangar
ex austriaco Gleiwitz della Ricognizione Aerea (38^ Sq. ), il Magazzino
MSA (Materiali Speciali Aeronautici), l'Ufficio Comando Squadriglie della
Ricognizione Aerea e l'Hangar della Ricognizione Aerea ( 41^ e 116^ Sq.).
Alla destra del vialetto, sempre verso Ovest, la Caserma Avieri, il Lavatoio
Avieri, l'Alloggio Mensa e Circolo Sottufficiali (quest'ultimo sarà
costruito intorno al 1936), la Stazione Ricetrasmittente, il Magazzino
Vestiario e Cinema. Più a Ovest, quasi a metà campo, il deposito
carburante e, nel lato estremo di Sud Ovest del campo, il terrapieno per
la prova e la taratura delle mitragliatrici degli aerei. L'aeroporto è
dotato di propri impianti contro gli incendi, di pozzi d'acqua e relativi
serbatoi, sia interrati che sopraelevati. Accanto ad ognuno dei tre hangar
del 4° Stormo, a quello del 6° Stormo e a quello della 41^ e 116^
Sq. della Ricognizione, c'è una torre alta una dozzina di metri
per le segnalazioni ai velivoli in fase di decollo e di atterraggio. L'aeroporto
è dotato di quattro ingressi, quello più a Sud porta agli
hangar del 4° Stormo, il secondo è posto in corrispondenza del
Comando d'Aeroporto, il terzo accanto al Corpo di Guardia ed il quarto
di fronte alla Caserma degli Avieri. Sull'altro lato della strada un'altra
area è riservata all'edificio adibito a Alloggio Ufficiali, Mensa
e Circolo (verrà costruito intorno al 1936) e più ad Est,
la Polveriera di Vertoiba e Riservetta con il suo Corpo di Guardia. Noi
Sottufficiali veniamo alloggiati nella Caserma Avieri, un edificio a tre
piani, dove mi viene assegnata una cameretta all'ultimo piano, insieme
ad altri due sergenti, Costigliolo e Castelletti. Gli Ufficiali vengono
invece alloggiati in città, non è ancora costruita
la palazzina Ufficiali, ne quella Sottufficiali, lo saranno qualche anno
più tardi e nel frattempo ci dobbiamo adattare.
Passando sotto i ponti
A Campoformido alcuni piloti più
esperti ed un pò incoscenti, hanno dato vita all’insana abitudine
di passare sotto le arcate dei ponti del Tagliamento. Fortunatamente per
i piloti del 4° Stormo, i ponti sull'Isonzo non si prestano a
questo rischioso esercizio, sono tutti più bassi. Qualche pilota
era stato tentato di passare sotto il ponte in pietra ad arcata unica di
Salcano, ora in Slovenia, nella vallata tra il Monte Sabotino ed il San
Gabriele ma questo ponte, pur essendo alto ed ampio, è disposto
obliquamente al letto dell'Isonzo, in una gola stretta e, per quello che
so io, nessuno ci ha mai provato. Un giorno, quando ero a Campoformido,
volavo in coppia con un collega più anziano, allora non esisteva
la radio e ad un tratto vedo che fa oscillare le ali, con un braccio indica
un ponte e mi mi fa segno di rimanere in quota. Orbito sopra il ponte e
vedo che vira e si abbassa portandosi a pelo del fiume e passa sotto l'arcata
ma, non è soddisfatto, cabra quasi in verticale, vira di 180°
per ripetere il passaggio nella direzione opposta. Quando è con
un assetto di 45° a picchiare si accorge che la manovra è impostata
male. Tenta a questo punto di passare "sopra" il ponte ma l'aereo non ha
abbastanza velocità, comincia a "spanciare" e sfiora il ponte con
la coda che passa a poco più di un metro dal parapetto, per un soffio
non si schianta. Il 18 gennaio 1932, quando sono da meno di quattro mesi
al 4° Stormo, giunge a Gorizia la notizia di un grave incidente:
il serg. Tommaso Diamare, in pattuglia con il ten. Ernesto Sanzin stava
rientrando a Campoformido dopo avere effettuato esercitazioni di tiro al
poligono di Vivaro. All’altezza di Sequals, Diamare si stacca dalla formazione,
si abbassa e passa sotto l’arcata centrale del ponte di Sequals, un ponte
a tre arcate, torna indietro lungo il letto del torrente Meduna e ripassa
sotto l’arcata centrale, la più larga delle tre. Altra virata e
questa volta si appresta a passare sotto l’arcata di destra, con un’apertura
ridotta rispetto a quella centrale. Fatalità vuole che un cavo di
una linea telefonica penda dall’arcata e agganci il delicato compensatore
fisso che sporge di una quindicina di centimetri sopra l’alettone destro
e, spostandolo, comanda una incontrollabile rotazione del velivolo che
si schianta sulla sponda sopraelevata di destra. Sono scosso per la sua
scomparsa, lo conoscevo personalmente per aver volato insieme, aveva un'eccezionale
padronanza del velivolo e sono scosso per la sua scomparsa. Con il CR 20
puntava gli hangar scendendo a poco più di un metro da terra per
poi cabrare e sfiorare la sommità della costruzione. Mentre l'aereo
era in salita effettuava tre quarti di tonneau che terminava alla velocità
minima e poi, abbassando il muso, in scivolata, virava di 180° sorvolando
nuovamente l'hangar. Diamare, dotato di innegabili doti professionali,
aveva rappresentato lo Stormo in numerosi meeting all’estero con la Pattuglia
Acrobatica del ten. Ariosto Neri. Le ripercussioni dell’incidente comportano
conseguenze pesanti per il 1° Stormo. A Roma lo Stato Maggiore, che
non ha mai apprezzato le idee di Fougier, punisce lo Stormo degli "acrobati":
viene costituito a Bresso il Nucleo Alta Acrobazia, negando così
a Campoformido il titolo fino allora detenuto di rappresentate dell’acrobazia
aerea.
Il Duca d'Aosta Comandante del 21°
Stormo
L'11 giugno 1932, il col. Amedeo di Savoia
duca d'Aosta, figlio del generale Emanuele Filiberto, che aveva comandato
la Terza Armata nella zona tra Gorizia e Monfalcone durante la Prima Guerra
Mondiale, assume il comando del 21° Stormo Osservazione Aerea dislocato
sull'aeroporto di Gorizia. L'anno successivo, il 1° maggio 1933, il
Duca lascia il 21° Stormo e assume il comando del 4° Stormo. A
Gorizia il 4° Stormo, mantiene viva la tradizione e lo spirito di Campoformido
dove l’acrobazia era di casa. Il CR 20 non è la macchina ideale
per l’acrobazia, richiede particolare impegno per il motore poco brillante
che sommato all'effetto della "coppia dell'elica", costringe ad un continuo
uso del timone di direzione. I gregari più esterni alla formazione
tendono a "sfilarsi" durante le virate perche’ devono percorrere una traiettoria
più lunga e pertanto costretti a “lavorare” di motore e pedaliera!
Poco dopo l’arrivo a Gorizia, nel febbraio del 1932, cominciamo a ricevere
il nuovo aereo, il CR Asso, destinato a rimpiazzare gradatamente il CR
20 dal quale si differisce per il motore Isotta Fraschini, raffreddato
ad aria e con una potenza leggermente superiore. A Gorizia l’aeroporto
è utilizzato dal 21° Stormo a Nord e dal 4° Stormo a Sud.
Ciò comporta la necessità di separare le operazioni di decollo
e atterraggio dei velivoli dei due Reparti che hanno prestazioni ed esigenze
operative diverse. L’aeroporto viene così diviso in due settori,
quello a Nord, riservato alla Ricognizione e quello a Sud, riservato alla
Caccia. I due settori sono a loro volta divisi in due “strisce” di circa
800 metri di lunghezza, una per gli atterraggi, al centro aeroporto ed
una per i decolli, all'esterno. A seconda da dove spira il vento, queste
strisce possono essere utilizzate per atterraggi e decolli in entrambi
i sensi. Quando spira forte vento da Sud o da Nord, evento alquanto remoto,
è previsto ruotare di 90 le operazioni di atterraggio e decollo,
utilizzando in questo caso una sola pista. Considerando che il 21°
Stormo con le sue tre Squadriglie, la 116^ , 41^ e 38^, ha al suo attivo
circa due dozzine di velivoli, tra Ro 1 e Ro 5 ed il 4° Stormo con
le sue sei Squadriglie dispone di quasi una settantina, si può comprendere
quale possa essere il traffico sull’aeroporto anche quando anche solo una
parte dei velivoli è in volo. Per le loro missioni, ai velivoli
vengono assegnati “spazi aerei” distanti dall’aeroporto dove possono allenarsi
nell’acrobazia singola, in coppia, in formazione, mentre sull’aeroporto
“circuitano” gli aerei che ai addestrano all’atterraggio e decollo. Per
quest’ultime operazioni, sebbene già esistessero le radio e fossero
anche state installate su alcuni velivoli da caccia ma poi rimosse, le
“istruzioni” di decollo ed atterraggio vengono date visivamente ai velivoli
da operatori piazzati sulle torri di segnalazione, poste accanto agli hangar.
Intanto, dalla 96^ Squadriglia, con la quale sono giunto da Campoformido,
transito per un breve periodo alla 90^ Squadriglia, poi alla 84^ e dal
3 giugno 1932 sono assegnato definitivamente alla 91^, la Squadriglia di
Francesco Baracca che da lui ha ereditato il nome. Il Comandante dello
Stormo, il col. Felice Porro, non ostacola le iniziative dei piloti che
"provano" nuove figure acrobatiche. Vado in volo con il serg. Enzo Callegari
e cerchiamo di perfezionarci nel looping e nelle altre manovre acrobatiche
in coppia. Gli altri colleghi da terra ci osservavano per poi a loro volta
imitarci. Callegari perirà il 28 gennaio 1933 in un incidente durante
le esercitazioni a fuoco al poligono di Aviano. Tradito dal complicato
e poco efficiente collimatore del CR 20, un tubo con un oculare sistemato
davanti al viso del pilota che riduceva la visuale, impatta il terreno
poco prima del bersaglio. Nel novembre del 1933, giungono a Gorizia i s.ten.
Giuseppe D'Agostinis e Vittorio Pezzè, sono appena usciti dall’accademia.
D'Agostinis, è di Cervignano, è un uomo alto semplice e cordiale,
quando mi conosce mi confida che vuole volare con me per affinarsi nell’acrobazia,
gli tornerà utile nel condurre la pattuglia acrobatica della Squadriglia.
Dopo quasi tre anni trascorsi con il 1° e 4° Stormo, mi sono guadagnato
la fama di “discreto” pilota. Molti anni dopo, il 17 maggio 1975, in occasione
di un incontro con i veterani del 4° Stormo, nel ristorante "La Lanterna
d'Oro" di Gorizia, D’Agostinis, divenuto Generale mi confiderà:
"... Chianese, da te ho imparato tanto ...". Sarà uno dei più
graditi complimenti ricevuti durante la mia carriera. Il 28 marzo 1934
intanto il Duca d'Aosta è nominato Generale di Brigata ed assume
il comando del 1° Stormo di Campoformido e del 4° Stormo di Gorizia.
Il 3 maggio 1935 effettuo il primo volo, da Torino a Gorizia, su un CR
32 nuovo di zecca, appena uscito dalla linea di montaggio della Fiat. Col
passare del tempo e delle ore di volo, accumulo esperienza, le mie doti
di pilotaggio migliorano insieme al mio rispetto per la disciplina e forse
mi evitano la sorte dei colleghi che per eccessiva esuberanza vanno ad
allungare le fila dei deceduti per incidente di volo.
Gli incidenti di volo e la ribellione
dei piloti
Il volo praticato a Gorizia, in particolare
l’acrobazia in formazione, comporta un certo rischio e gli incidenti raggiungono
una frequenza tale che intorno all'aeroporto non è raro incontrare
cippi che ricordano i caduti. Nei periodi di massima attività gli
incidenti possono raggiungere un picco di uno alla settimana e in primavera,
dopo la ridotta attività dovuta alle condizioni atmosferiche invernali,
quando si riprende il normale ritmo di volo, la media sale ancora. Le salme
di coloro che vengono coinvolti negli incidenti vengono trasportate all'Ospedale
Militare di via Ristori, oggi adibito ad alloggi per le famiglie. Qui si
officia la cerimonia funebre ed infine le bare prendono la via del paese
di provenienza della vittima. Un anno in cui il destino fu particolarmente
avverso con Gorizia, partecipando a tante cerimonie funebri, consumai un
paio di guanti bianchi della divisa. Nel tentativo ridurre il numero di
incidenti di volo, il Comandante di Stormo, constatato che alla domenica
il personale di volo era solito trascorrere la libera uscita in modo non
molto sobrio e temendo che al lunedì non fossero completamente smaltiti
i postumi dei bagordi domenicali, ordina che in questo giorno non si voli
ed il personale debba comunque essere in servizio in aeroporto. Non dovendo
volare al lunedì, accogliamo malvolentieri la disposizione di essere
costretti a rimanere in aeroporto e chiediamo ai superiori di estendere
il permesso almeno fino a mezzogiorno. Non veniamo accontentati ed il malcontento
dilaga al punto che viene escogitata una protesta insolita, organizzata
dal serg. Renzo Castelletti. Durante l’esibizione del 10 luglio 1935, alla
presenza del gen. Francesco Pricolo, Comandante della II Z.A.T. ed altre
autorità, ci accordiamo per volare in formazione "larga". Non il
solito metro o metro e mezzo tra velivolo e velivolo bensì 5-6 metri.
Il X Gruppo aderisce alla protesta mentre il IX Gruppo sfila in formazione
compatta. Le autorità ed il pubblico, nemmeno lo notano ma il Comandante
di Gruppo ed i Comandanti di Squadriglia vanno su tutte le furie. Castelletti
inoltre, dopo il decollo, raggiunta la formazione, si stacca e rientra
in aeroporto simulando un malfunzionamento del motore. Castelletti pagherà
cara la sua iniziativa! Viene punito e alla prima occasione, nel gennaio
del 1936, verrà trasferito al 6° Stormo. Una trentina di piloti
sono consegnati ma un effetto comunque viene conseguito e dopo alcuni giorni
le punizioni sono sospese e le richieste dei piloti accolte.
Il Duca d'Aosta pilota
Il Duca aveva un velivolo a sua disposizione,
custodito dalla 73^ o dalla 91^ Squadriglia. Quando decideva di andare
in volo, l'Aiutante di Volo, il ten. Aldo Tait, telefonava alla Squadriglia
per preparare il velivolo. Il Duca arrivava fino sotto l'aereo con la macchina,
non voleva curiosi attorno ma solamente il motorista. I comandanti di Squadriglia,
cap. Giuseppe D'Agostinis e cap. Vincenzo Dequal, lo osservavano da lontano.
Il serg. Enzo Vosca che era addetto al suo velivolo nel 1937, ci raccontava
che mentre lo aiutava ad imbragarsi e sistemarsi nell'abitacolo, il Duca
gli diceva: "Vosca guarda, guarda come mi controllano. Non si fidano!".
Era un buon pilota, soprattutto considerando le poche ore di volo che poteva
fare a causa degli innumerevoli impegni burocratici che lo assillavano.
Appena arrivato allo Stormo, il Duca aveva chiesto al Comandante di Stormo,
t.col. Augusto Bonola, qualche pilota esperto per effettuare i voli in
coppia ed un paio di volte fui scelto io. Dopo un briefing nel quale abbiamo
discusso le manovre da eseguire, siamo andati in volo e dopo un pò
di acrobazia, lui da leader ed io da gregario, siamo rientrati. Ricordo
che scesi dall’aereo lui mi domandò: "Chianese, come sono andato?".
Era una persona semplice e carismatica. Amato da tutti, quando lo chiamavano
rispettosamente "Altezza", rispondeva "Un metro e novantotto!".
L'acrobazia a Gorizia
Col passare del tempo anche noi "pivellini",
ultimi arrivati a Campoformido e primi arrivati a Gorizia, diventiamo "anziani"
e facciamo da istruttori ai giovani che arrivano dalle Scuole di Volo.
Un giorno al serg. Vittorio Romandini viene assegnata una "coppia" con
un allievo e cioè insegnargli a volare stando "in ala" durante tutte
le manovre, compresa l'acrobazia. Terminata la missione in quota, Romandini
inverte il ruolo e fa da "gregario", affiancando l'allievo che viene all'atterraggio
da Ovest, dal lato della ferrovia. L'allievo è un pò alto
e veloce e dopo la toccata si sposta verso Romandini, quest'ultimo dà
motore per portarsi avanti e non farsi investire ma così facendo
allunga la corsa di atterraggio. Sarebbe ancora in tempo per dare tutto
motore e riattaccare ma pensa: "Ce la faccio!". Invece "non ce la fa",
il velivolo supera la fine del campo, travolge la siepe, attraversa il
vialetto sussultando pericolosamente e si ferma in mezzo ad una nube di
polvere con il muso appoggiato alla parete della palazzina degli Uffici
Amministrativi, situata 150 metri a Sud della Palazzina Comando. Romandini
si slaccia le bretelle, scende, sposta i rami della siepe che il velivolo
ha trascinato nella sua corsa e che gli impediscono il passaggio, si toglie
la polvere di dosso, avanza verso l'ingresso della palazzina e, rivolgendosi
al personale accorso in suo aiuto, esclama: "Sono venuto a ritirare lo
stipendio. È pronto?". La coppia inseparabile Romandini-Renzi è
un mito del 4° Stormo. I due sono scatenati, se ne inventano di tutti
i colori e la loro fantasia nel fare scherzi o organizzare baldorie non
ha limiti. Sono inseparabili, al punto che si fidanzano e sposano due ragazze
dello stesso paese, San Lorenzo Isontino. Anche la morte li coglierà
a breve distanza l’uno dall’altro. Renzi in Africa e Romandini poco dopo
nei pressi di Chioggia. Il CR Asso è una bella macchina, ho molte
ore sulle spalle e mi destreggio bene con l’acrobazia. Una manovra è
il mio forte, il volo "a coltello", consiste nel volare, a pochi metri
da terra, con un’inclinazione di 90°, su una traiettoria rettilinea.
Non essendo l'ala in questa fase portante, il volo può essere protratto
solo per pochi secondi e con la pedaliera a fondo corsa per sostenere il
muso. La manovra riesce se è iniziata con la velocità più
alta possibile in modo da sfruttare quel poco di portanza generata dalla
fusoliera ed appena la velocità comincia a diminuire bisogna subito
raddrizzare le ali. Se si ritarda anche di poco, c'è il rischio
di "scivolare" e toccare il suolo con le immaginabili conseguenze. Sebbene
altri abbiano più volte tentato di imitarmi, solamente il collaudatore
della FIAT e pilota del 1° Stormo, Guido Carestiato, vi riuscirà
qualche anno più tardi ma con macchine dalle prestazioni più
brillanti. Il primo pilota del 4° Stormo ad effettuare invece il tonneau
lento il linea di volo e a bassa quota, è il ferrarese serg. Romolo
Cantelli che dopo la guerra si trasferirà in Venezuela e perderà
la vita in un incidente automobilistico. Tra me e lui nasce uno spirito
di emulazione. Anch'io provo i tonneau orizzontali, affinando la manovra
e poi li riprovo in salita ed infine in "candela", in verticale. Anche
per i tonneau in verticale, come per il volo a coltello, è fondamentale
iniziare con la velocità più alta possibile: si mette l'aereo
perfettamente verticale, cosa non facile da valutare e si ruota di alettoni
finchè l'aereo sta per ricadere su se stesso. Prima di "sfogare"
in una virata, riesco ad effettuare un paio di rotazioni. Un giorno, non
lontano dal campo, sto riprovando la manovra e, invece di uscire con una
virata sfogata, il velivolo sprofonda sulla coda mantenendosi verticale
per qualche frazione di secondo e poi abbassa il muso con una "scampanata".
Da terra il ten. Mario Salvadori mi osserva e dopo l'atterraggio mi chiama,
è entusiasta della manovra e mi chiede di ripeterla, purtroppo non
ci riesco più. La preparazione teorica dei piloti è alquanto
superficiale e l'addestramento dipende molto dalle capacità dell'istruttore
nel trasmettere la propria esperienza all'allievo e non sempre ciò
accade. Non esiste un addestramento standard e tutto si impara sulla propria
pelle e così quelli che sopravvivono sono i migliori. Un giorno,
dal piazzale antistante gli hangar, assisto ad un incidente drammatico:
all'estremità Sud Ovest dell'aeroporto, sopra l'Isonzo, cinque CR
20 stanno effettuando acrobazie ed improvvisamente, mentre sono alla sommità
di un looping, il gregario esterno di destra entra in collisione con quello
interno. Si notano alcuni pezzi che si staccano ed una piccola fumata bianca
seguita da una fiammata ed i due precipitano avvolti dalle fiamme. Uno
dei due, continuando a ruotare su se stesso, si schianta al suolo con il
pilota ferito o bloccato nell'abitacolo. Dall'altro si vede il pilota che
si lancia ed il paracadute si apre a circa 500 metri. Attorno a me ci sono
altri piloti e specialisti che stanno osservando le acrobazie della formazione
ed un coro di voci si alza quando si comprende che per l’aereo con il pilota
a bordo non c’è più nulla da fare. Mentre tutti hanno gli
occhi sul paracadute che lentamente sta scendendo e osservano con sollievo
che almeno uno dei due si è salvato, a circa 300 metri da terra
sento qualcuno esclamare ad alta voce “Le funicelle, …le funicelle bruciano”,
non l’avevamo notato prima, probabilmente il carburante fuoruscito dai
serbatoi dopo l’impatto deve essere finito anche sul paracadute e le funicelle
ora bruciano. È questione di pochi secondi, tutti si augurano che
le fiamme non si estendano alla calotta ed invece a meno di 100 metri da
terra il fuoco divampa e lo sfortunato pilota si sfila dal paracadute e
si schianta proprio quando era ad un palmo dalla salvezza.
Il serg. Ugo Corsi
Alcuni incidenti avvengono per spirito
di emulazione da parte di chi sottovaluta le proprie doti e tenta di imitare
i piloti più esperti che eseguono con naturalezza anche le manovre
più difficili. Fra questi c'è il serg. Ugo Corsi, detto "Fufo"
per il suo volto da ragazzino. Ha un istinto innato per il volo, di lui
si dice che sia stato il miglior pilota acrobatico del 4° Stormo e
forse il migliore in assoluto. Ha fatto parte, nel '33 e '34, della squadriglia
di "Alta Acrobazia" del ten. Tessore dotata dei Breda 19, un velivolo con
il "doppio" carburatore ed il sistema di lubrificazione del motore che
permetteva il volo rovescio senza limiti di tempo. Corsi era abilissimo
nel controllare il velivolo alle basse velocità, con il Br 19, appena
staccato da terra riduceva il motore e volando quasi alla velocità
di stallo, con il muso alto, "razzolava" per il campo ad un metro dal suolo.
Dopo alcuni giri, si allontanava, faceva quota e, picchiando in volo rovescio
fino a pochi metri da terra, cabrava, effettuava un mezzo looping ed al
culmine completava la manovra con un tonneau. Infine planava e si portava
all'atterraggio con una serie di scivolate d'ala accentuate, fino a un
metro da terra. Nel luglio del 1936, Corsi e Carestiato, in un volo di
trasferimento con un Br 28 da Bresso a Bolzano, per scommessa decidono
di volare “rovesci”, a testa in giù. Dopo mezz’ora il motore di
Corsi “pianta”, atterra fuori campo con una manovra perfetta e dopo l’intervento
degli specialisti che eliminano l’avaria, lo stesso Corsi riparte. In Spagna
consegue cinque abbattimenti, due “individuali” e tre “collettivi” ma poco
dopo viene a sua volta abbattuto e trascorre diversi mesi di dura prigionia.
Per il suo valore gli verranno conferite due medaglie d’argento. Anche
in Africa Settentrionale, dopo pochi voli si trova da solo a dover affrontare
cinque Hurricane, un aereo superiore al nostro CR 42, riesce a destreggiarsi
ed abbatterne tre ma poi viene abbattuto e precipita in mare. Il
suo aereo ed il suo corpo, nonostante le ricerche, non verranno mai ritrovati.
Nel libro “Quelli del Cavallino Rampante”,
così il cap. Luigi Monti descrive Corsi: “ ... sembrava nato con
l'aeroplano, solista acrobatico da lasciare col fiato sospeso, ... In pattuglia
mi stava così vicino da sporcare l'ogiva della sua elica con la
vernice rossa del tricolore della mia coda!”.
Il capitano Mario Rossi
A volte capita che il comando di una Squadriglia
venga affidato ad un Ufficiale, un Capitano, non scelto a Gorizia ma negli
uffici dello Stato Maggiore, a Roma, dove l’acrobazia aerea non è
materia molto conosciuta. Può capitare così che la scelta
cada su un pilota proveniente dai bombardieri. Il Comandante della nostra
Squadriglia è il cap. Mario Rossi che per la sua provenienza dai
bombardieri non eccelle nell'acrobazia. Come Caposquadriglia spetta a lui
eseguire l’acrobazia e a noi seguirlo, ala dentro ala, e ovviamente è
importante per chi guida la pattuglia, di impostare le manovre in modo
corretto. Poteva così succedere che quando si "tirava" un looping,
nel momento in cui l'aereo era con il muso verticale, il Capitano rimanesse
"appeso", rischiando una “scampanata”. Castelletti od io, con dei leggeri
movimenti di alettone o d'equilibratore o con un cenno della mano, gli
indicavamo come manovrare. Il cap. Rossi con la coda dell'occhio notava
i nostri segnali e seguiva i nostri suggerimenti ma tuttavia non menzionò
mai con nessuno, nemmeno con noi, dei provvidenziali aiuti. Con questo
scambio di ruoli la Squadriglia faceva la sua bella figura e nessuno a
terra se ne accorgeva. Quando si è giovani si è incoscienti
e così a volte Castelletti ed io ci divertivamo a "stringere" il
Capitano nella formazione. Castelletti con la punta dell'ala gli dava dei
colpetti sugli alettoni e il cap. Rossi, irrigidito sui comandi, imprecava.
Giunti a terra si infuriava e ci inquadrava ma alla fine tutto passava
in silenzio.
L'incidente di Pietro Guerritore
Nel mese di marzo del 1936 inziamo ad
allenarci per l'esibizione della nostra Pattuglia Acrobatica alla "4^ Giornata
dell'Ala" che si terrà a Roma. Il 14 marzo, dopo il volo di allenamento
con la Pattuglia e dopo il de-briefing del cap. Rossi, sono davanti al
nostro hangar e sto parlando con il m.llo Cavallo quando questi indica
alle mie spalle "guarda che sta facendo quello li!" mi giro e faccio in
tempo a vedere poco oltre la strada un Ro 1 del 21° Stormo che a circa
40-50 metri di quota, inclinato di quasi 90 gradi, "scivolando d'ala" sparisce
dietro la palazzina Comando. Non vediamo altro, poco dopo nel lato Nord
dell'aeroporto, verso la Ricognizione c'è del trambusto. Passata
una mezz'ora veniamo a sapere che il Ro 1 è precipitato nei pressi
del cimitero, l'aviere motorista Tranquillo Giovanelli, seduto al posto
dell’osservatore, è deceduto mentre il pilota è stato estratto
dai rottami con molteplici fratture e ricoverato presso l'ospedale militare
di via Ristori. Il giorno dopo noi piloti veniamo convocati nell'hangar
della 73^ Squadriglia, ci informano che il pilota del Ro 1, il ten. Pietro
Guerritore, di 22 anni, è deceduto durante la notte in conseguenza
delle gravi fratture procurate dall’incidente. Proveniva dalla Scuola Bombardieri
di Malpensa ed è stato assegnato alla 116^ (112^) Squadriglia nel
gennaio di quest'anno. Il Guerritore è di antica stirpe militare
ed il padre è un Ufficiale Superiore pluridecorato per meriti di
guerra nel conflitto del 1915-1918. Le esequie si tengono il 16 marzo con
tutti gli onori, presente il gen. Pricolo, il t.col. Domenico Locatelli,
Comandante del 21° Stormo, il magg. Giuseppe Sandri, Comandante del
63° Gruppo, i cap. Ciancarelli e Beneforti, comandanti di Squadriglia
e numerose altre autorità. Anche tutti noi del 4° Stormo
partecipiamo al funerale che parte da via Ristori, prosegue per via Buonarotti
e, seguendo il corso, arriva alla stazione ferroviaria dove la bara con
le spoglie dell’osservatore prosegue per il suo paese natio. La bara del
Guerritore invece viene sistemata in un loculo nel cimitero di Gorizia,
in attesa una sepoltura definitiva. Nel marzo del 1937, la salma di Guerritore
viene traslata nella cripta voluta dalla famiglia, sulla quale è
fissato il monumento ideato dal cap. arch. Barbalonga del Genio Aeronautico,
raffigurante un'ala stilizzata ed un'elica spezzata. Alla cerimonia, oltre
al padre Orazio e allla sorella Claudia, sono presenti il t.col. Simone
Pietro Mattei, com.te dell'aeroporto di Gorizia, ed il t.col. Raul Moore,
aiutante maggiore del Duca d'Aosta. Ancora oggi, chi entra nel cimitero
di Gorizia, può osservare la tomba sulla quale una lapide riporta
un epitaffio di Ungaretti, dedicato al giovane pilota.
La 4^ Giornata dell’Ala - Roma
Il 28 marzo 1936 è prevista la
nostra partecipazione alla "4^ Giornata dell'Ala" sull’aeroporto del Littorio
(Ciampino). Decolliamo il 25 marzo da Merna per Roma con scalo a Rimini.
I piloti delle due squadriglie di CR 32 sono per la 73^, Moscatelli, Viola,
Montanari, Pezzè, per la 91^, Rossi, De Prato, Chianese, Romandini,
Castelletti, Giacchetti. Nei pressi di Fabriano incontriamo condizioni
meteorologiche sfavorevoli e la formazione si viene a trovare davanti a
due strati di nuvole, uno basso ed uno più alto. I velivoli non
sono dotati di strumenti idonei alla navigazione strumentale ne tanto meno
di impianti antighiaccio. Il cap. Moscatelli scende di quota, riesce a
passare sotto le nubi e continua il volo per Roma. Il cap. Rossi che guida
la mia Squadriglia, comincia invece a salire ed entra nello strato di nubi
superiori. Improvvisamente non vediamo più nulla, sembra di volare
dentro una nebbia fittissima. Ci stringiamo ancora di più al capo
formazione. Dopo alcune decine di secondi tutti i velivoli finiscono in
perdita di velocità e poco dopo entriamo inconsapevolmente in una
spirale in discesa. Mi rendo conto che sto scendendo velocemente dall'altimetro
che gira vorticosamente e dal variometro a fondo scala a scendere. Mentre
continuo a perdere quota il pensiero va al rischio di collisione con gli
altri velivoli che sono intorno ma che non posso vedere. C'è il
rischio di finire da un momento all'altro sulla cima di una montagna. Sempre
dentro le nubi, intravedo per un attimo un altro velivolo a circa una quindicina
di metri che pure lui gira su se stesso, verrò poi a sapere che
è Romandini ed istintivamente "tiro" violentemente per non investirlo
con il risultato di entrare in vite. Rimettersi da una vite dentro le nubi,
con l'ausilio della sola "pallina e paletta", non è una cosa facile
e così riesco ad uscire dalla vite ma vi rientro subito dopo dalla
parte opposta. Nel frattempo ho perso più di 2000 metri, oramai
è solo questione di secondi, il terreno è sempre più
vicino. Abbandono i comandi e comincio a slacciare le bretelle per lanciarmi
e quasi contemporaneamente l'aereo esce da solo dalla vite, la nuvolaglia
si dirada e sotto di me appare una vallata. Un brivido mi corre lungo la
schiena nel vedere che sono uscito vicino ad una montagna la cui cima,
più alta di me, scompare fra le nubi. Pure Romandini finisce in
una vallata ma si trova intrappolato al suo interno, le nubi non gli permettono
alcuna via di uscita ed è costretto ad un atterraggio di fortuna.
Il velivolo rimane gravemente danneggiato ma Romandini ne esce incolume.
La fortuna ci ha assistito ed abbiamo corso un grosso rischio in quanto
volavamo su una zona montagnosa, basti pensare che Romandini ed io, pur
volando insieme fino a pochi secondi prima, siamo finiti in due vallate
diverse. Alla fine, superato lo spavento e in un modo più o meno
avventuroso, usciti dalle nubi, tutti i velivoli della mia squadriglia
riescono, uno alla volta, a ricongiungersi e trovare la via per Roma. Solo
Romandini tornerà in treno a Gorizia. Il 28 marzo, la nostra esibizione
a Roma con i CR 32 consegnatici da pochi mesi, ottiene un grande successo.
Grazie ad un programma di figure acrobatiche con due formazioni di cinque
velivoli. Oltre a Mussolini sono presenti il Duca d'Aosta, il Primo Ministro
ungherese, il corpo diplomatico accreditato, autorità civili e militari
ed un folto pubblico.
L'incidente di Ciccillo
Il territorio circostante l’aeroporto
è costituito da campagna o dai rilievi del Carso verso Sud
e l’abitato di Gorizia, una cittadina di circa 30 mila abitanti, interessa
un’area molto ridotta e per gli aerei del 4° e 21° Stormo non ci
sono zone interdette al volo. I pochi contadini ed i cittadini goriziani
sono abituati alla presenza degli aerei e spesso assistono con interesse
ai voli a bassa quota o alle esibizioni. Non tutti i voli a bassa quota
sono previsti ed autorizzati ma più spesso sono iniziative personali
rischiose e l’incauto pilota può essere individuato dai carabinieri
che trasmettono il nominativo del velivolo al Comando d'aeroporto. Capitava
non di rado di poter assistere dalla Piazza della Vittoria, alle acrobazie
di un CR Asso o anche di una pattuglia che assordava la tranquilla cittadina
quando il regime dei motori era al massimo. Un incidente conclusosi felicemente
accade nell'aprile 1936 ad un giovane Sottufficiale pilota di origini napoletane,
il serg. Luigi Iaccarino, soprannominato Ciccillo. Da poco allo Stormo,
Ciccillo, a bordo di un CR Asso, nell'effettuare un tonneau impostato male,
finisce in “posizione inusuale” e, non sapendone uscire, sceglie di lanciarsi
con il paracadute. Tocca terra nei pressi dell’Isonzo e l'aereo va a schiantarsi
sopra un casolare della periferia. Il Duca d'Aosta, venuto a conoscenza
dell'insolito incidente, un aereo perfettamente funzionante andato distrutto,
convoca Ciccillo e gli chiede spiegazioni. Quest'ultimo che sembra non
rendersi conto della gravità dell'accaduto risponde con il tipico
accento partenopeo "Altezza, ho preso paura e mi sono lanciato. La Fiat
fà un aereo al giorno, mamma mia di Ciccillo ne ha fatto uno solo!".
Il 18 febbraio un altro incidente interessa un CR 20 Asso che finisce sul
tetto della casa di Tommasi e Cernigoj in via Duca d'Aosta n.28. Il pilota
atterra con il paracadute, presso l'incrocio tra via Duca d'Aosta
e via Trieste, sul tetto della panetteria Viatori.
La manifestazione a Budapest
Dopo il successo della "4^ Giornata dell'Ala",
il Governo ungherese invita la Pattuglia Acrobatica del 4° Stormo ad
esibirsi a Budapest. A partire dal 25 maggio, cominciamo ad allenarci quasi
tutti i giorni per la manifestazione che si svolgerà il 14 giugno
1936. La pattuglia acrobatica è composta da due squadriglie di CR
32. La prima con il cap. Mario Viola (73^Sq), s.ten. Vittorio Pezzè
(73^Sq), serg.m. Alberto Montanari (73^Sq), serg.m. Norino Renzi (73^Sq),
serg.m. Ugo Corsi (90^Sq) e la seconda con il cap. Mario Rossi (91^Sq),
ten. Ernesto Monico (84^Sq), serg.m. Raffaele Chianese (91^Sq), serg.m.
Vittorio Romandini (91^Sq), serg.m. Alberto Carini (91^Sq). Gli allenamenti
sono impegnativi, si cura molto la precisione delle manovre che durano
mediamente 40 minuti e si svolgono in genere sull'aeroporto di Ronchi,
dove non ci sono altri aerei attorno e si può “lavorare” tranquilli.
L'11 giugno si parte da Gorizia e dopo 1 ora e 10 minuti siamo a Szombathely,
sostiamo fino al giorno successivo e poi proseguiamo per Budapest, dove
arriviamo dopo 40 minuti di volo. Il 13 giugno effettuiamo le prove sul
campo di Matyasfold ed il giorno seguente ha luogo la manifestazione. Il
successo è grande e l'accoglienza riservataci è eccezionale.
Siamo ospitati in uno degli alberghi più lussuosi della città,
i giorni successivi, un Ufficiale ungherese ci accompagna al monumento
ai caduti per la Patria e l’Addetto Militare italiano a Budapest ci porta
a visitare la nuova filiale della FIAT ed altri luoghi caratteristici della
città. Alla sera siamo invitati a cena, ospiti del Governo ungherese,
e ci vengono consegnati dei doni personali, un portasigarette d'argento
che ancora conservo, con incisi il mio nome e la data della manifestazione.
Il 18 giugno rientriamo a Gorizia facendo nuovamente scalo a Szombathely.
La consegna dei CR 32 all’Ungheria
Il Governo ungherese, convinto della validità
del CR 32, ordina un certo numero di esemplari ed effettuo un volo di consegna
con la pattuglia incaricata del trasferimento. Decolliamo il 24 luglio
1936 da Gorizia con destinazione Szombathely, sorvoliamo la catena alpina,
imbocchiamo la vallata austriaca ed improvvisamente la visibilità
inizia a ridursi. Il cap. Rossi, che guida la formazione, invece di invertire
la rotta, scende. La visibilità continua a diminuire e pure il tetto
delle nubi si abbassa e ci costringe a volare raso terra. Improvvisamente
sfioro una casa che mi passa a circa sette metri sulla mia sinistra ed
alla stessa altezza. A questo punto decido di mollare gli altri, dò
tutta manetta ed inizio una rapida salita dentro le nubi con il terrore
di andare a sbattere da un momento all'altro contro le pareti di una montagna.
Dopo un terribile minuto durante il quale credo di non aver respirato,
foro le nubi e sono finalmente "fuori". Sento il cuore pulsare veloce per
lo scampato pericolo e non posso trattenere un'imprecazione "Sto capitano
Rossi ce ne combina sempre una nuova! Per fortuna anche questa volta è
finita!". Passano non più di trenta secondi ed ecco, uno alla volta,
schizzare dalla sommità delle nubi tutti gli altri velivoli. Ci
riportiamo in formazione e proseguiamo per la nostra destinazione dove
atterriamo dopo un'ora dal decollo. Un giorno il cap. Rossi viene richiamato
a Campoformido e lascia Gorizia ed il 4° Stormo. A Campoformido ai
primi voli in formazione, senza il provvidenziale aiuto dei gregari di
Gorizia, viene "a galla" la verità. È una sorpresa per tutti,
tanto più sapendo che il cap. Rossi comandava una Squadriglia Acrobatica.
Da un collega di Campoformido vengo a sapere che alla domanda: "Chi ti
ha insegnato a fare l’acrobazia?" il Capitano ha risposto candidamente
"Chianese e Castelletti". Per nostra fortuna sia io che Castelletti eravamo
ben conosciuti sia a Gorizia che a Campoformido. Il cap. Rossi perirà
durante il secondo conflitto mondiale in un incidente aereo occorso sullo
Stromboli mentre rientrava in licenza dall'Africa con un volo di collegamento.
Una Missione Speciale
Ai primi di agosto del 1936, tutto il
personale di volo viene adunato davanti alla palazzina Comando. Il col.
Retinò ha accanto il t.col. Moore ed inizia a parlarci delle crescenti
tensioni internazionali e del ruolo dell'Italia e conclude chiedendo dei
volontari per una "missione speciale" in un Paese straniero non specificato,
della durata di "un mese" o poco più. Conclude con: "... chi si
offre volontario per questa missione faccia un passo avanti". Faccio un
passo avanti e con me diversi colleghi fanno altrettanto. Fra il gruppo
di volontari, solo alcuni vengono scelti, dovranno far parte delle prime
due "spedizioni". Sono tra i prescelti e con me c’è il s.ten. Giorgio
Franceschi ed il serg. Manlio Vivarelli. Dobbiamo sbrigare alcune pratiche
burocratiche e pochi giorni dopo, il 7 di agosto, si parte in treno da
Gorizia. A Udine salgono altri piloti del 1° e 6° Stormo ed alcuni
specialisti, la destinazione è La Spezia dove, senza dare troppo
nell'occhio, veniamo imbarcati su una nave che ci sta attendendo. La missione
deve rimanere segreta ed è composta dai piloti: s.ten. Dante Olivero
(6° Stormo), s.ten. Adriano Mantelli (1° Stormo), s.ten. Giorgio
Franceschi (4° Stormo), serg. Raffaele Chianese (4° Stormo), m.llo
Bruno di Montegnacco (1° Stormo), serg. Gian Lino Baschirotto (1°
Stormo), serg. Achille Buffali (6° Stormo), serg. Raul Galli (1°
Stormo), serg. Manlio Vivarelli (4° Stormo) e dagli specialisti: Cresti,
Brunetto, Gerbino Grego, Barzacchi. La "spedizione" è praticamente
una Squadriglia al completo di uomini e materiali ed è posta sotto
il comando del s.ten. Olivero. Solo a bordo ci viene ufficialmente comunicata
la destinazione e lo scopo della missione. Il paese è la Spagna,
dovremo sostenere gli insorti contro la Repubblica, guidati dal generale
Francisco Franco. È previsto il nostro arruolamento nella Legione
Straniera spagnola "El Tercio", il Governo italiano non vuole che si sappia
dell’aiuto agli insorti. Ci vengono date disposizioni che, in caso di cattura
da parte del nemico, non dobbiamo rivelare l'appartenenza alla Regia Aeronautica
e ci vengono consegnati passaporti con false generalità, il mio
nuovo nome è "Giglio". La nave sulla quale siamo imbarcati è
una bananiera spagnola, l'Ebro, che viene reimmatricolata Aniene e sulla
quale vengono imbarcati anche nove caccia CR 32, ricambi, armi, munizionamento,
5 carri leggeri Ansaldo CV35 e relativi equipaggi. Il 10 agosto, poco dopo
aver lasciato La Spezia, riceviamo via radio l'ordine di interrompere il
viaggio e dirigere su Cagliari dove veniamo fatti ancorare in rada, fuori
del porto. Ai servizi segreti italiani erano giunte voci che l'equipaggio,
di nazionalità spagnola, stava complottando per ammutinarsi e far
attraccare la nave in un porto in mano ai Repubblicani, consegnandola con
tutto il suo carico. Siamo tenuti all'oscuro di tutto, tuttavia abbiamo
il sentore che qualcosa di strano stia accadendo. L’equipaggio è
preso in consegna da agenti del SIM (Servizio Informazioni Militari), gli
interrogatori e le indagini durano circa una settimana. Ci viene proibito
di scendere dalla nave e trascorriamo il tempo tuffandoci dalla nave ed
annoiandoci. Alla fine, dopo la sostituzione dell'equipaggio spagnolo,
la nave riprende la rotta verso Gibilterra. Costeggiamo il Portogallo ed
approdiamo a Vigo, in Galizia (Nord Ovest della Spagna), la notte tra il
26 e 27 agosto, dopo 20 interminabili giorni trascorsi senza mettere piede
a terra. Il viaggio non è stato privo rischi e lo sappiamo solamente
all’arrivo: nei pressi di Gibilterra, nella notte tra il 23 e il 24 agosto,
siamo stati intercettati da una nave da guerra Repubblicana ma fortunatamente
la nostra Marina aveva provveduto a farci scortare da un incrociatore che
ha fatto desistere l'unità spagnola da eventuali tentativi di attacco.
Quasi contemporaneamente a noi, il 5 agosto, sempre da La Spezia, ha lasciato
il molo un'altra nave, l'Alicantino, poi reimmatricolata Nereide, con un'altra
spedizione, una Squadriglia di dodici piloti ed altrettanti CR 32 al comando
del cap. Vincenzo Dequal, del 1° Stormo, con destinazione Melilla,
in
Marocco, ove giungerà nella notte tra il 13 e 14 di agosto. In sieme
a Dequal c'è il s.ten. Ernesto Monico (4° Stormo), s.ten. Victor
Hugo Ceccherelli (1° Stormo), s.ten. Giuseppe Cenni (1° Stormo),
serg. Giovanni B. Magistrini (1° Stormo), serg. Sirio Salvadori (4°
Stormo), serg. Giuseppe Avvico (4° Stormo), serg. Guido Presel (6°
Stormo), serg. Adamo Giuglietti (1° Stormo), serg. Vincenzo Patriarca
(4° Stormo), serg. Bruno Castellani (6° Stormo), serg. Angelo Boetti
(1° Stormo).
Lo sbarco a Vigo
Nonostante la spedizione di Dequal parta
poche ore prima di noi, raggiunge il Marocco dodici giorni prima del nostro
sbarco a Vigo. Non ha dovuto risalire la costa atlantica del Portogallo
e non ha subito il ritardo dovuto al cambio di equipaggio. La sera stessa
del 14 agosto gli aerei di Dequal, caricati su autocarri, vengono trasportati
all'interno dell'aeroporto di Nador ed il primo CR 32 assemblato vola il
17 agosto con ai comandi il s.ten. Victor Hugo Ceccherelli. Intanto il
27 agosto, a Vigo, terminate le operazioni di sbarco dell'Aniene, veniamo
caricati insieme ai velivoli e tutto l’altro materiale su un treno antidiluviano
che, viaggiando a poco più di dieci chilometri orari, ridiscende
a Sud, lungo il confine con il Portogallo, con destinazione Caceres. Potevamo
tranquillamente saltare giu dal treno, soddisfare le nostre necessità
fisiologiche e risalire sull'ultimo vagone! Dalla base di Caceres, in Extremadura,
la sera del 28 agosto veniamo trasferiti, a bordo di un trimotore Ju 52,
a Sevilla - Tablada e ci ricongiungiamo con i colleghi dell’altra spedizione
giunti da Nador, dove è stata costituita la 1^ Squadriglia, comandata
dal ten. Dequal.
La morte di Monico
Il 28 agosto, al s.ten. Ernesto Monico
giunge l'ordine di trasferirsi, con il serg. Bruno Castellani, da Salamanca
a Caceres, a disposizione del comando nazionalista. Nel tardo pomeriggio
del 31 agosto, il comando dispone una missione ricognitiva delle basi aeree
repubblicane madrilene. Monico e Castellani sorvolano a lungo la capitale
ed i campi di Barajas, Alcalà de Henares, Getafe, Cuatro Vientos
annotando quanto rilevato sulla consistenza ed attività delle basi
sorvolate. Nel corso del rientro, vengono sorpresi ed abbattuti da quattro
caccia avversari. Castellani, è costretto ad effettuare un atterraggio
di fortuna e riesce a raggiungere le proprie linee. Monico ha il suo CR
32 incendiato e si deve lanciare. Catturato da miliziani, alla sua richiesta
di esser messo in contatto con l'ambasciata, viene giustiziato. Dopo la
conquista di Toledo, su segnalazione della popolazione locale, i suoi uccisori
verranno fucilati da un Tabor, una unità militare marocchina. A
Monico viene conferita la Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.
I suoi compagni di Squadriglia per ricordarlo dipingono sulle fusoliere
il motto "Monico Presente!".
L'asso spagnolo Joaquin Garcia Morato
Il cap. Joaquin Garcia Morato, famoso
pilota spagnolo, è assegnato il 5 settembre alla 1^ Squadriglia.
La sua conoscenza dell’orografia della Spagna sarà estremamente
utile ai piloti italiani nei voli di ricognizione. Quando Morato giunge
a Tablada e si presenta al Comandante della Squadriglia, diverrà
noto un simpatico equivoco dovuto al nome di Dequal che in spagnolo vuol
dire "di quale". Dopo i convenevoli, Morato chiede al cap. Ruggero Bonomi:
“Quien es el Comandante de la Primera
Escuadrilla?” (Chi è il Comandante della 1^ squadriglia?)
"Dequal" gli risponde Bonomi e Morato
ripete:
"de la Primera Escuadrilla"
"Dequal !" ripete Bonomi
"de la Primera Escuadrilla!" insiste Morato
"Dequal" ripete per l'ennesima volta Bonomi
Morato si volta perplesso verso il collega
spagnolo, il quale chiarisce l'equivoco:
"Dequal es el nombre del Comandante"
Il tutto si conclude con una risata. Lo
stesso giorno Morato chiede di provare un CR 32 e dopo un breve briefing
sulle caratteristiche del velivolo e sul funzionamento degli impianti,
avvia il motore e comincia a rullare. Si forma un gruppetto di curiosi
e lo osserviamo decollare. Si allontana per un paio di minuti e poi ritorna
sul campo, effettua un paio di virate, dei tonneau e dei looping con una
disinvoltura che non sembra affatto un pilota al primo volo su un CR 32.
Si allontana nuovamente ed infine punta sull'aeroporto per portarsi all'atterraggio.
Si presenta a circa 200 mt di quota, molto vicino al campo, qualcuno tra
noi istintivamente commenta "È troppo alto, non ce la può
fare!". In effetti, a quella distanza è troppo alto e se continua
rischia di "toccare lungo" e finire fuori campo. Il CR 32 non è
dotato di flaps e l'avvicinamento deve necessariamente avere una pendenza
non troppo ripida. Qualche secondo dopo notiamo che Morato inclina il velivolo
da un lato e porta il timone direzionale a fondo corsa dal lato opposto.
La manovra, detta "scivolata" o "comandi incrociati", è un volo
“scoordinato” che aumenta di molto la resistenza all’aria ma richiede padronanza
della macchina, soprattutto se eseguita a bassa velocità e a bassa
quota. Subito dopo ripete la manovra dall'altro lato, perdendo rapidamente
quota fino a terra e posando le ruote all'inizio del campo. È un’eloquente
presentazione di un grande asso qual’era Morato.
Sevilla – Tablada ed il primo incidente
in territorio spagnolo
A Sevilla gli Ufficiali vengono alloggiati
nell'Hotel Cristina mentre noi, Sottufficiali, nell'Hotel Moderno. Sono
due lussuosi alberghi dei quali purtroppo non possiamo godere appieno i
comfort in quanto tutto il personale, piloti compresi, deve recarsi alle
cinque del mattino in aeroporto per assemblare i velivoli per fare poi
ritorno a notte inoltrata. Il mattino del 9 settembre, intorno alle 11.00,
il serg. Achille Buffali ed io decolliamo con Morato capo pattuglia. La
destinazione è Caceres, a sud-ovest di Madrid, dove eravamo giunti
alcuni giorni prima con il treno da Vigo. Insieme a noi c'è anche
la pattuglia di Dequal. Una terza pattuglia con i rimanenti piloti parte
più tardi ai comandi di Mantelli. In totale nove velivoli per dare
inizio alle missioni di protezione e cooperazione sul fronte di Oropesa
- Talavera de la Reina. Poco dopo ci raggiunge il resto del personale di
terra. Siamo da poco a Caceres che ci giunge la terribile notizia: alle
ore 18.30 il ten. Olivero, durante un volo di prova di un velivolo, eseguendo
un tonneau a pochi metri da terra, toccava con un’ala e si disintegrava
nei pressi dell'aviorimessa. Dopo la scomparsa di Olivero, la 1^ e la 2^
Squadriglia della Cucaracha sono poste al comando del capitano Dequal.
A Caceres iniziano i primi voli di guerra e vengo assegnato alla pattuglia
del cap. Morato, quale gregario. Non si fa più distinzione tra 1^
e la 2^ Squadriglia e gli equipaggi sono misti. Avrò anche occasione
di volare con famosi piloti spagnoli, il cap. Julio Salvador Diaz e il
cap. Jesus Angel Salas Larrazabal. Questi piloti giungeranno ai vertici
dell’Aviazione spagnola: Morato diverrà Capo delle Operazioni della
Caccia mentre Salas, finita la guerra, assumerà l'incarico di Capo
di Stato Maggiore.
Il primo combattimento
L’11 settembre, all'alba una pattuglia
composta da Dequal, Avvico e Patriarca decolla per una "crociera di protezione"
su Talavera attaccano tre Breguet. Dequal ne abbatte uno ed Avvico un altro.
Patriarca abbatte invece un Nieuport. Poco dopo partiamo Morato, Buffali
ed io. Giunti su Talavera scorgiamo tre bombardieri nemici Breguet, scortati
da due caccia a sinistra e da altri due a destra. Buffali si impegna con
i due di sinistra e ne abbatte uno. Morato ed io impegnamo i due caccia
di destra. Morato si mette in coda ad uno e lo abbatte. Io inseguo l'altro
e mi porto in coda e dopo alcune virate strette, faccio partire due raffiche
ed alla seconda mi rendo conto di averlo colpito poichè vedo, tra
il fumo delle traccianti, alcuni pezzi di lamiera staccarsi e del fumo
bianco, forse vapori di benzina. Il velivolo precipita e non vedo il pilota
uscire. Dopo la guerra saprò che era un inglese, si chiamava Cartwright.
Un’altra pattuglia si alza in volo: Franceschi e Magistrini per la scorta
ad uno Junkers. A una ventina di chilometri nell'interno del territorio
nemico avvistano due Dewoitine e tre Nieuport che puntano verso lo Junkers.
Franceschi impegna due Dewoitine e ne abbatte uno. Magistrini attacca i
tre Nieuport, abbatte uno e pone in fuga gli altri due. Sette apparecchi
abbattuti e uno probabile. Non è male! Il mattino del 16 settembre
assieme a Mantelli e Franceschi decolliamo da Caceres diretti sul fronte.
Improvvisamente compaiono tre caccia Dewoitine che volano con prua Sud
Ovest e li ingaggiamo a Sud di Talavera nella zona in cui alcuni mesi prima
era caduto Monico. Colpisco subito un Dewoitine e lo inseguo per alcuni
secondi mentre precipita per accertarmi di averlo abbattuto. Quando lo
abbandono al suo destino sono ad una quota molto più bassa e mentre
mi appresto a risalire mi trovo inaspettatamente in coda ad un velivolo
dipinto di rosso (che saprò successivamente essere un Miles M2H).
Alla distanza di 100 metri sparo una breve raffica di circa una trentina
di colpi nella sua direzione e per poco non colpisco Franceschi che improvvisamente
mi taglia la rotta, forse anche lui inseguiva lo stesso velivolo. Rimango
colpito dal fatto che il velivolo, in leggera discesa, non manovra per
sfuggire e pertanto mi affianco a circa una decina di metri. È un
monoplano ad ala bassa con due posti di pilotaggio in tandem. I piloti
hanno la testa rivolta verso il cruscotto e sono immobili. L'aereo va aumentando
il suo angolo di discesa. Realizzo solo allora che si tratta di un velivolo
non armato, probabilmente civile e rammaricandomi di essere stato troppo
tempestivo nell'aprire il fuoco, manovro per ricongiungermi alla mia pattuglia.
Ritornato al campo stendo rapporto sul combattimento e tralascio l'episodio
dell'aereo disarmato in quanto mi sembra sconveniente segnalarlo anche
perchè non ho verificato che fine abbia fatto. Ne frattempo giungono
dal fronte le segnalazioni degli abbattimenti rilevati dai nostri osservatori
a terra che riportano anche un velivolo da ricognizione con due piloti
a bordo abbattuto. Solamente dopo questa segnalazione mi rivolgo al Comandante
Dequal e riferisco dell'episodio del velivolo rosso che prima aveva omesso.
Lui non sente ragione, si rifiuta di assegnarmi l'abbattimento e lo accredita
alla Squadriglia. Questo episodio mi lascerà a lungo amareggiato,
non tanto per la mancata assegnazione dell'abbattimento quanto perchè
dimostrava la poca fiducia di un comandante nei confronti di un suo subalterno,
non contribuendo ad instaurare un buon rapporto proprio in momenti difficili
come quelli da noi affrontati. Il pilota del Dewoitine che ho abbattuto
si chiama Doherty e risulta sopravvissuto al combattimento. Durante questa
missione Franceschi perderà l'orientamento e non rientrerà
alla base.
Ad Avila con Julio Salvador Diaz
Un giorno decollo in pattuglia di tre
CR 32, Julio Salvador Diaz ed un altro pilota, non ricordo se Buffali o
Avvico, con destinazione un aeroporto in quota, Avila. Durante la breve
sosta ad Avila, incontro degli amici italiani che sono in compagnia di
alcune ragazze spagnole. Ero già conosciuto nell'ambiente aeronautico
per aver fatto parte della Pattuglia Acrobatica del 4° Stormo e mi
chiedono di dare qualche dimostrazione della mia abilità. D'accordo
con l'altro gregario, prima di ripartire da Avila, chiedo allo specialista
di simulare qualche difficoltà alla messa in moto dell'aereo di
Salvador in modo di avere a disposizione quattro o cinque minuti per effettuare
quello che avevo in mente. Sull'aeroporto sono schierati gli aerei della
caccia tedesca ed accanto i piloti attendono per osservare la partenza
dei nostri CR 32, considerati aerei di eccezionali prestazioni. Decollo
da solo e, staccate le ruote da terra, mantengo l'aereo parallelo al suolo
per prendere velocità, cabro bruscamente, effettuo una virata "sfogata"
ed inverto la prua di 180° picchiando e puntando contemporaneamente
verso gli aerei tedeschi ed i loro i piloti che mi stanno osservando. Mantenendo
sempre l'aereo ad un paio di metri da terra, con tutta manetta dentro,
accelero alla massima velocità e, ad un centinaio di metri da loro,
cabro nuovamente. Intendo effettuare un "Immelman" (un mezzo looping con
mezzo tonneau alla sommità) ma quando sono in cima al mezzo looping,
a testa in giù, mi rendo conto che la velocità è troppo
bassa e che il mezzo tonneau verrebbe a "botte" (sprofondato), invece che
in linea orizzontale. Decido allora di completare il looping, chiudendo
il cerchio puntando il terreno ma, quando sono con il muso verticale e
comincio a tirare, sento i comandi laschi e l'aereo che non risponde, vibra
spanciando. Su un aeroporto come Avila, a 1150 metri di altitudine, questo
comportamento del velivolo è normale a causa dell’aria rarefatta,
ma non potevo saperlo. Mi sono cacciato in una situazione dalla quale in
genere non si esce vivi. Fortunatamente ho la prontezza di spirito di non
reagire in modo istintivo e allento i comandi di quel tanto da allargare
il "raggio" del looping ed evitare che l'aereo stalli e poi, tirando più
dolcemente possibile, ma non troppo, riesco a "chiudere" il looping e sfioro
il terreno passando a poco più di tre metri, invece della trentina
usuali. Continuo mettendo l'aereo a "coltello", inclinato lateralmente
di 90°, sfilando diritto e veloce davanti ai piloti tedeschi. Con la
tremarella alle gambe e qualche goccia di sudore sulla fronte, circuito
sull'aeroporto attendendo il decollo dell'aereo di Salvador e dell’altro
gregario per poi rientrare tutti insieme alla base. A Caceres, Salvador
che aveva assistito da terra a tutta la scena, spento il motore, si avvicina
al mio aereo e mentre sono ancora intento a slacciare le bretelle, batte
un paio di colpi con la mano sulla fusoliera: "Hola amigo, yo vi todo!
A Avila usted ha tenido suerte. Ahora tienes que pagar de beber a todos!"
("Ehi amico, ho visto tutto! Ad Avila ti è andata bene. Devi pagare
da bere a tutti!"). In effetti solo un "occhio esperto" come il suo poteva
notare la difficoltà che avevo incontrato ed il rischio corso durante
l’esecuzione di quella manovra. Tutto sommato è andata bene, me
la sono cavata offrendo da bere a tutti.
In volo con Garcia Morato
Uno dei problemi che abbiamo incontrato
appena giunti in Spagna è la “navigazione”, cioè il potersi
orientare e seguire una rotta prestabilita. A causa della fretta con cui
è sono state organizzate inizialmente le OMS (Operazioni Militari
Spagnole), non disponevamo di carte geografiche aeronautiche e le bussole
erano installate solo su alcuni dei nostri CR 32. Orientarsi su un Paese
così vasto ed a volte con pochi riferimenti al suolo, non è
cosa facile. Volare in pattuglia con Morato vuol dire non avere il problema
della navigazione, conosce alla perfezione il terreno che sorvoliamo e
con il suo aiuto anche noi dopo un pò ci ambientiamo. Con lui effettuo
diverse missioni di mitragliamento ed appoggio alla fanteria. Alcune di
queste hanno come teatro le strade di Madrid, tagliata in due dal fronte.
Per chi non ha molta familiarità con la città c'e il rischio
di colpire le proprie truppe o i cittadini inermi. Morato in occasione
del "briefing" prima di queste missioni è solito ricordare a Buffali
ed a me che non dobbiamo sentirci obbligati a sparare sulla città
dove corriamo questo rischio. Lui ha la famiglia, madre, sorella, parenti
ed amici che vivono a Madrid e queste missioni sulla sua città non
le fa certamente a cuor leggero. Morato è un pilota dalle doti eccezionali.
Durante le missioni effettuate insieme a lui, un pilota repubblicano era
solito attenderci in prossimità della nostra base, quando oramai
con poco carburante a bordo, ci accingevamo al rientro e quindi più
vulnerabili. Ci piombava addosso come un falco, sparava una raffica e si
allontava velocemente. Per un paio di volte Morato, terminata la missione,
con un cenno ci fa rientrare mentre lui, riducendo la velocità al
minimo e quasi galleggiando in aria per aumentare l'autonomia, rimane lì
per far da esca. Attende così l'aereo solitario che sbuca dall'alto,
con il sole alle spalle, attratto da una "preda" così vulnerabile.
Morato, poco prima che l'aereo avversario inizi a sparare, con perfetta
sincronia ed una brusca "spedalata" vira rapidamente di 180 gradi, cabra
verso l’avversario e, manovrando con grande abilità, a velocità
prossime allo stallo, muso contro muso, lo collima e fa partire una breve
raffica. Al terzo agguato la raffica di Morato centra l'aereo nemico e
da quel giorno la nostra squadriglia non avrà più sorprese.
Solo la perfetta padronanza del velivolo alle basse velocità e la
destrezza di Morato avevano permesso un'abbattimento con una manovra non
prevista da alcun "manuale". L'aereo abbattuto, un Loire 46, cade tra le
linee repubblicane e quelle nazionaliste nei pressi di Valmojado (Toledo).
Morato ordina un "blitz" per catturare i resti del velivolo che viene trasportato
a Sevilla per studiarne le caratteristiche costruttive ed aerodinamiche.
Quando il velivolo giunge a Sevilla a bordo di un autocarro, insieme ad
alcuni colleghi e specialisti andiamo a vedere da vicino il relitto.
Il doppio tonneau in candela
Fra Dequal e Morato nasce una una profonda
e fraterna amicizia ed una sera, ad una cena di squadriglia siamo seduti
di fronte. Morato ad un certo punto chiede a Dequal un chiarimento su una
manovra acrobatica che ero solito eseguire al ritorno dalle missioni. Quando,
al rientro, volavamo rilassati, ma non troppo, sul territorio amico, poco
prima dell'atterraggio, mi "sfilavo" dalla formazione, "affondavo" con
tutto motore "dentro" per prendere la massima velocità e poi cabravo
in candela effettuando due tonneau veloci di fila, raddrizzavo e sempre
a tutta manetta andavo a ricongiungermi con gli altri due. Morato, da buon
cacciatore volava sempre con la testa voltata indietro e non gli erano
sfuggite le mie improvvisate manovre ed ora sarebbe curioso di sapere come
riuscivo a compiere quei due tonneau. Lui aveva provato più volte
la stessa manovra, anch'io me ne ero accorto, ma dopo un tonneau e mezzo
andava in perdita di velocità, stallando. Dequal gli risponde: "Chianese
è qui, chiediamolo a lui" e mi gira la domanda. Preso alla sprovvista,
non sapendo effettivamente dare una risposta tecnica esauriente, rispondo
imbarazzato ed in modo poco chiaro, dando l'impressione di non voler confidare
un mio segreto: "Lo vede pure come faccio!" rispondo. La mia risposta è
un pò scortese ed in seguito me ne pentirò. La realtà
è che neanche io conosco il motivo per il quale la manovra mi riesce.
Solo qualche anno più tardi realizzerò che nei tonneau in
salita usavo solo gli alettoni mentre i colleghi "lavoravano" molto col
timone di direzione. Il CR 32, nonostante in quegli anni fosse considerato
un caccia di primordine, non disponeva di una potenza tale da non risentire
dell’aumento di resistenza aerodinamica dovuto all'uso del timone di direzione
e di conseguenza si aveva una perdita di velocità. Allora noi piloti
conoscevamo ben poco di aerodinamica e l'istinto era essenziale per acquisire
padronanza del mezzo e ottenere le massime prestazioni. Finita la guerra,
Morato morirà proprio effettuando un tonneau a bassa quota, mentre
si girava un film sull'Aviazione Legionaria. Poco prima dell’incidente
è riuscito a completare le sue memorie, "Guerra en el aire". Leggendole,
molti anni dopo, sono rimasto colpito dal fatto che non menzioni mai i
piloti italiani, nonostante che l’intervento dell’Aviazione Legionaria
sia stato decisivo per l'esito della guerra. Si è dimenticato di
aver volato sui CR 32, "forniti e riforniti" dagli italiani, a fianco di
piloti italiani, diversi dei quali hanno perso la vita per la Spagna. C’era
la volontà, forse imposta, di far credere che la guerra sia stata
vinta solamente per merito dei nazionalisti spagnoli del gen. Francisco
Franco. Nel libro sono elencati anche tutti i voli di Morato, in diversi
di essi sono stato il suo gregario ed ho cercato di ricordarli confrontandoli
con il mio libretto di volo. Non è stato facile poichè i
miei dati sono a volte incompleti, non sono riportati l'ora del decollo
e atterraggio di alcune missioni ma solamente il tempo di volo. Sul mio
libretto addirittura, per tutto il mese di ottobre sono indicate le missioni
ma non il giorno in cui sono state effettuate. Non ricordo e non ne capisco
il motivo.
A Talavera de la Reina
Seguendo l'avanzare del fronte, le basi
di partenza dei nostri CR 32 vengono spostate il 21 settembre a Talavera
de la Reina - Gamonal, un'ampia superfice pianeggiante e polverosa dove
sono allestite in tempi brevi delle strisce per i decolli ed atterraggi
ed il minimo essenziale di infrastrutture logistiche. Alla nostra Squadriglia
viene assegnato il nome "Cucaracha" ed il nostro emblema è uno scarafaggio
che suona un sassofono. Viene dipinto sulle fusoliere dei nostri velivoli.
Intanto le azioni si susseguono giorno dopo giorno, crociere protezione
fronte, partenze su allarme, scorte ai bombardieri, vigilanza campo. Oramai
ci siamo familiarizzati con il territorio e riconosciamo molti dei paesi
spagnoli che sorvoliamo, Novalperal, Talavera, Cadice, Aguires, Toledo,
Chapineria, Aranjuez, Valmojado, Valcarnero, Illescas, S.Martire, Escorial,
Navalcarnero, Torrijos, Getafe, Cuatro Vientos. Alcune scorte agli aerei
tedeschi da trasporto truppe, gli Junkers, le effettuo in pattuglia con
Mantelli. È un pilota che si è formato da giovane con il
volo a vela e questa sua passione non lo abbandonerà per tutta la
vita. Il volo con l'aliante gli ha conferito una sensibilità che
sommata al suo talento, farà di lui uno dei miglior piloti da caccia.
Nel Circolo per il Volo a Vela da lui costituito prima di entrare nella
Regia Aeronautica, c'è un altro giovane, Giuseppe Cenni. Il caso
vorrà che si troveranno insieme al 1° Stormo ed in Spagna. Un'amicizia
fraterna unirà i due fino alla scomparsa di quest'ultimo avvenuta
durante il secondo conflitto mondiale. L'eccessiva lentezza degli aerei
tedeschi è un problema fastidioso e non indifferente per i nostri
più veloci CR 32. In un paio di missioni incontriamo ed ingaggiamo
alcuni Potez, bombardieri bimotori veloci che "incassano" molto bene. Quando
vengono attaccati si mettono in leggera picchiata e retraggono le torrette
con le mitragliatrici. In un combattimento quattro nostri CR 32 scaricano
tutte le munizioni su un Potez alla distanza di 200 metri. Le mitragliatrici
da 7.7 mm hanno la massima efficacia a circa 70 mt ma comunque il Potez
incassa tutti i colpi e riesce ad atterrare con un motorista ferito ai
comandi ed il resto dell'equipaggio colpito a morte.
L'attacco del 1° novembre all'aeroporto
di Talavera
Il 1° novembre al primo mattino piombano
sul nostro campo 3 Tupolev SB-2 "Katiuska" , soprannominati "Martin Bomber".
Mi trovo in volo con la pattuglia che effettua la "Vigilanza Campo", ci
mettiamo al loro inseguimento ma, avendoli avvistati troppo tardi, non
riusciamo ad ingaggiarli. Le bombe dei SB-2 ci provocano danni e vittime.
Sei CR 32 risultano danneggiati non gravemente e potranno essere riparati.
Tre soldati spagnoli di guardia sul campo vengono uccisi e nove feriti.
Rimangono feriti leggermente anche Vivarelli e il motorista Sirchia. Alcuni
specialisti, nonostante le bombe siano cadute molto vicine, si salvano
con un gran spavento. Il campo comincia ad essere soggetto a frequenti
attacchi nemici e si sta parlando di un prossimo trasferimento su un aeroporto
meno vulnerabile, a Torrjos, più vicino al fronte e dove si sta
già’ approntando una pista improvvisata in mezzo ad una piantagione
di ulivi che può essere utilizzata per il decentramento dei velivoli.
L’incidente di Vivarelli
Il giorno successivo, il 2 novembre, un
bombardiere "Martin Bomber", che sorvola il nostro campo di Talavera, viene
colpito da Mantelli e Sozzi. L’equipaggio si lancia ma i paracadute si
rompono per l’eccessiva velocità. Più tardi un grave incidente
funesta la nostra base. Sto riposando dentro il ricovero quando improvvisamente
sento una forte detonazione, afferro la mia macchina fotografica, una KodaK
3x4 e corro fuori. A circa 200 metri vedo una colonna di fumo e gente che
corre ma non capisco cos’è successo. Scatto una foto verso le le
fiamme che ora si alzano alte. Si presume che Vivarelli, mentre si apprestava
a salire su un CR 32, abbia urtato la leva di sgancio degli spezzoni, procurando
la caduta di uno di essi con la conseguente esplosione. Non si sa perchè
gli spezzoni si trovassero a bordo. L'apparecchio si è incendiato
e Vivarelli, gravemente ferito, viene trasportato all'ospedale ove poco
dopo muore. Rimangono seriamente feriti il serg. Silvio Salvadori, il motorista
Mondini e l'armiere Palmerina. Salvadori si è ustionato nell'estrarre
dalle fiamme il Vivarelli.
Torrijos
Il 3 novembre ci trasferiamo a Torrijos
poichè Talavera è sottoposta a frequenti attacchi nemici.
A Torrijos la pista ed i CR 32 sono così ben mimetizzati tra gli
ulivi che i repubblicani non riescono ad individuarci nonostante questo
aeroporto di fortuna rappresenti per loro una spina nel fianco. Su Torrijos
decolliamo ed atterriamo da una stretta e corta striscia d'erba ricavata
tra i campi arati dai contadini. Non ci sono hangar od altre costruzioni
ed i velivoli vengono parcheggiati e riforniti sotto le basse piante di
ulivi mentre il comando è mimetizzato sotto un enorme albero. Grazie
a questi accorgimenti il campo non verrà mai localizzato dai repubblicani,
nonostante più volte ci volino sopra. Successivamente, essendosi
verificati alcuni incidenti in atterraggio dovuti alle ridotte dimensioni
della pista, viene costruita una seconda, più lunga. Insieme agli
specialisti soffriamo il disagio dovuto alla mancanza di infrastrutture
che ci costringe a vivere all’aperto.
L'abbattimento di Maccagno
Il 4 novembre, la squadriglia da caccia
sovietica alla sua prima missione, consegue tre vittorie abbattendo i caccia
pilotati dal cap. Vincenzo Dequal e dal serg. Giovanni Magistrini ed un
trimotore tedesco Ju 52/3. Magistrini cade nelle nostre linee gravemente
ferito e muore poco dopo. Dequal si lancia col paracadute e rientra leggermente
ferito. Al posto di Dequal il magg. Tarcisio Fagnani, Comandante della
caccia del Tercio, decide di inviare il giorno successivo, il 5 novembre,
in zona operativa la squadriglia del cap. Alberto Maccagno, composta da
nove CR 32 condotti da piloti esperti e da alcuni della 3^ spedizione,
alla loro prima missione. Maccagno proviene dai bombardieri ed è
alla sua prima missione, Fagnani gli assegna come sezionari della sua pattuglia
due Sottufficiali esperti, Avvico ed il sottoscritto. Dobbiamo effettuare
una crociera di protezione alle truppe sul fronte di Getafe, alla periferia
di Madrid. Maccagno, guida la formazione, Avvico ed io gli voliamo accanto.
Improvvisamente notiamo che dal basso stanno salendo minacciosi una quindicina
dei nuovi e temuti caccia Polikarpov I-15 soprannominati "Chato" dai repubblicani
e "Curtiss" dai nazionalisti. Avvico ed io tentiamo di richiamare l’attenzione
del Comandante facendo oscillare ripetutamente le ali ma questi continua
a non capire e guardare avanti invece che in basso. I velivoli nemici cominciano
ad essere pericolosamente vicini ed a questo punto abbandoniamo il Comandante
alla sua sorte per evitare di essere facile bersaglio dei Polikarpov e
cabriamo bruscamente puntando il sole per sottrarci e renderci meno visibili
agli attaccanti. Nel frattempo uno di loro mi si è già avvicinato
pericolosamente e pertanto effettuo una stretta virata in salita e riesco
a portarmi di fianco e più indietro, lo collimo puntando le armi
più avanti, sul suo “punto futuro”, e lo colpisco alla prima raffica.
Il velivolo ruota sull'asse longitudinale, abbassa il muso e comincia a
perdere quota. Lo inseguo, com'è prassi in questi casi, per circa
2000 metri per accertarmi che non sia una manovra elusiva ed alla fine
lo abbandono al suo destino. Mi trovo così troppo basso e troppo
vulnerabile per riprendere il combattimento e decido di rientrare alla
base. Maccagno nel frattempo viene sorpreso da alcune raffiche sparate
dal basso che gli centrano l’aereo e lo feriscono ad una gamba. Il suo
CR 32 precipita in fiamme e, nonostante la seria ferita riesce a lanciarsi
col paracadute. Mentre sta scendendo sulla città, viene investito
anche dalle raffiche di due caccia nemici. Tocca terra vivo ma ferito
da una pallottola che gli ha strappato quasi completamente il piede destro.
Viene circondato da una turba minacciosa ma l’intervento provvidenziale
di alcuni miliziani della XI^ Brigata internazionale lo sottraggono ad
un probabile linciaggio. Ricoverato in ospedale a Madrid, i sanitari intervengono
amputandogli l’arto. Maccagno è l’unica perdita legionaria di questo
giorno. Al rientro vi è un certo imbarazzo nello stilare i rapporti
sul combattimento che è costato la perdita del Comandante di Squadriglia
Maccagno, anche perché in due giorni ne sono stati abbattuti due!
Il 15 novembre, insieme ad un gruppo di venti CR 32 eseguo una scorta a
due formazioni di Junkers in azioni di bombardamento sulle fortificazioni
di Madrid. Durante la scorta alcune pattuglie di Polikarpov I-15, ci attaccano.
Riesco ad agganciarne uno e dopo alcuni minuti di inseguimento lo colpisco
e lo abbatto. Rientro alla base stanco, il volo di scorta ed il combattimento
mi hanno fatto stare per aria per due ore, in condizioni non certamente
confortevoli. Il mattino del 19 novembre, partiamo per una scorta agli
Junkers che si accingono a bombardare Madrid. Volando ad una quota più
alta dei bombardieri, giungiamo sulla capitale e assistiamo al bombardamento.
Dopo pochi minuti la città è totalmente coperta da un denso
fumo nero e poco dopo veniamo attaccati dai caccia nemici, il combattimento
che ne segue è violento. Nello scontro riusciamo ad abbattere un
Polikarpov I-15 e due Polikarpov I-16 "Rata" mentre altri quattro velivoli
sono visti precipitare ma l'abbattimento sarà confermato solo per
uno di essi. Tutti i bombardieri ed i CR 32 ritornano indenni alla loro
base.
Il velivolo "personale" del tenente
Larsimont
Il 20 novembre sull'aeroporto di Torrijos
– Barcience c'è una partenza su allarme, corro insieme agli altri
verso i decentramenti, sotto gli ulivi e gli eucalipti, dove sono parcheggiati
i CR 32. Il mio caccia è attorniato dagli specialisti, deve essere
ancora completato il rifornimento del carburante e delle munizioni, servono
ancora diversi minuti prima che sia in grado di partire. L'aereo accanto
è invece pronto e l’armiere, caricati i nastri delle mitragliere,
sta chiudendo i portelli ma non c'è nessun pilota vicino. Non molto
lontano il Comandante di Squadriglia, il cap. Guido Nobili, sta impartendo
le ultime disposizioni per la partenza. Corro verso di lui e gli chiedo
l'autorizzazione a prendere il velivolo già’ pronto. I motoristi
capiscono al volo e prima che salga a bordo hanno già’ avviato il
motore che per fortuna è già caldo. Mi allaccio il paracadute
e mi imbrago velocemente ed in breve sono in volo con il resto della pattuglia.
Sono trascorsi pochi minuti quando comincio a notare un rivolo d'olio sul
parabrezza che si va allargando fino a togliermi completamente la visuale
sul vetro anteriore. Si è rotto un manicotto dell'olio e rischio
da un momento all’altro lo spegnimento del motore. Con mio disappunto mi
vedo costretto a rientrare e, oscillando le ali, lo segnalo al capo pattuglia.
Abbandono la formazione e mentre sono sulla rotta di ritorno tengo sott'occhio
la pressione e la temperatura dell'olio, sperando che il motore non mi
abbandoni proprio a pochi minuti dal campo. Davanti la visuale esterna
è nulla e sono costretto a volare virando continuamente a destra
ed a sinistra. Fortunatamente ho dimestichezza con l’orografia del luogo
e trovo la strada per rientrare a Torrijos. Anche in finale debbo effettuare
continue virate, sporgermi dall'obitacolo non serve, l'olio mi sporca il
casco e gli occhiali, peggiorando la situazione. La pista di Barcience
è una striscia in mezzo ai campi e maledettamente stretta e corta.
Tocco terra bruscamente, guardando la pista di lato. Quando la velocità
è ridotta, finisco con la ruota dal lato opposto a dove guardavo,
fuori dalla pista, nel terreno molle. La ruota sprofonda, l'aereo imbarda
ma riesco a controllarlo, non ci sono danni al velivolo ma il fango copre
vistosamente il semicarrello e la parte inferiore dell’ala. È andata
bene, se la velocità fosse stata più alta, rischiavo una
capottata. Il ten. Antonio Larsimont, cui era stato assegnato il velivolo,
assiste al mio rientro e appena scendo dall’aereo mi viene incontro. Penso
che voglia complimentarsi per la riuscita manovra ed invece mi dà
una solenne inquadrata "Chi l'ha autorizzato a prendere il mio velivolo?
Me l'ha pure scassato!" inveisce indicando con il braccio il fango sul
carrello "Il mio velivolo non era pronto, l'unico aereo disponibile era
il suo e comunque sono stato autorizzato dal Comandante Nobili, glielo
chieda!" rispondo. Larsimont non vuol sentire ragioni e rincara la dose
davanti agli specialisti che assistono ammutoliti alla scenata. Ritenendo
che abbia superato ogni limite, con tono duro gli rammento che quando era
un pivellino appena giunto a Gorizia, era stato mio allievo "… si ricordi
che le ho insegnato io a volare!" concludo e mi allontano. La mia frase
deve averlo indubbiamente ferito e non me la perdona ed inoltra rapporto
al Comandante di Gruppo, il magg. Tarcisio Fagnani. Il Comandante di Gruppo
mi convoca e, pur riconoscendo le mie buone ragioni, mi infligge quindici
giorni di rigore per aver tenuto un atteggiamento irrispettoso nei confronti
di un superiore. Gli arresti sono puramente formali e non mi esentano dalle
missioni ma accetto il provvedimento che ritengo ingiusto e marco visita
dandomi ammalato. Fagnani mi trasferisce al campo di Talavera de la Reina
dove, senza nulla obiettare ed improvvisamente guarito, riprendo le missioni
di guerra. Non vedrò più Larsimont ed è stato meglio
così poichè non gli ho mai perdonato questo suo comportamento.
Morirà il 26 giugno 1942 a Sidi-el-Barrani, in Africa Settentrionale,
nel corso di un bombardamento del campo da parte dell'Aviazione inglese.
Di nuovo a Talavera
Il 1° dicembre 1936, verso le 15.30,
al campo di Talavera de la Reina, vengono segnalati movimenti di reparti
della fanteria nemica in avanzata a una quindicina di chilometri a sud
dell’aeroporto, nei pressi di San Bartolomè de las Abiertas e La
Pueblanueva. Al fine di prevenire eventuali incursioni al campo, insieme
al serg. Gian Lino Baschirotto parto su allarme per una ricognizione offensiva
sulla zona segnalata. Con Baschirotto mi sto sistemando velocemente la
combinazione di volo ed il paracadute e gli avieri, che stavano rifornendo
il velivolo, debbono bruscamente interrompere le operazioni e ciò
provoca un’abbondante fuoruscita di carburante che dall'ala superiore finisce
nel posto di pilotaggio e nella fusoliera. Durante il rullaggio ed il decollo
sono costretto a tenere la testa spostata verso l'esterno a causa dei vapori
di benzina che vengono esalati dalla fusoliera. Dopo il decollo ci mettiamo
in coppia e ci dirigiamo verso la zona segnalata. I vapori saturi di benzina
non si sono ancora dissolti e l’aria all’interno dell’abitacolo è
irrespirabile, sono sempre costretto a sporgermi per prendere una boccata
d’aria. Dopo alcuni minuti di volo avvistiamo un gruppo di una mezza dozzina
di militari repubblicani nei pressi di una piccola casa di campagna isolata.
Con una virata in discesa ci abbassiamo e ci distanziamo portandoci in
fila indiana per predisporci all’attacco. Io sono il primo e ad una quota
di circa 50 metri, apro il fuoco con una sola delle due mitragliatrici
contro il gruppo di soldati che corre verso la casa per ripararsi. Mentre
l’aereo è scosso dai colpi esplosi, noto del fumo chiaro provenire
dall'interno della fusoliera in corrispondenza del vano ove sono installate
le mitragliatrici e penso che ciò sia dovuto all'eccessivo ingrassagio
dei nastri sui quali sono fissati i proiettili, accorgimento adottato dai
nostri armieri per ridurre il rischio di inceppamenti. I militari cercano
scampo rifugiandosi all’interno della casa colonica. Ci predisponiamo per
un secondo passaggio, armo anche la seconda mitragliatrice e collimo le
armi su una finestra. Una frazione di secondo dopo aver aperto il fuoco
si innesca all'interno della fusoliera un incendio, il fumo che vedevo
erano vapori di benzina! Le fiamme si incurvano sopra la mia testa riparata
dal casco e dagli occhialoni e vengono risucchiate verso l'alto dal flusso
d’aria accelerato dal parabrezza, investendomi ed avvolgendomi completamente.
Sono attimi tremendi nei quali mi sento perduto. Penso per un attimo di
farla finita schiantandomi al suolo con una spinta in avanti della cloche,
sono su territorio nemico e non voglio cadere prigioniero! Essere catturati
vuol dire andare incontro probabilmente alle torture ed alla fucilazione
ma ho come un presentimento e decido di tentare. Sopporto il calore, cabro
violentemente per raggiungere una quota di almeno 150 metri, rovescio il
velivolo, mi slaccio le cinture e lo abbandono. Avevo già agganciato
alla carlinga la fune di vincolo che provvede a comandare l’apertura del
paracadute appena fuori dal velivolo. La discesa è brevissima, il
paracadute si apre completamente a 50 mt da terra. Il contatto con il suolo
è brusco, mi libero dal paracadute e mi allontano dirigendomi verso
un piccolo corso d’acqua delimitato da un crepaccio profondo due, tre metri.
Mentre sto correndo i militari, da una distanza di circa 300 metri, mi
fanno bersaglio con numerosi colpi di fucile, i proiettili sibilano sopra
la mia testa senza colpirmi. Cerco un nascondiglio che possa darmi riparo
e mi butto a tuffo dentro una piccola cengia formata dall’ansa di un torrente
e batto il capo contro l'unico spuntone di roccia lungo un metro sporgente
dal terreno ma non sento alcun dolore. Ho il cuore in gola, corro nel letto
del torrente e mi rannicchio in una fessura scavata dalle piene sotto le
pareti verticali di terra morbida che mi fa da tetto e mi ripara dalla
vista degli inseguitori. Spero fino all'ultimo in un intervento del CR
32 di Baschirotto che, mitragliandoli, sarebbe in grado di tenere a bada
gli spagnoli che mi inseguono, permettendomi di raggiungere le nostre linee
distanti non più di una decina di chilometri. Sul terreno che abbiamo
appena sorvolato non abbiamo avvistato forze nemiche e in meno di un’ora
sarei al sicuro. Con mio disappunto vedo invece che Baschirotto, un pilota
giovane ed inesperto, mi abbandona a me stesso e rientra al campo per dare
l’allarme. Dopo alcuni minuti i militari che poco prima ho mitragliato
sono arrivati al letto del torrente e cominciano a perlustrarlo. Mi sono
vicini, non mi vedono ma hanno capito che debbo essere li intorno e gridano
"Vienes afuera hombre, no te disparamos!". La ricerca è breve, uno
di loro intravede le mie scarpe che sporgono dalla buca, troppo piccola
per contenermi, e mi catturano. Vengo trattenuto da due uomini, mi tolgono
la pistola e sono spogliato di ogni effetto personale, subito dopo un miliziano
mi si avvicina imprecando ed alza il calcio del fucile per assestarmi un
colpo alla testa che sicuramente mi avrebbe ucciso. Un Ufficiale prontamente
devia il colpo afferrando il braccio del soldato e gli intima di non toccarmi.
Comprendo, con il mio scarso spagnolo, che debbo essere interrogato dai
servizi segreti e sono più utile da vivo. I repubblicani non sono
molto teneri con i prigionieri e se vengo risparmiato, almeno per il momento,
è perché il mio mitragliamento non ha fatto vittime. Puntandomi
le armi ed a spintoni mi costringono a dirigere verso la casa colonica
che è servita loro da rifugio, mentre due dei miliziani si danno
da fare per coprire i resti del mio aereo con ramaglie e nasconderlo alla
vista di eventuali ricognitori.
Il tentativo di soccorso del cap.
Carlos Haya Gonzales
Dopo circa trenta minuti, da Gamonal viene
inviato in mio soccorso un velivolo da trasporto americano, un Douglas
DC 2, pilotato dal cap. Carlos Haya Gonzales, con a bordo una decina di
soldati armati incaricati di tentare di recuperarmi. L'aereo effettua tre
voli di ricognizione di una ventina di minuti sorvolando la zona intorno
a San Bartolomè de las Abiertas e La Pueblanueva, dove si presume
che mi sia lanciato. Nel suo primo volo il DC 2 individua la casa colonica
dove i soldati repubblicani mi trattengono in attesa di un mezzo militare
per portarmi via e ci sorvola ad una decina di metri. Due miliziani prontamente
mi puntano il fucile e mi fanno accostare ad un muro, non è il caso
di tentare di attirare l'attenzione dell'aereo! Dopo altri due voli di
ricognizione senza successo, il cap. Carlos Haya Gonzales rinuncia alla
ricerca. Il giorno successivo, il 2 dicembre, verrà' inviato anche
un aereo biposto Ro 37 che sfortunatamente subirà una "piantata
di motore" e sarà costretto ad un atterraggio di emergenza in territorio
nemico. L'aereo che volava ad una quota di circa 60-70 metri ha ancora
le bombe a bordo che non fa in tempo a sganciare. Al posto dell'osservatore
c'è un pilota, il ten. Ugo Di Marzio che, colto dal panico, si lancia
col paracadute ma essendo troppo basso si schianta al suolo. Il pilota
Mattis, si ferisce seriamente durante l'atterraggio e viene fatto prigioniero.
Al Di Marzio verrà concessa la medaglia d'oro al Valor Militare.
I tentativi per il mio recupero proseguiranno fino al 3 dicembre e poi
saranno abbandonati.
La prigionia
Arrivano intanto altri miliziani alla
casa colonica, vengo caricato su un cavallo e, raggiunta una strada sterrata,
un'auto militare mi attende per trasportarmi a Valencia. Durante il tragitto
vengo fatto scendere a San Martín de Pusa ed interrogato in modo
formale. Alcuni paesani al mio passaggio mi insultano gridando "Assassino,
criminale!" ma altri poco dopo mi offrono pane e caffe' che rifiuto, non
mi fido ad accettare. Uno dei miliziano mi dice che la popolazione ha subito
da poco un bombardamento degli Junkers e ci sono stati otto morti. Passando
a Sud di Madrid, nei pressi di Toledo, vengo portato al Comando della 47^
"Brigada Mixta" inquadrata nella "9^ División". E' un edificio isolato
e grande, all'interno c'e' una scalinata in pietra alla sommità
della quale vengo lasciato in un atrio, incustodito per circa un'ora. Ho
il sospetto che si tratti di un tranello per indurmi alla fuga ed avere
una giustificazione per uccidermi. Considerando che per raggiungere le
linee amiche dovrei attraversare il fiume Tajo, desisto da ogni tentativo.
Sono sottoposto all'interrogatorio del Comandante della Brigata, un capitano
spagnolo di complemento che mi tratta prima con modi severi e poi diventa
più cordiale al punto da confidarmi di essere nella vita civile
un maestro di matematica a Talavera de la Reina ed amante dell'Italia.
Alla fine mi accompagna dietro alla mensa Ufficiali e mi offre da mangiare
e mi lascia augurandomi buona fortuna. Questi spagnoli non finiscono
mai di sorprendemi! Riprendo il viaggio verso Valencia ma durante il percorso
una moto staffetta porta l'ordine di tornare indietro "… un Ufficiale russo
vuole vedere ed interrogare il prigioniero". Vengo nuovamente sottoposto
ad un interrogatorio da un colonello russo con un comportamento e dai modi
violenti. È presente all'interrogatorio pure un ufficiale pilota
spagnolo che sembra interessarsi principalmente alla tattica di volo degli
italiani ed ai nostri aerei che non alle informazioni di "intelligence".
Mi confida, senza farsi sentire dal russo, di non portar alcun rancore
nei confronti dei colleghi piloti italiani.
A Valencia
Nel frattempo il nostro Comando, che non
si rassegna alla perdita di un pilota considerato un buon elemento, il
giorno stesso invia dei velivoli che lanciano migliaia di volantini in
territorio nemico con il messaggio in lingua spagnola “Se il pilota che
è caduto entro le vostre linee col paracadute non verrà restituito
sano e salvo prima delle dieci della sera di oggi, subirete le conseguenze
di una punizione esemplare. Nel caso il pilota sia trasferito in altro
luogo, possono venire due emissari a portarci le informazioni, in tal caso,
sarà garantita la loro libertà. Talavera de la Reina, 3 dicembre
1936”. Arrivo a Valencia e vengo rinchiuso in una caserma adibita a campo
di prigionia dove ci sono, oltre agli spagnoli, anche degli italiani. Si
sparge subito la voce che un pilota italiano è stato catturato e
la notizia desta interesse negli italiani delle Brigate Internazionali
che passano per la caserma, centro di arruolamento dei volontari di varie
nazioni accorsi in aiuto dei Repubblicani e che vengono a "farmi visita".
Diversi italiani mi insultano o tentano di colpirlmi ma le guardie spagnole
si dimostrano sempre molto corrette ed intervengono per difendermi dalle
angherie dei miei stessi connazionali. Alcuni militari spagnoli che frequentano
la caserma, passando vicino alla mia cella, senza farsi scorgere, mi gettano
invece cibo e sigarette. Un giorno il Comandante del battaglione Garibaldi
della XII Brigata Internazionale, l'italiano Randolfo Pacciardi, si presenta
alla caserma in divisa spagnola e si fa aprire la cella dalle guardie.
Dopo un breve interrogatorio e saputo che sono napoletano, mi dice che
dovrei vergognarmi, mi accusa di infangare il buon nome dei partenopei
e mi schiaffeggia violentemente. Un giorno sono trasferito dalla mia cella
in un locale più grande, adattato a prigione che, vengo a sapere,
era in precedenza il Circolo Ufficiali della caserma. Ho come compagni
di prigionia un maggiore e due sottotenenti dell'Esercito Italiano. I tre
mi trattano con riguardo inusitato per essere un Sottufficiale e soltanto
più avanti comprendo il motivo: tra il 10 ed il 14 marzo 1937, nel
corso della campagna di Guadalajara, i tre Ufficiali fanno parte del Corpo
Truppe Volontarie che si trovavano nella località chiamata "Bosco
di Brihuega", a circa 25 Km a nord di Guadalajara. Gli italiani avevano
con loro diversi prigionieri repubblicani e quando si accorsero di essere
circondati (subiranno una dura sconfitta) tentarono di rompere l'accerchiamento
e per muoversi più agevolmente si liberarono dei prigionieri, trucidandoli.
Non riuscirono nel loro intento e furono catturati dai repubblicani che,
scoperto l'eccidio, cercarono di individuare i colpevoli e i tre militari
erano tra i sospettati. Il mio improvviso arrivo nella loro cella li aveva
convinti che fosse una mossa per introdurre tra di loro un agente informatore
al servizio dei repubblicani.
La cattura di Cenni, Pesce e Bandini
Dopo circa due mesi cade prigioniero e
viene rinchiuso nella mia stessa caserma il serg. Mario Bandini, mio amico
e collega del 4° Stormo, ma resterò all'oscuro della sua presenza
per quasi tutta la prigionia. Il 29 dicembre 1936 da Sevilla parte una
missione in aiuto degli assediati del Santuario de la Virgen de la Cabeza.
La formazione comprende tre S81, tre Ro37 e nove CR 32 di scorta. Il Comandante
della squadriglia dei nove CR 32 è Armando Francois. Gli altri piloti
sono il ten. Giovanni Berretta, s.ten. Giuseppe Cenni, s.ten. Elio Pesce,
serg. Mario Bandini, serg. Mario Bernocchi, serg. Giacomo Trombotto, serg.
Luigi Grimoldi, serg. Michelangelo Serafini. Dopo il decollo l'aereo
di Francois ha un'avaria ed è costretto a rientrare a Tablada ed
il comando della squadriglia dei CR 32 passa a Berretta. Le condizioni
meteorologiche in rotta sono pessime ed i velivoli finiscono dentro i cumuli.
In breve la formazione si rompe ed alcuni velivoli finiscono in vite. Trombotto
impatta il terreno e muore nei pressi del Santuario in luogo inaccessibile.Il
suo corpo verrà ritrovato diversi anni più tardi. Grimoldi
tenta un atterraggio di fortuna nel letto del fiume Jandula presso Andujar,
entro le linee nazionaliste, ma capotta e muore nell'impatto. Bernocchi
atterra sulla strada Madrid-Jaen e viene catturato. Pesce e Bandini effettuano
un atterraggio di fortuna e vengono catturati a Elechal, nei pressi di
Castuera. Cenni si lancia col paracadute e finisce nei pressi della palude
di Guadamellato (nord di Cordoba) ma riesce a sfuggire agli inseguitori.
Verrà catturato dopo tre giorni, tradito da alcuni contadini del
posto che lo consegnano ai militari repubblicani. Bandini viene rinchiuso
in una cella attigua alla mia ed un giorno una guardia gli descrive la
mia fisionomia, sapeva che ero caduto prigioniero e intuisce che debba
essere io il suo vicino di cella, tuttavia non fa nulla per mettersi in
contatto per il timore di far trapelare la sua vera identità ai
repubblicani.
Il Carcel Modelo
In aprile del 1937, tutti i prigionieri
vengono trasferiti al "Carcel Modelo" di Valencia, un vecchio convento
adibito a carcere, dove le condizioni dei prigionieri sono migliori. Qui
incontro finalmente Bandini ed i tre Ufficiali dell'Esercito che realizzano
di aver preso un abbaglio, non posso essere un agente segreto ed il loro
atteggiamento cambia completamente, fanno valere il loro grado e mi trattano
con distacco. Intanto gira la voce che si sta lavorando per uno scambio
di prigionieri, il maggiore dell'Esercito si dice sicuro che la scelta
cadrà su di lui perchè più "importante". Alcuni giorni
più tardi viene in visita al Carcel Modelo una delegazione internazionale
della Croce Rossa per constatare le condizioni di vita dei prigionieri.
Veniamo radunati al centro del carcere, al cospetto della delegazione,
accompagnata da uno stuolo di Ufficiali spagnoli. Ad un certo punto vedo
un Ufficiale che lascia il gruppo e mi viene incontro, solo allora lo riconosco,
è il capitano spagnolo, il professore di matematica che per primo
mi aveva interrogato subito dopo la cattura. Incurante di cosa possano
pensare i colleghi della delegazione, mi abbraccia e mi dice che è
lieto di rivedermi vivo e che, finita la guerra, si augura di poter venire
in Italia ed incontrarmi. Sono talmente sorpreso che non so cosa rispondere
e ringrazio sorridendo. Il capitano è il nuovo Comandante del carcere
e da quel giorno, durante le sue ispezioni, mi fa uscire dalla cella e
mi vuole accanto a lui. Rientrato in Italia e terminata la guerra, ho tentato
inutilmente di rintracciarlo, ho saputo solo recentemente, grazie ad alcuni
amici spagnoli, che il suo nome è Manuel Machuca de Las Heras, Comandante
delle Unità d'Informazione a Sud del Tajo. Prima della guerra era
insegnante in Talavera de La Reina, ha anche comandato i "dinamiteros"
in alcune azioni di attacco ai treni a Nord del Tajo.
La condanna a morte
Poco dopo la nostra partenza con la nave
da La Spezia, ci era stato detto che saremmo stati arruolati nella Legione
Straniera con un nome di copertura da usarsi in caso di cattura da parte
dei repubblicani. Mi sono sempre attenuto a tale disposizione per tutta
la prigionia e solamente dopo il mio ritorno in Italia verrò a sapere
che i miei compagni catturati avevano invece quasi tutti dato le loro reali
generalità. Continuavo a dichiarare di chiamarmi "Giglio" e di essere
appena giunto in Spagna, così facendo aggravavo la mia posizione
senza saperlo. Quando eravamo a Caceres, durante le libere uscite, diversi
piloti frequentavano le ragazze del posto, alcune delle quali molto carine,
erano spie dei repubblicani e fornivano informazioni sulle nostre identità
al servizio di spionaggio che pertanto conosceva i nostri nomi. In uno
dei frequenti interrogatori cui ero sottoposto al "Carcel Modelo", all'atto
di sottoscrivere il verbale, distrattamente firmo con il mio vero nome.
Il fatto di aver dichiarato il falso e di non aver "collaborato" è
sufficiente per condannarmi a morte, senza processo e senza che ne fossi
messo al corrente. Una sera chiedo una sigaretta ad una guardia carceraria
che sta passando vicino alla finestra della mia cella e questa mi confida
imbarazzata che il giorno dopo alle sei di mattina era “comandata di guardia”,
nel linguaggio carcerario vuol dire che era stata fissata la mia esecuzione.
Passo la notte insonne e poco prima delle sei sento la guardia avvicinarsi
alla cella, gira la chiave nella toppa ma la porta non si apre. Sento che
vengono aperte altre celle e diversi prigionieri spagnoli spinti fuori
tra grida strazianti e fatti salire su un autocarro militare. Passano alcuni
minuti terribili, convinto che le guardie tornino con la chiave giusta,
ma nulla accade e l'autocarro parte con il carico umano. Dopo circa due
ore il mezzo torna vuoto ed immagino che la guardia che aveva annunciato
la mia esecuzione mi abbia giocato uno scherzo di cattivo gusto.
La liberazione
Il 20 luglio 1937 vengo chiamato con gli
altri tre piloti, Cenni, Pesce e Bandini con i quali ho condiviso i lunghi
mesi trascorsi nel carcere. Le chiamate sono sempre motivo di apprensione
ma questa volta un tenente spagnolo ci dice di raccogliere le nostre poche
cose e ci conduce al porto di Valencia dove veniamo affidati ad un emissario
della Croce Rossa Internazionale. Questo vuol dire la libertà!.
Attendiamo per qualche ora in porto una telefonata che deve confermare
il rilascio di altrettanti prigionieri repubblicani sul confine nord-ovest
tra Spagna e Francia. Veniamo imbarcati su una nave ospedale britannica,
il "Maine", che si trova in porto ed ha destinazione Marsiglia. Dopo 11
mesi dallo sbarco a Vigo, dei quali otto trascorsi in prigionia, dopo 52
missioni di guerra e 65 ore di volo, con cinque abbattimenti "individuali",
dei quali uno non riconosciutomi da Dequal e quattro "collettivi", lascio
finalmente la Spagna. La nave che ha ritardato la partenza per attendere
l'esito della trattativa, dopo una breve navigazione, approda a Marsiglia,
dove ci riceve il magg. Tarcisio Fagnani che conosce tutti e quattro e
può confermarne la nostra identità alle autorità italiane.
Il maggiore è il Comandante di Squadriglia che a Torrijos mi ha
punito per aver ribattuto alle accuse del ten. Larsimont che mi accusava
di aver danneggiato il "suo" velivolo. A Marsiglia l'accoglienza è
calorosa e festeggiamo la liberazione in un ristorante francese. Il viaggio
continua per Roma dove il nostro gruppo di reduci viene ospitato nel sontuoso
albergo "Azeglio", vicino al Ministero dell'Aeronautica. Dopo un breve
permesso per visitare la mia famiglia a Napoli e consegnare una lettera
alla moglie del maggiore dell'Esercito che era sicuro di essere prescelto
per lo scambio di prigionieri, resto a disposizione del Ministero dell'Aeronautica
a Roma per gli interrogatori di rito. Prima di rientrare a Gorizia vengo
ricevuto da Mussolini insieme a Cenni, Pesce e Bandini. Mussolini si congratula
con tutti noi, ci consegna una foto con autografo e si rivolge al Capo
di Stato Maggiore dell'Aeronautica, il generale Valle, dicendo di proporre
noi quattro per la Medaglia d'Argento al Valore Militare. Diverso tempo
dopo, Corsi, al rientro dalla sua prigionia in Spagna, mi consegna uno
dei volantini che erano stati lanciati dopo la mia cattura e che aveva
custodito con cura per tanti mesi. Mi racconta inoltre che un alto funzionario
della Croce Rossa Internazionale gli aveva confidato di esser riuscito
a salvare poche ore prima della fucilazione un certo Chianese, pilota della
Cucaracha. Dopo lunghe trattative con la Croce Rossa, quattro piloti italiani,
Cenni, Pesce, Bandini e Chianese erano stati scambiati con tre piloti repubblicani,
Giuseppe Krizaj, Juan Olmos Genoves e Josè Bastida Porros.
Giuseppe Krizaj
Nato a Capriva del Carso nel 1911 e trasferitosi
ad Aidussina, oggi Ajdovscina in Slovenia, Giuseppe Krizaj è cittadino
italiano di lingua slovena a 18 anni fa domanda di ammissione al corso
per Sottufficiali Piloti della Regia Aeronautica. Superate le selezioni,
il 4 dicembre 1929 viene ammesso alla "Scuola Specializzati A.A.", il centro
di addestramento per Allievi Piloti di Capua, dove ci incontriamo e conosciamo.
Superiamo entrambi gli esami e subito dopo le nostre strade si separano,
l’11 marzo 1930 Krizaj viene inviato alla Scuola Civile di Pilotaggio "Breda"
di Sesto San Giovanni, consegue il brevetto di pilota ed il 30 luglio viene
assegnato alla 2^ Squadriglia della Scuola Allenamento Caccia di Ghedi.
Qui ci incontriamo nuovamente ed entrambi veniamo assegnati al 1° Stormo
Caccia a Campoformido ma lui, poco dopo viene trasferito al 2° Stormo
Caccia a Mirafiori e poi al 3° Stormo. Al termine dei 18 mesi di ferma
obbligatoria, Krizaj fa domanda per essere riaffermato ma nell’agosto 1931
gli viene respinta. Le sue note caratteristiche riportano “ottimo pilota
da caccia con punti volo 18/20 e esami teorici 13/20 …”, ma il Comandante
del 3° stormo lo ritiene “non idoneo”. Molto probabilmente i Servizi
Segreti avevano segnalato le sue frequentazioni ad Aidussina con cittadini
sloveni irredentisti. La Regia Aeronautica, come prassi in questi casi,
lo assegna alla “Riserva” e provvede a mantenere valido il suo brevetto
facendosi carico delle spese per l'effettuazione delle ore minime di volo
annuali, presso le sedi periferiche della RUNA ("Reale Unione Nazionale
Aeronautica", nuova denominazione dell'Aero Club d'Italia), Krizaj sceglie
quella di Campoformido per praticare l’allenamento annuale con un AS 1,
un aereo leggero di proprietà del sodalizio. Il 25 giugno 1932,
Krizaj si impossessa di un AS 1 e fugge a Lubiana, in Jugoslavia, dove
viene arrestato perchè sospettato di spionaggio. Dopo varie vicissitudini,
allo scoppio della guerra civile spagnola, il 26 agosto 1936 parte per
la Francia ed a Parigi con l'aiuto del giornale "Avanti" che gli ha rilasciato
una lettera di raccomandazione per l'Ambasciata Spagnola, si arruola come
volontario nelle file dei Repubblicani. Viene assegnato alla Squadriglia
Espana ed effettua l’abilitazione sul Nieuport 52, un caccia adibito alla
scorta dei bombardieri. Partecipa ad azioni su Siguenza, Toledo e Talavera
de la Reina. L'11 settembre 1936, a Talavera, Krizaj ai comandi di un Nieuport
52 in coppia con un Dewoutine, viene intercettato da due CR 32 dell'Aviazione
Legionaria pilotati dal tenente Franceschi e dal sergente Magistrini, quest’ultimo
compagno di Krizaj durante il corso di Capua. Colpito da Magistrini al
radiatore, è costretto ad un atterraggio di fortuna fra Talavera
e Madrid ma ne esce indenne e subito dopo ritorna alla Squadriglia. Il
15 ottobre 1936, in una missione di scorta con un Dewoitine D 371, si scontra
su San Martin de Valdeiglesias con tre CR 32. Colpito nel serbatoio, l'aereo
precipita in fiamme, Krizaj si lancia col paracadute e finisce sulle nostre
linee. Catturato e portato all'ospedale di Talavera viene curato per le
ferite riportate e poi trasferito nel carcere di Salamanca. A Talavera
riceve la visita di Bonomi e Muti. Quest'ultimo che aveva la fama di essere
alquanto brusco, sembra si sia tolto qualche soddisfazione con il Krizaj
che "allevato" dall'Aeronautica Militare Italiana è poi passato
al nemico. Insieme a Franceschi e Magistrini decidiamo di andare a trovare
il vecchio compagno in ospedale a Talavera ma il militare spagnolo di guardia
alla sua stanza ci informa che sta dormendo ed è meglio non disturbarlo.
Lo vediamo dalla porta socchiusa ed effettivamente sembra addormentato
e malconcio. Abbiamo l'impressione che sia stato malmenato e che, forse
imbarazzato dalla visita degli ex colleghi, finga di dormire.
Gino Passeri
Rientrato in Italia ho saputo della morte
delll'amico Gino Passeri, mio compagno di Squadriglia. Si diceva che alcuni
superiori e colleghi avevano insinuato che non dimostrasse abbastanza “grinta”
durante i combattimenti invece si doveva esser trovato in situazioni nelle
quali era molto più saggio non confrontarsi con un nemico in forze
preponderanti. Ciò deve averlo condizionato ed il 7 luglio 1937
in un combattimento sul cielo di Madrid tra l'Asso di Bastoni ed una formazione
nemica di 30 velivoli, affronta da solo tre aerei nemici, ne abbatte uno
e, rimasto gravemente ferito riesce a riportare l'aereo alla base ma dopo
l'atterraggio si accascia sui comandi. Viene trovato dai soccorritori privo
di vita. Per questa azione gli viene conferita la Medaglia d'Oro al Valor
Militare e riposa nel cimitero Grinon, Campicello "Glorieta" insieme agli
altri caduti italiani.
Il ritorno a Gorizia
Vengo assegnato nuovamente al mio 4°
Stormo e, rientrato a Gorizia, mi viene concesso un periodo di riposo.
Il 6 novembre 1937 il Duca d’Aosta convoca presso la Palazzina Ufficiali
tutti i reduci della Spagna del 1° e 4° Stormo e dopo una breve
cerimonia in memoria dei caduti veniamo invitati al Circolo Ufficiali ad
un pranzo al quale partecipano diversi Ufficiali Superiori della Divisione
Aquila. Riprendo a volare il 13 novembre effettuando una missione a doppio
comando di ambientamento con il serg. Renzi sul CR 30 e poi con il CR 32.
Il 6 dicembre ha luogo sull'Aeroporto di Gorizia la cerimonia di commiato
del Duca d'Aosta che il 12 dello stesso mese, dovrà lasciare il
Comando della Divisione Aquila in quanto nominato Vicerè d'Etiopia.
Il 4° Stormo è stato sensibilmente provato dall'Operazione Militare
in Spagna, occorrono nuovi piloti da caccia che devono essere formati ed
addestrati, ne veniamo incaricati noi "anziani". La mia esperienza torna
utile per perfezionare i giovani con poca esperienza di "cacciatori" e
le missioni di doppio comando, acrobazia e volo in formazione, finta caccia,
riprendono a pieno ritmo. I successi dell'Aviazione Italiana in Spagna
accendono gli interessi di alcuni Paesi che inviano a Gorizia alcuni Ufficiali
per valutare le prestazioni del CR 32 ed un possibile acquisto.
L’incidente di Ronchi
In previsione della Manifestazione Aerea
sull'aeroporto di Furbara dell'8 maggio 1938, in occasione della visita
del Cancelliere tedesco, i vertici dell'Aeronautica decidono di includere
un'esibizione acrobatica di una super formazione di 28 CR 32, composta
dalle pattuglie acrobatiche di quattro Stormi, il 1°, 4°, 3°
e 6°. Gli allenamenti cominciano un mese prima e vengo assegnato alla
pattuglia del 4° Stormo. Le pattuglie del 3° e 6° Stormo sono
trasferite per l'occasione nell'aeroporto di Gorizia dove però non
è possibile allenarsi perchè il traffico di velivoli è
già’ notevole. Viene deciso così che le quattro Squadriglie
si alleneranno sul cielo dell’aeroporto di Ronchi dei Legionari, dove il
4°, 3° e 6° Stormo si porteranno in volo da Gorizia e il 1°
Stormo da Campoformido. Il 13 aprile tutte le Squadriglie atterrano a Ronchi
dei Legionari ed il cap. Aldo Remondino tiene il briefing sulle manovre
da eseguire. Per ogni Stormo c'è uno specialista che interviene
per le normali operazioni di assistenza tecnica. Per il 4° Stormo c'è
il serg. Enzo Vosca, che giunge direttamente da Gorizia con Ca 100 pilotato
dal serg. Vittorio Romandini. Quel giorno Romandini doveva essere il gregario
esterno di destra di Remondino ma non si sente molto bene ed è sostituito
da un collega mentre a lui viene assegnato il compito meno impegnativo
di pilotare il Ca 100 con a bordo specialisti e ricambi. Sono previste
due missioni al giorno e tra l'una e l'altra i velivoli debbono essere
controllati e riforniti di liquido refrigerante del radiatore, gli specialisti
scherzosamente dicono che il CR 32 consuma più "acqua" che benzina.
Di carburante non ce n'è bisogno grazie alla capacità dei
serbatoi. La super formazione è comandata da Remondino che ha la
fama di essere un eccezionale Capopattuglia, dopo la guerra diverrà
Capo di Stato Maggiore. Io sono il gregario "esterno" sinistro della pattuglia
di Remondino. Guidare una simile formazione sarebbe un'impresa impegnativa
oggi, figuriamoci per quei tempi con dei velivoli senza radio, con poca
potenza, con l'effetto "coppia dell'elica" che li rendeva instabili e richiedeva
un continuo lavoro di pedaliera ad ogni variazione di potenza e velocità.
Sull'aeroporto di Ronchi è una bella giornata ed iniziamo ad allenarci,
le quattro pattuglie sono disposte a "rombo", la pattuglia del 4° Stormo
di Remondino guida la formazione, alla sua sinistra ed alla sua destra,
leggermente indietro, le pattuglie del 1° e 3° Stormo. Dietro,
a chiudere la formazione a rombo, la pattuglia del 6° Stormo. Tutto
va bene fino all'esecuzione del looping. Remondino, in testa alla formazione,
sorvola il Carso da Est verso Ovest ed inizia una picchiata per prendere
velocità, puntando l'aeroporto di Ronchi, lo sorvola a circa 80
metri ed in fondo al campo comincia a cabrare per ripetere una manovra
già provata in precedenza. Quando la formazione ha superato la posizione
verticale e manca poco alla sommità della manovra, a circa 300 metri,
la pattuglia del 1° Stormo, al comando di Brambilla, si avvicina a
quella di Remondino, Mascellani, gregario esterno destro della pattuglia
di Brambilla, viene "spinto" di conseguenza verso destra ed è oramai
a pochi metri da me che sono il più esterno sulla sinistra di Remondino.
Brambilla se ne rende conto e per correggere ha uno scarto a sinistra e
Bruno di Montegnacco, suo gregario di sinistra, che volava molto "stretto",
ala dentro ala, non riesce ad evitare la collisione. Nè io nè
gli altri piloti ci accorgiamo immediatamente di quello che sta avvenendo
perchè siamo impegnati a mantenere la formazione ed ognuno tiene
la testa girata lateralmente con l'occhio incollato al suo leader. Nel
frattempo siamo già in volo rovescio, a testa in giù, e Remondino,
che ha notato con la coda dell’occhio la collisione, istintivamente si
sposta a destra ed entra in collisione con Renzi che a sua volta investe
il velivolo alla sua destra. Tonello, Montanari ed io ci troviamo in mezzo
al caos ed è un miracolo che non ci investiamo l’un l’altro. Sono
ancora rovescio e con il muso verso il basso. Con tutto motore "dentro"
mi giro e, con il timore di entrare in collisione da un momento all’altro,
cabro violentemente per tirarmi fuori al più presto dalla baraonda
di velivoli impazziti. La formazione si rompe ed i velivoli schizzano in
tutte le direzioni. Brambilla si lancia con il paracadute mentre di Montegnacco
ritarda il lancio per tentare di riprendere il controllo del velivolo ma
quando lo fa è troppo tardi, tocca il suolo con il paracadute non
completamente aperto e muore nell'impatto. Mentre ero ancora a testa in
giù ricordo di aver intravisto dei rottami che volavano ed i due
velivoli già a terra, avvolti dalle fiamme, il tutto si è
svolto in pochi secondi. Gli specialisti che attendono il rientro dei velivoli
dentro una baracca di legno con l'orecchio allenato, sentono subito dalle
"smotorate" che qualcosa di grave sta accadendo e si precipitano fuori:
i due velivoli sono già a terra in fiamme. Brambilla sta per toccare
terra col paracadute mentre di Montegnacco si è già schiantato
a terra. Remondino atterra poco dopo con il velivolo seriamente danneggiato.
Fra i primi a prestare soccorso a terra il pilota collaudatore dei Cantieri
aeronautici di Monfalcone, Mario Stoppani, che porta ancora i segni delle
ustioni a seguito dell'incidente in Atlantico nel quale ha perso la vita,
con il resto dell'equipaggio, il cap. Mario Viola che si trovava a bordo
come passeggero. I velivoli della formazione oramai scomposta rientrano
"sciolti" all'aeroporto di Gorizia e Campoformido dove immediatamente intuiscono
il dramma. Con la perdita di Bruno di Montegnacco il 1° Stormo perde
uno dei più valorosi piloti. In suo ricordo, la famiglia farà
stampare un breve diario delle sue azioni in Spagna del quale conservo
ancora una copia.
L'incidente di Franco Comelli
Il ten. Franco Comelli, della 91^ Squadriglia,
l'8 luglio 1938, arriva in treno all'aeroporto di Foligno, è stato
inviato per ritirare il CR 32 del 4° Stormo che due mesi prima era
stato costretto ad atterrare a causa di una avaria intervenuta durante
il rientro da Roma. Il velivolo, che aveva dei problemi seri al motore,
è finalmente pronto e può essere riportato a Gorizia. Comelli
è amico del Comandante dell’aeroporto e viene invitato da quest’ultimo
a pranzo. Il pomeriggio decolla per rientrare a Gorizia e poco dopo la
fine del campo, forse disturbato dal sole, non scorge un traliccio dell'alta
tensione e lo investe in pieno. Comelli era decorato di medaglia di bronzo
e d'argento meritate durante la Campagna di Spagna, dove aveva conseguito
due abbattimenti. La salma viene trasportata a Gorizia, le esequie vengono
officiate nella chiesa di San Giusto e sepolto nel cimitero vicino all'aeroporto.
Un CR 32 scolpito sulla lapide lo ricorda ai suoi concittadini.
L’incontro con Mathis e Baschirotto al
raduno dei reduci delle O.M.S.
Nel mese di dicembre 1938 i reduci della
Spagna, ai quali sono state conferite onorificenze, sono invitati ad una
solenne cerimonia a Vicenza. Con il denaro della missione spagnola, mi
sono appena acquistato una Topolino della FIAT, un’autovettura che non
è alla portata di molti e con essa, mi reco a Vicenza, in compagnia
di Costigliolo ed un altro collega di cui non ricordo il nome. Il Generale
Pricolo, Ministro della Regia Aeronautica mi appunta personalmente la Medaglia
di Bronzo e poco dopo mi viene consegnata anche la medaglia conferitaci
dal Governo spagnolo, la “Medalla de sufrimientos por la Patria”.
Incontro Mathis, il pilota del Ro 37 che il 2 dicembre 1936, mentre cercava
di localizzarmi aveva avuto un'avaria motore che lo costrinse ad un atterraggio
di fortuna. Porta ancora ben visibili i segni delle gravi ferite subite
in quella azione. Mathis mi saluta e sorridendo esclama: "Guarda come mi
sono ridotto per tentare di salvarti!". C'è anche Baschirotto e
ricordiamo il mio ultimo volo con lui mio gregario, quando mi sono lanciato
e sono stato fatto prigioniero. Non gli nascondo il mio disappunto in merito
alla sua decisione di rientrare subito al campo per informare il Comando
dell'incidente occorsomi. Se fosse rimasto a circuitare sopra di me mitragliando
i pochi soldati repubblicani che erano ancora lontani, forse sarei riuscito
a raggiungere le linee amiche ed avrei evitato otto mesi di dura prigionia
ed il rischio della fucilazione. L'incidente era avvenuto pochi minuti
dal decollo, aveva il serbatoio quasi pieno e almeno due ore di autonomia
che gli avrebbero consentito di "scortarmi" fino al campo, su un terreno
libero da truppe nemiche. Rivedo anche il capitano Maccagno, cammina con
il bastone a causa dell’arto che ha perso quando è stato abbattuto.
Si lamenta di essere stato abbandonato dai suoi gregari, Avvico ed il sottoscritto,
durante il combattimento sul cielo di Madrid. Non ho potuto non ricordargli
che noi continuavamo ad oscillare le ali per richiamare la sua attenzione
e che la prima regola per un pilota da caccia è quella di volare
sempre guardandosi in giro e soprattutto alle spalle. Il 1° aprile
1939 partecipo con gli altri reduci delle O.M.S. ad una solenne cerimonia
a Roma, presieduta dal Capo del Governo. Al termine della cerimonia, Mussolini
ci riceve e dopo un breve discorso ci consegna personalmente un ritratto
autografo in una cornice d’acciaio.
In volo con il ten. Visintini
Il 31 marzo 1939, decollo da Gorizia con
un bimotore da trasporto Caproni CA133 con destinazione Grottaglie, insieme
al ten. Mario Visintini che ha funzioni di capo equipaggio, al serg. motorista
Moro ed al 1° aviere montatore Arino. Le missioni prevedono il trasporto
di truppe in Albania e giunti a Grottaglie ci vengono assegnati alcuni
voli di ambientamento. Il 3 aprile, decolliamo da Grottaglie e dirigiamo
su Gallipoli. Nel porto è ormeggiato il sommergibile Scirè
utilizzato come "avvicinatore" per le azioni dei mezzi d'assalto detti
"maiali", sul quale è imbarcato il fratello di Visintini,
pilota di uno di questi mezzi che perderà la vita a Gibilterra il
7 dicembre 1942. Quando si distingue la sagoma del sommergibile, Visintini
inizia a scendere per effettuare una puntata. Assisto in silenzio ma quando
mi rendo conto che il tenente è troppo basso, prendo i comandi e
"tiro". Il tenente è seccato per il mio intervento ma l'incidente
si chiude li. L'8 aprile effettuiamo il volo da Grottaglie a Tirana, sbarchiamo
i militari e rientriamo a Grottaglie senza incontrare difficoltà.
Il 10 aprile decolliamo nuovamente con destinazione Tirana. Giunti in prossimità
della costa albanese le nubi sono molto basse e coprono le montagne. In
una situazione del genere l’unica scelta è di invertire rotta e
rientrare. Visintini invece ci dice che intende proseguire ed entra nelle
nubi. Il motorista che è seduto dietro comincia ad agitarsi e strattonarmi
sulla spalla per farmi capire di convincere Visintini a desistere. Provo
ad obiettare ma alla fine, visto inutile ogni tentativo, mi rivolgo a Visintini
dicendo "Ho io i comandi, si torna indietro!". La reazione di Visintini
questa volta è abbastanza violenta e minaccia di deferire alla Corte
Marziale me ed il resto dell'equipaggio per ammutinamento ma comunque mi
lascia fare. Abbiamo a bordo sufficiente carburante e decidiamo di dirigere
su Gorizia, costeggiando l'Albania e la Jugoslavia, e soprattutto mantenendoci
sempre sotto le nubi. Giunti in prossimità di Parenzo, paese natale
di Visintini, il tenente riprende i comandi e si abbassa per effettuare
delle "puntate" sulla sua casa e ripete le stesse imprudenze commesse a
Gallipoli. Intervengo nuovamente e lui si irrita per la mia interferenza.
Atterrati a Gorizia, mi metto subito a rapporto dal Comandante di Squadriglia,
il cap. D’Agostinis, che chiama Visintini, gli fa una lavata di capo e
conclude con " … guai a te se provi un'altra volta ad entrare nelle nubi!".
Scoppiata la Guerra, Visintini viene inviato in Africa Orientale dove si
fa onore abbattendo 16 velivoli nemici che gli fanno guadagnare la Medaglia
d'Oro al Valor Militare. Nel 1941, nel tentativo di rintracciare il suo
grande amico, il serg. Gino Baron, finisce contro una montagna. Il fratello,
tenente di vascello Licio Visintini, incursore dei mezzi d’assalto subacquei
della X^ flottiglia MAS, caduto a Gibilterra, verrà insignito pure
lui di Medaglia d'Oro al Valor Militare.
Il Mc 200 ed il CR 42
Il 19 agosto1939 vengo inviato a Lonate
Pozzolo, a Sud dell'attuale aeroporto di Malpensa, insieme a D'Agostinis,
Romandini e Corsi, per la consegna dei primi Mc 200, assegnati al nostro
Stormo in sostituzione dei CR 32, divenuti obsoleti. Ci hanno preceduto
i nostri specialisti che hanno bisogno di tempi più lunghi per conoscere
questo velivolo destinato ad ammodernare la linea di volo e fra questi
specialisti incontro l'amico Vosca. Dopo un breve corso sugli impianti
e sulle caratteristiche, assistiamo alla presentazione in volo da parte
del famoso collaudatore Carestiato. Il Mc 200 è il primo aereo con
carrello retrattile e flaps, è in versione monoposto e pertanto
dopo le debite istruzioni, si decolla da soli. Osservando le manovre effettuate
con disinvoltura dall’abile collaudatore, il velivolo sembra avere delle
prestazioni eccezionali ma quando andiamo in volo, ci rendiamo subito conto
che non è proprio così e ci sono alcune difficoltà
di pilotaggio. Bisogna prestare attenzione all’atterraggio, se si cerca
di toccare terra "sui tre punti", l'aereo tende a sprofondare violentemente
e se si è troppo bruschi sui comandi alle basse velocità
si rischia di stallare, entrando nella così detta "autorotazione".
Romandini è il primo a farne le spese con questi problemi: abituato
al CR 32 che vicino a terra deve mantenere il “muso alto” perchè
non ha i flaps, quando arriva a qualche metro di altezza, “richiama” ed
alza il "muso" e l’aereo abbassa l’ala toccando il suolo, danneggiandosi.
Anche Corsi incontra qualche difficoltà, è troppo brusco
sui comandi e non riesce a completare i primi looping, il suo velivolo
entra in "autorotazione" quando è sottoposto ad accelerazioni più
alte. Il problema del Mc 200 è causato dal profilo delle estremità
alari che “stallano” alle basse velocità o sotto forti accelerazioni,
con conseguente perdita di controllo laterale degli alettoni. D’Agostinis
chiama al telefono il Comandante del 4° Stormo a Gorizia e spiega
gli inconvenienti riscontrati. Alcuni giorni dopo viene deciso dallo Stato
Maggiore che il nostro Stormo adotterà il CR 42 al posto dei Mc
200. L'8 settembre decolliamo da Lonate Pozzolo per Treviso dove consegnamo
i Mc 200, con ancora le nostre insegne, al 54° Stormo. La Macchi interverrà
successivamente modificando il profilo alare sia dei velivoli già’
prodotti che su quelli che usciranno dalle officine. A noi rimane come
ricordo di questa avventura uno stupendo modellino in acciaio del Mc 200
consegnatoci come omaggio dalla Macchi. Dopo l’infelice esordio del Mc
200, il 16 settembre, effettuo il passaggio sul CR 42. Dopo il mio rientro
dalla Spagna, ho conosciuto a Fogliano quella che sarà mia moglie,
Beatrice Pian, figlia del proprietario della sala da ballo e del cinema
nella piazza del paese, che noi piloti siamo soliti frequentare. Nel dicembre
1939 ci sposiamo nella chiesa del Sacro Cuore, alla cerimonia partecipano
colleghi di Squadriglia e di Stormo, il serg. Zuliani è il mio testimone
di nozze. Contemporaneamente la famiglia di mia moglie si trasferisce a
Gorizia, nel borgo Stracis dove mio suocero prende in gestione il “Dopolavoro”,
una sorta di bar sociale per gli operai della vicino cotonificio.
La guerra e la partenza per l’Africa
Settentrionale
La guerra inizierà il 10 giugno
1940, ma già’ il 5 giugno arriva l'ordine di partenza per l'Africa
Settentrionale, partirà per primo il X Gruppo, destinazione il campo
T2 di Tobruk. Comanda il X Gruppo il ten.col. Piragino mentre il cap. Monti
guiderà la 84^ Squadriglia, Maggini la 90^ e D’Agostinis la 91^.
Davanti all’hangar della 90^ e 91^ Sq. riceviamo il saluto del col. Grandinetti
e dai colleghi del IX Gruppo. Il volo di trasferimento presenta non poche
difficoltà, la distanza è ragguardevole, la situazione meteorologica
è sfavorevole, un lungo tratto della rotta è sul mare. Vengono
scelti i piloti più anziani ed esperti e così il pomeriggio
del 7 giugno, insieme al s.ten. Luigi Giannella decollo con un Ca133 da
Gorizia e dopo 3 ore e 25 minuti arriviamo a Foggia. Il giorno successivo
riprendiamo il viaggio: Foggia, Grottaglie, Catania, le condizioni meteo
non ci sono molto favorevoli. Il 9 giugno dobbiamo affrontare la traversata,
il tempo è pessimo, facciamo scalo a Comiso e nel primo pomeriggio
ripartiamo, in 3 ore di volo giungiamo a Tripoli Castel Benito. L'11 giugno
ripartiamo, Castel Benito, Nadi Tamet, Bengasi ed infine, il 12 giugno,
Bengasi, Tobruk - T2. La sistemazione è precaria, siamo sistemati
nelle tende, non ci sono ricoveri per i velivoli e bisogna improvvisare
tutto. Le missioni dei nostri CR 42 consistono principalmente nella ricerca
ed attacco alle autoblinde inglesi. I primi giorni la caccia avversaria
è poco agguerrita e gli incontri con gli aerei non sono frequenti.
L'8 agosto in uno scontro tra 16 CR 42 e 27 Gladiator perdiamo 7 dei nostri
e tra questi l'amico Renzi del quale non si troverà più il
corpo. Il 19 giugno, in un'altro combattimento scompare colui che era il
mito del 4° Stormo: Ugo Corsi. Il suo velivolo finisce in mare ed anche
di
lui si perderà ogni traccia. Il 28 giugno sono sul campo Tobruk-T2
ed assisto all'attacco aereo dei quindici bombardieri inglesi Blenheim
ed al successivo abbattimento del SM 79 di Balbo. Quest'ultimo si presenta,
insieme ad un altro SM 79 con a bordo il gen. Porro, subito dopo l'attacco
inglese, provenendo dalla stessa direzione degli attaccanti e senza aver
effettuato il prescritto giro di riconoscimento. Le difese a terra si aspettavano
un secondo passaggio dei bombardieri inglesi e, quando un inserviente alla
contraerea apre incautamente il fuoco, si scatena l'inferno e l'aereo di
Balbo diventa una palla di fuoco ed in pochi secondi precipita. L'aereo
di Porro che era più indietro ed alto, si abbassa e riesce ad evitare
di essere colpito. Da quando siamo giunti a Tobruk, l’alimentazione, la
situazione igienica ed il caldo torrido contribuiscono a debilitare il
fisico. Il 29 luglio, mentre sono in volo, perdo i sensi e mi stacco dalla
formazione perdendo quota. Il resto della formazione mi segue pensando
che abbia individuato un bersaglio. Vicino a terra riprendo i sensi e rientro
alla base. Mi viene riscontrato un forte deperimento organico e messo a
terra. Il 18 agosto rientro a Gorizia per essere curato.
A Gorizia alla Scuola Caccia Avanzata
del 4° Stormo
Dopo un breve ricovero all’ospedale militare
di Gorizia, mi presento a D’Agostinis e chiedo di ritornare con il mio
reparto in Africa. Mi risponde “… servono istruttori per i nuovi piloti,
tu hai già’ dato il tuo contributo in Spagna, sei più utile
qui a Gorizia”. Vengo così trattenuto ed incaricato dell'addestramento
dei nuovi piloti sul CR 32 alla Scuola Addestramento Caccia Terrestre,
al 2° Reparto. Qui ritrovo il vecchio amico Mario Bandini che, ferito
in un combattimento, è da poco rientrato dall'Africa Settentrionale.
Il 16 giugno 1940, su El Adem, Bandini aveva incontrato sei Blenheim mentre
stanno rientrando da un bombardamento sul campo T.3 di Tobruk. Li insegue
e si porta in coda ad uno di essi, lo mitraglia finchè non lo vede
abbattersi al suolo ma viene a sua volta ferito seriamente al braccio sinistro
da un caccia nemico. Nonostante il sangue perso e la ferita che gli impedisce
l’uso del braccio, Bandini rientra a Tobruk. Per questa azione gli viene
conferita la medaglia d'argento al V.M. La Scuola Caccia è comandata
dal t.col. Ernesto Botto, coadiuvato dal Comandante in seconda, il magg.
Enrico Stasi. Il direttore dei corsi è il cap. Luigi Monti mentre
il cap. Vittorio Pezzè comanda il Reparto Volo. Conosco il friulano
Pezzè fin dal 1933 quando arriva al 4° Stormo, assegnato
alla 96^ Squadriglia. Ben presto si distingue per le sue eccezionali doti
di pilotaggio ed insieme partecipiamo con la Pattuglia Acrobatica alla
manifestazione aerea del 1936 a Budapest. Ha la fama di gran manico e di
ottimo istruttore, coltiva una segreta passione per il violino, contagiato
dal fratello Piero (1913-1980), noto compositore udinese. Lamberto Del
Moro, uno degli ultimi suoi allievi della Scuola Caccia di Gorizia nel
1942, lo ricorda come un uomo tranquillo e riservato che aveva un talento
istintivo per il volo, di lui si dice che " ... in volo aveva la serenità
e la calma dei grandi piloti ...". Come me, pure Pezzè è
legato a Gorizia per aver sposato la goriziana Tudor ma la sua carriera
presto lo allontanerà dalla sua terra. Alla Scuola Addestramento
Caccia c’e un anche il maresciallo, Albino Cagliari, un anziano e pluridecorato
pilota che si è fatto onore in Cirenaica. Arrivato nel 1934 al 21°
Stormo da Ricognizione, nel 1936 transita al 4° e viene assegnato alla
97^ Squadriglia. Per la sua grinta dimostrata in Cirenaica, si è
meritato il sopranome di "Il diavolo del deserto". Vista la sua esperienza,
viene chiamato da Pezzè al Nucleo di Addestramento dello Stormo.
Il Reparto Aerosiluranti
Il 25 luglio 1940, viene costituito a
Gorizia il “Reparto Sperimentale Aerosiluranti”, poi modificato in “Reparto
Speciale Aerosilurante”. I piloti e gli specialisti sono scelti tra i migliori
degli Stormi di Bombardamento, il comando viene assegnato inizialmente
al cap. Amedeo Moioli, sostituito in agosto dal magg. Vincenzo Dequal.
Giungono al Reparto il magg. Enrico Fusco, i ten. Franco Melley, Carlo
Emanuele Buscaglia, Carlo Copello, i s.ten. Guido Robone, Aldo Forzinetti,
il ten. Vascello Giovanni Marzio e il s.ten. Vascello Giovanni Bertoli.
Al Reparto vengono assegnati sei SM 79 predisposti al lancio di siluri.
L'addestramento viene effettuato nel mare fuori il porto di Fiume, con
rientro a Gorizia. Cinque dei sei SM 79, vengono trasferiti in Nord Africa
dove effettueranno il 5 Agosto 1940 la prima azione di aerosiluramento
nel porto di Alessandria d’Egitto. Un allievo della Scuola Caccia, il serg.
Clemente Bonfanti di 24 anni, muore in un incidente di volo l'11 dicembre
1940. Durante le esercitazioni di acrobazia entra in vite e non riesce
ad uscirne, si lancia col paracadute ma viene investito dai piani di coda
del velivolo e cade nei pressi del cimitero. Ancora oggi, a circa 100 metri
dalla strada statale, a sud del cimitero, si può vedere nei campi,
una lapide in pietra corrosa dal tempo e sulla quale è possibile
leggere il suo nome.
Preparando i piloti per il fronte
Un giorno mi vengono affidati due allievi
di Bandini e la missione prevede, oltre a varie manovre, anche l’esercitazione
in “fila indiana”. Mi accerto che conoscano la manovra ed andiamo in volo
con tre CR 32. Guido la pattuglia tenendoli d'occhio, imposto un looping
e, mentre sono alla sommità della manovra, l'allievo che è
in coda commette un errore: invece di mantenere il velivolo che gli sta
avanti sopra il suo muso e pertanto in vista, stringe troppo e non è
più in grado di vederlo. Qualche frazione di secondo dopo viene
a trovarsi sopra di lui e lo investe. La collisione è violenta ed
i velivoli si disintegrano. Il pilota investito rimane incastrato tra i
rottami e precipita con l'aereo. L'investitore si salva lanciandosi con
il paracadute. Alla Scuola l'attività di volo è intensa,
si macinano ore su ore di volo e conseguentemente si acquista grande confidenza
con il velivolo. La versione da addestramento biposto del CR 32, il CR30,
si presta bene per il volo a "coltello", la manovra alla quale sono affezionato
e che meglio mi riesce. Un giorno, con un allievo in addestramento nel
posto anteriore, prendo i comandi, acquisto velocità con la solita
affondata e passo a tutta velocità davanti agli hangar del 4°
Stormo in configurazione a "coltello". Dopo 200-250 metri, quando la velocità
comincia a decrescere, l'aereo tende a sprofondare verso terra e spingo
sulla pedaliera per raddrizzarlo. Un attimo di terrore mi gela il sangue:
la pedaliera è bloccata! Era già successo in altre occasioni
ma a quota di sicurezza, il tacco della scarpa dell'allievo si era incastrato
tra la pedaliera ed una lamiera sporgente del pavimento. Raddrizzare con
l'alettone è molto pericoloso, potrei finire a terra dalla parte
del timone bloccato. Per fortuna non perdo la calma in questi frangenti,
con uno sforzo enorme, spingo ancora di più la pedaliera dalla parte
che è incastrata e riesco a sbloccare il tacco dell'allievo. Anche
questa volta è andata bene! Pure l'abilissimo Pezzè ogni
tanto fa qualche passaggio a bassa quota volando a "coltello" ma non riesce
a percorrere la mia distanza ma conclude con una manovra di grande effetto,
passando in mezzo a due hangar in virata, con la punta dell'ala più
bassa dei tetti. Un incidente funesta l'attività di volo il 5 marzo
1941, uno Stuka proveniente da Graz, con destinazione Rimini, che deve
essere consegnato alla 208^ Squadriglia del 101° Gruppo, atterra a
Gorizia per fare rifornimento di carburante. Il pilota dello Stuka, il
serg. Manlio Dell'Angelo, quando riparte effettua un passaggio a bassa
quota sull'aeroporto e davanti agli hangar che erano del 21° Stormo
ed ora ospitano il IX Gruppo e la "Scuola Caccia" effettua un tonneau.
La macchina non adatta a queste manovre a bassa quota e la poca esperienza
del pilota si concludono in una tragedia. Lo Stuka mentre è rovescio
"sprofonda" e finisce sulla linea dei Mc 200 ed uccide lo specialista Guido
Buffa intento a lavorare su un velivolo. Un'altra morte inutile!
L'8 settembre
Il pomeriggio dell’8 settembre la radio
trasmette la notizia dell'armistizio, molti interpretano nel modo sbagliato
l’enigmatico annuncio ed esultano ma presto rimarranno delusi. A Gorizia,
come del resto ovunque, gli ordini arrivano confusi o meglio, non arrivano
affatto. Il giorno dopo transitano i primi militari italiani sbandati provenienti
dai territori jugoslavi occupati e che tornano a “casa” credendo che la
guerra sia finita ed il peggio passato. Con le poche forze ancora disponibili,
alcuni Comandi tentano di organizzare una difesa contro le formazioni partigiane
che si stanno avvicinando per occupare posizioni strategiche alla periferia
di Gorizia. Sono diversi gli Ufficiali che non danno un grande esempio
ai subalterni e si dileguano. A presidiare l’aeroporto rimagono solo i
Carabinieri del locale presidio e due giovani sottotenenti. Il Comandante
del IX Gruppo e della Scuola Caccia è il t.col. Ernesto Botto, soprannominato
"Gamba di ferro" per la gamba “persa” in Spagna, che Bandini ed io conosciamo
bene. Abbiamo molta fiducia in lui e gli chiediamo consiglio sul da farsi.
Il Colonnello è ottimista e ci tranquillizza: "Conosco bene il generale
Kesserling, vi farò avere un permesso e ve ne tornerete a casa".
Qualche giorno dopo la situazione è ancora confusa, lo incontriamo
in corso Italia mentre scende dalla macchina e si avvia verso il Caffè
Garibaldi. Lo fermiamo per avere notizie ma lui infastidito ci liquida
con parole brusche: "Ragazzi non ho tempo. Ho un appuntamento con una signora".
Rimaniamo molto male, una tale risposta da un personaggio come lui proprio
non ce l'aspettavamo. Poco dopo Botto, con una trasmissione alla radio,
lancerà un appello alla Nazione, in particolare ai piloti, per organizzare
una difesa dai bombardamenti anglo-americani che stanno creando molte vittime
tra i civili e danni sempre maggiori alle industrie ed alle città.
I tedeschi nel frattempo affiggono sui muri di Gorizia dei manifesti che
sollecitano i militari italiani a presentarsi presso i loro Comandi, minacciando
di gravi ritorsioni chi non dovesse ottemperare all'ordine. Bandini ed
io, seppure con qualche titubanza, decidiamo di presentarci e dopo gli
accertamenti del caso, i tedeschi decidono di inviarci all'aeroporto di
Aviano e qui ci viene fatta la richiesta di combattere al loro fianco.
Rispondiamo che intendiamo attendere che si formi il Governo Repubblicano
per poi aderire alla nuova Aeronautica.
Il Gruppo "Trasporto Velivoli"
Ci viene proposto di operare nel frattempo
con il “Gruppo Trasporto Velivoli”, costituitosi il 15 settembre al comando
del cap. De Camillis e veniamo inviati nuovamente a Gorizia dove è
stato allestito il centro di raccolta e trasferimento in Carinzia, dei
velivoli civili e militari da riutilizzare o demolire. I velivoli sono
i più svariati, si va dai Nardi FN 305 agli Avia FL3, Ca 100, CR
32, CR 42, Mc 200 e Mc 202. Veniamo alloggiati nella palazzina Ufficiali,
oggi sede di un distaccamento della Guardia di Finanza. Con me ci sono
Montanari, Bandini, Romandini, Zorn, Gusso. In novembre ci affiancano alcuni
piloti del corso Vulcano, giunti da poco dall'Accademia che sono in attesa
della costituzione del 1° Gruppo Caccia. Tra loro due friulani, il
s.ten. Ettore Erasmo di Valvasone ed il s.ten. Giovanni Pittini, quest’ultimo
poi passerà al 1° Gruppo Caccia di Campoformido. Qualche mese
più tardi perde la vita in un banale incidente il mio caro amico
Vittorio Romandini, un pilota che aveva superato prove ben più difficili.
È stato tra i primi piloti giunti a Gorizia, ha fatto parte della
Pattuglia Acrobatica partecipando alle manifestazioni di Budapest nel 1936
e 1937 e di Belgrado nel 1938. Romandini e Montanari partono in coppia
da Rimini il 13 novembre 1943 per trasferire due velivoli a Gorizia, ma
nei pressi di Chioggia incontrano bassi strati di nebbia che riducono la
visibilità a poche centinaia di metri. Montanari inverte la rotta
e torna indietro mentre Romandini che è a bordo di un FN 305 prosegue
da solo. Probabilmente disorientato dalla ridotta visibilità o forse
a causa di un’avaria o di ghiaccio al carburatore, è costretto ad
un atterraggio di fortuna nelle campagne di Pellestrina. Il terreno è
libero da ostacoli e pianeggiante ma non può vedere il fosso che
attraversa il campo e nell'impatto rimane gravemente ferito. In condizioni
disperate, con fratture al volto ed emorragie interne, viene estratto dai
rottami e soccorso da due tedeschi che passano da quelle parti che lo trascinano
morente per cinquecento o seicento metri attraverso i campi, fino alla
più vicina strada dove con un automezzo viene trasportato all'ospedale
di Chioggia ma poco dopo muore. Viene sepolto a Chioggia e solamente nel
1997, alla morte della moglie Ludovica Musina, i suoi resti verranno traslati
nel cimitero di San Lorenzo, per riposare insieme nella tomba di famiglia.
Poco dopo la scomparsa di Romandini, la vedova con la figlioletta Liliana
di due anni, lascia l'appartamento di Gorizia di corso Italia n.79, oggi
n.205, dove viveva con il marito e torna nella casa dei genitori a San
Lorenzo. Dalla casa di via Brigata Casale, nella quale ero andato ad abitare
appena sposato, mi trasferisco con mia moglie e mio figlio di un anno,
nell'appartamento lasciato dalla vedova Romandini. È al terzo piano
di un elegante palazzo costruito nel periodo in cui Gorizia faceva parte
dell’Impero Austroungarico. L’edificio è di proprietà dei
Viatori, una famiglia benestante di origini slovena che gestisce l'omonima
panetteria di via Duca d'Aosta. Sotto di noi abita la famiglia Crali ed
il loro figlio, Tullio Crali, è uno stimato pittore futurista. Lo
conoscevo da prima, l’avevo visto un paio di volte al Dopolavoro dei miei
suoceri ed anche in aeroporto, in compagnia di Botto, del quale era amico.
Crali da giovane sognava di diventare un pilota e, abitando vicino all’aeroporto
di Gorizia, la sua passione si era riaccesa. Frequenta l'ambiente dei piloti
e la sua amicizia con il t.col. Botto gli consente di effettuare alcuni
voli, come passeggero, sul CR 30 della Scuola Addestramento Caccia. Questi
voli lo ispireranno nei suoi quadri, con dettagli che solamente chi ha
volato avrebbe potuto dipingere. Purtroppo nel dopoguerra le sue frequentazioni
con il t.col. Botto lo etichetteranno ed il suo talento verrà riconosciuto
solamente dopo la sua morte. Il t.col. Botto sarà per un breve periodo
Segretario dell'A.N.R., in pratica Capo di Stato Maggiore e, in disaccordo
con i gerarchi fascisti e con il Comando della Luftwaffe in Italia, abbandona
il campo. Dopo la guerra si ritira a vita privata e trova lavoro alla alla
Guzzi, muore a Torino nel novembre1984.
Lo spezzonamento alleato
Il mattino del 18 marzo 1944 lascio l'aeroporto
in bicicletta ed intorno alle 11.00 sono in corso Vittorio Emanuele III,
oggi corso Italia, all'altezza del caffè Garibaldi, quando sento
il rombo di una formazione aerea in avvicinamento da Sud. Intravedo alcune
dozzine di bombardieri B25 che volano ad una quota di circa duemila metri.
Le case me li nascondono parzialmente alla vista ma noto che stanno virando
verso Est. Poco dopo in città si sparge la voce che hanno bombardato
l'aeroporto e che ci sono molte vittime. Il primo pomeriggio torno nuovamente
in aeroporto, i danni alle infrastrutture sono evidenti ma limitati, i
bombardieri hanno sganciato “spezzoni” colpendo alcuni caccia che erano
appena atterrati per rifornirsi dopo aver affrontato altre formazioni di
bombardieri alleati. Sono danneggiati seriamente tutti gli SM 79 del Gruppo
Aerosiluranti "Buscaglia" mentre altri aerei si sono salvati poichè
prudentemente decentrati o in volo. Non ho la sensazione che ci siano state
tante vittime all’interno dell’aeroporto, risultano deceduti il s.ten.
pilota Folicaldi ed alcuni specialisti mentre sono rimasti feriti quattro
piloti e diversi specialisti. Molto pesante è invece il bilancio
di perdite umane tra i civili, circa un centinaio di morti e tre volte
tanto di feriti. Hanno perso la vita molti addetti della TODT e una trentina
di contadini di Merna e dei paesi limitrofi, sorpresi mentre erano impegnati
nei lavori dei campi. Sono stati sganciati un gran numero di spezzoni da
10 kg che non sono molto potenti ma micidiali quando ci si trova all'aperto
ad una decina di metri dall'impatto. Dai documenti ufficiali inglesi risulta
che quel giorno una formazione di 280 bombardieri, partita da basi sulle
coste adriatiche si è portata sull'Austria e poi, con un'azione
diversiva, si è divisa in tre gruppi diretti su Lavariano, Maniago
e Merna, rispettivamente di 67, 121 e 72 velivoli. Tuttavia la mia impressione,
coincidente con quella di altri miei colleghi, è che il numero di
velivoli che hanno effettuato il bombardamento su Gorizia, sia stato inferiore.
Alcuni giorni più tardi circola la voce che il bombardamento sia
una rappresaglia all’azione di dieci SM 79 del Gruppo Buscaglia, decollati
da Merna per attaccare il naviglio alleato impegnato nello sbarco di Nettuno
e Anzio. In agosto giunge in aeroporto una telefonata che comunica che
il 9 agosto 1944 è deceduto l'amico Zorn. Una ventina di giorni
prima il m.llo Zorn, il m.llo Montanari, il s.ten. Zucconi ed il s.ten.
di Valvasone con dei Saiman 202 sono partiti da Gorizia per Innsbruck.
A causa delle condizioni meteo proibitive si trovano bloccati per tre settimane
a Bolzano. Il 9 agosto ripartono e poco dopo vengono intercettati da una
pattuglia di P51 Mustang. I Saiman che volano molto bassi tentano di disimpegnarsi
infilandosi nelle vallate. Zorn viene colpito e tenta un atterraggio di
fortuna ma viene finito con una raffica mentre sta per toccare il suolo.
Troppo vecchi per i combattimenti
aerei
Il 12 agosto 1944 avviene lo scioglimento
del Gruppo Trasporto Velivoli e, sempre con Bandini, mi reco a Padova per
ricevere istruzioni. Da Padova veniamo trasferiti a Desio ed assegnati
al III Gruppo Caccia della ANR (Aviazione Nazionale Repubblicana), comandato
dal col. Fernando Malvezzi, detto "Pel di carota" per il colore rossiccio
dei capelli. Veniamo accolti da Malvezzi che ci dice, senza tanti complimenti,
che a 33 anni … siamo "troppo vecchi". I combattimenti impari contro le
Fortezze Volanti americane che dispongono di una potenza di fuoco formidabile,
possono essere affrontati solo da chi ha l'incoscenza dei giovani! Rimaniamo
pertanto in forza al III Gruppo Caccia ma non partecipiamo ad alcuna azione
bellica, anche perchè questo Gruppo non diverrà mai operativo.
Dopo alcuni giorni trascorsi a Desio, chiediamo un permesso per rientrare
a Gorizia. Terminato il permesso la situazione nel Nord Italia è
talmente caotica che il rientro diventa un'Odissea e pertanto ci presentiamo
a Desio con 5 giorni di ritardo. Al Comando veniamo redarguiti da un colonnello
che non accetta spiegazioni e minaccia di deferirci alla Corte Marziale
per diserzione. Veniamo così inviati al Ministero dell'Aeronautica
a Milano e qui troviamo una vecchia conoscenza della Spagna, il col. Giuseppe
Baylon che ci tranquillizza e ci trasferisce a Lonate Pozzolo, alla Compagnia
Guardie. Con me, oltre a Bandini c'è anche Costigliolo, abbiamo
il compito di perlustrare il territorio intorno all'aeroporto per prevenire
attacchi dai partigiani. La Compagnia è comandata dal cap. Ugo Pierotti
e dal ten. Eros Sacchi, siamo in tutto sette Ufficiali e tredici Sottufficiali.
Il servizio è noioso e soprattutto non è il lavoro che avevamo
scelto e pertanto non abbiamo scontri con i partigiani che ci guardiamo
bene dall’andare a cercare. Nel marzo dell’anno seguente possiamo osservare
da vicino i nuovi aerei tedeschi a reazione, Arado 234. Passano alcuni
mesi ed otteniamo un nuovo permesso per rientrare a Gorizia. I trasferimenti
si effettuano chiedendo passaggi a qualsiasi mezzo circolante ed è
così che giunti vicino a Gorizia, tra Mossa e Lucinico, il camion
sul quale viaggiavamo esce di strada e Bandini si frattura alcune ossa.
Viene ricoverato presso il seminario di Gorizia, adibito ad ospedale militare
ed oggi sede dell'Università. Scaduta la licenza, durante il viaggio
di ritorno, nelle vicinanze di Verona, vengo a sapere che gli americani
sono già a Milano e così decido di rientrare nuovamente a
Gorizia.
Gli ultimi giorni di guerra
A Gorizia circola la voce che i partigiani
di Tito si apprestano ad entrare in città e molti cittadini, soprattutto
quelli che avevano incarichi nell’amministrazione statale e nelle Forze
Armate, si rifugiano nei paesi oltre l’Isonzo. I primi giorni del dopoguerra
sono momenti tragici per Gorizia, i partigiani e i soldati di Tito occupano
la città ed iniziano le rappresaglie nei confronti di quelli che
ritengono coinvolti con il Governo fascista ma anche nei confronti di persone
che nulla avevano avevano a che fare con il regime. Nei quaranta giorni
di occupazione delle truppe di Tito, vengono deportati circa 600 cittadini
e di loro si perderà ogni traccia. Come altri goriziani, abbandono
in fretta la città e mi rifugio nella casa dei suoceri a Sagrado,
dove posso contare sull'aiuto dei cugini di mia moglie che sono in buoni
rapporti con i partigiani. I primi giorni di maggio del 1945 a Sagrado,
nei pressi dell'attuale campo sportivo, si accampa il 10° Reggimento
"Royal Ussars" della "First Armoured Division". Molti degli Ufficiali del
Reggimento, circa una trentina, provengono dall'aristocrazia inglese, sono
sbarcati nel sud d'Italia nel 1944, l'hanno risalita scontrandosi anche
in battaglie cruente contro i tedeschi e nel maggio 1945 sono giunti a
Sagrado. Il Comando inglese requisisce due stanze della casa dei miei suoceri
per alloggiarvi alcuni giovani Ufficiali. Poco prima le stesse stanze erano
occupate da Ufficiali tedeschi che avevano anche loro l’esigenza di trovare
un alloggio tra quattro pareti. Il preannunciato arrivo degli Alleati,
la cui avanzata oramai era inarrestabile, aveva spinto il Reparto tedesco
ad abbandonare il paese per dirigere verso l’Austria e poi la Germania.
Mia cognata, Luce Pian, una bella e simpatica ragazza di 22 anni, non passa
inosservata ed è subito al centro dell’attenzione degli Ufficiali
inglesi che instaurano un rapporto di amicizia con tutta la famiglia. La
guerra è finita da pochi giorni e ci sono ancora dei momenti difficili
da superare ma gli animi sono più sereni. Faccio conoscenza con
gli inglesi che frequentano la casa, sono molto giovani e gioviali, ricordo
ancora i loro nomi, Daniel Awdry, Peter Walker, Michael Penetta, Nicola
Clarelli e Campbell Stirrum. Non parlo l’inglese e loro sanno poche parole
di italiano ma riusciamo a comunicare con l’aiuto di un loro collega di
origini italiane, il s.ten. Michael Penetta. In paese le notizie giungono
con difficoltà e ritardo, da loro vengo a conoscenza degli eventi
degli ultimi giorni di guerra e dello sterminio degli ebrei perpretato
dai tedeschi nei campi di concentramento, di cui tutti noi eravamo all’oscuro.
Il Reggimento si dovrà trasferire i primi giorni di settembre a
Villa Opicina e nel mese di agosto mia cognata organizza una piccola cerimonia
d’addio sul terrazzo di casa, alla quale partecipano tutti gli Ufficiali.
Vengo presentato al colonnello Comandante del Reggimento, mi qualifico
e con l’aiuto del s.ten. Penetta, gli spiego la mia posizione. Sono un
militare che ha appartenuto ad una Forza Armata nemica e potrei anche essere
arrestato, invece mi dice di non preoccuparmi, la guerra è finita
e tutto si sistemerà. I momenti seguenti alla fine della guerra
non sono esenti da rischi e la presenza degli inglesi nella casa dei suoceri
a Sagrado mi mette al riparo da situazioni spiacevoli. Due degli Ufficiali
inglesi sopravvissuti, i tenenti Daniel Awdry e Peter Walker, tornati in
Italia nel 1998 per rivisitare i luoghi ove avevano combattuto, verranno
anche a Sagrado e, ritrovata la casa che li aveva ospitati nel 1945, ci
consegneranno alcune foto scattate allora e conservate con cura per oltre
mezzo secolo.
Il dopo-guerra
Solamente dopo oltre un mese, gli alleati
che si erano fermati sulla riva destra dell’Isonzo, entrano a Gorizia e
prendono il controllo della città. Posso rientrare per controllare
lo stato del mio appartamento, abbandonato frettolosamente alcuni mesi
prima. La tensione con la vicina Jugoslavia tuttavia non cessa, Tito ha
delle mire su Gorizia e vorrebbe annettere il Friuli Venezia Giulia fino
al Tagliamento e si teme l'arrivo del suo esercito. Il col. Luigi Corsini,
istriano di Pisino d’Istria, nome originale è Kurschen, è
un pilota pluridecorato con tre medaglie d’argento, si è distinto
su diversi fronti ed ha operato con diversi Reparti, dal 21° Stormo
Ricognizione Aerea di Gorizia al 1° Stormo Caccia di Campoformido.
Corsini non ha aderito alla Repubblica di Salò, è membro
del CNL e gli viene assegnato il comando della “Divisione Gorizia” per
organizzare una resistenza armata che si opponga ad una eventuale occupazione
della città da parte dei “titini”: prende discretamente contatto
con i militari in città e fornisce istruzioni ed armi. Intanto per
poter campare, insieme a Bandini ci rechiamo più volte a Milano
dove acquistiamo sigarette di contrabbando per rivenderle a Gorizia ma
poco dopo subiamo una perquisizione da parte della Polizia Militare degli
Alleati che cercano le sigarette ma, sopra un armadio, trovano il mitra
che mi era stato fornito da Corsini. Passo dei momenti difficili ma poi
viene tutto chiarito e vengo rilasciato. Mi dedico per un periodo anche
al “traffico” con le AM Lire, mi reco a Milano dove ci sono alcuni ebrei
che le acquistano. Un giorno consegno ad uno di loro una grossa somma,
lui si allontana e mi dice di attendere. Passa parecchio tempo e comincio
a preoccuparmi di aver perso tutto ed invece ritorna scusandosi per il
ritardo e con la somma pattuita. Nonostante dovessi sempre trattare sul
cambio, sono sempre stati corretti.
Si ritorna a volare
Dal Ministero dell’Aeronautica mi viene
comunicato che sono messo in "licenza speciale in attesa di reimpiego"
e "sfollato" nel 1949. Gli anni del dopoguerra sono duri per tutti e quello
che passa l'Aeronautica non basta. Per "tirare avanti" ci si deve ingegnare
e così mi dedico al commercio del vino all'ingrosso insieme al m.llo
Vittorio Rossi, uno specialista del 4° Stormo. Verso la fine degli
anni 40 l'Aeronautica deve riformare gli organici, servono piloti esperti
e quelli rimasti si contano sulle dita delle mano. È così
che nel 1951 vengo "richiamato", insieme a Bandini, per fare l'istruttore
alle nuove leve di piloti del dopoguerra. Lascio la famiglia a Gorizia
e parto per le Scuole di Volo delle Puglie dove si formano i piloti per
la appena costituita "Aeronautica Militare". Sono le Scuole di 1° Periodo
di Gioia del Colle, di 2° Periodo di Brindisi e di 3° Periodo di
Lecce. La mia prima destinazione è Brindisi, un aeroporto che dispone
di una lunga pista in cemento, parallela alla costa, con ancora visibili
le testimonianze del recente impiego da parte degli Alleati, era servito
come base aerea per le incursioni sui Balcani e sul Nord Italia. Dispone
ancora di infrastrutture ed attrezzature che risalgono a quel periodo e
lasciate in utilizzo all’Aeronautica Militare, insieme agli stessi velivoli
usati dalla Scuola. Siamo alloggiati nel lato Sud, vicino al porto ed il
24 luglio 1951, dopo una breve “ripresa voli” con il T 6, torno al mio
lavoro di istruttore, lasciato nel 1943. Dopo un periodo di Scuola con
il T 6, nel novembre 1951 effettuo il passaggio sul G 59, una macchina
dalle eccellenti prestazioni ma impegnativa soprattutto in fase di atterraggio,
in gergo aeronautico "da naso".
Alla Scuola di Volo di “3°
Periodo” a Lecce
Il 5 febbraio 1952 vengo trasferito a
Galatina, in provincia di Lecce, l'aeroporto è intitolato a "Fortunato
Cesari" un pilota del 4° Stormo che era con me al X Gruppo a Gorizia,
ha perso la vita in Africa Orientale nel 1936 per aver tentato di soccorrere
un collega costretto ad un atterraggio di fortuna in territorio nemico.
Il Comandante delle Scuole di Volo è il col. Bruno Ricco, sostituito
poco dopo da G. Battista Molinari. A Galatina ci sono due Gruppi, il 213°,
con la 5^ e 6^ Squadriglia ed il 212°, con la 4^ Squadriglia. Il 213°
Gruppo è comandato da una mia vecchia conoscenza, il col. Vittorio
Pezzè, ma non è il solo a ricordarmi i tempi di Gorizia e
Campoformido, incontro anche Avvico, Mascellani, Baron, Sanson e Squarcina.
Mascellani è diventato un mito per la sua perizia acrobatica con
il G 59 mentre Squarcina, altro abilissimo pilota, comanderà prima
la pattuglia acrobatica dei "Diavoli Rossi" e nel 1961 costituirà
le "Frecce Tricolori". Anche Galatina è un aeroporto utilizzato
dagli Alleati fino a sei anni prima e dispone di un gran numero di velivoli
impiegati durante la guerra, sia dagli americani che dagli inglesi. Gli
allievi sono piloti che provengono dai corsi d’Accademia e da quelli di
Complemento e che già’ hanno effettuato un certo numero di ore di
volo su altri velivoli alle Scuole di 2° Periodo. Il 31 ottobre
1952 Mascellani ed io veniamo inviati con due G 59 in Sardegna per "istruire"
gli istruttori che vi operano. Facciamo scalo ad Amendola e ripartiamo
il 2 novembre per Guidonia. Il 3 dicembre voliamo da Guidonia per Olbia
ed Elmas. Giunti ad Elmas scopriamo che gli istruttori sono vecchie conoscenze
che non hanno assolutamente bisogno dei nostri consigli, informiamo i nostri
superiori che è superfluo "istruirli" e veniamo così affiancati
ai colleghi nell’istruzione degli allievi. Il 10 novembre ci vengono assegnate
due squadre, di tre allievi ciascuna, sono piloti provenienti da altre
Scuole e che hanno già’ volato su macchine meno impegnative. Un
giorno mi viene assegnata una missione di "coppia" con uno di loro. Nel
briefing spiego all'allievo le manovre che andremo ad eseguire " ... inizieremo
con delle virate sfogate e poi passaremo a dei looping. Non essere brusco
sui comandi, intervieni subito col motore appena percepisci che ti stai
sfilando ...". Andiamo in volo con due G 59, ci portiamo sui 1500 metri
ed iniziamo con alcune di virate strette e sfogate. Mi sembra che mi segue
abbastanza bene, poi per radio gli dico: " ... ora facciamo un looping!".
Inizio una picchiata, cabro e quando sono verticale vedo che l'allievo
continua con il muso verso l'alto e non "tira", ... rimane in piedi e perde
velocità, mi allontano e vedo che scampana ed entra in vite. Raddrizzo
l'aereo ed imposto una virata in discesa per tenerlo in vista, continua
a girare su se stesso in vite, provo chiamarlo con la radio, non risponde,
gli dò le istruzioni per uscire dalla vite ... "barra avanti, piede
destro, … spingi in avanti e dai piede destro ...". Non risponde, forse
è impegnato a rimettere l'aereo dalla vite e non ha tempo per rispondere.
Eppure deve sentirmi, … a meno che, preso dal panico, non si sia irrigidito
sui comandi e stia innavertitamente tenendo premuto il pulsante di trasmissione.
Ripeto le istruzioni senza esito e comincio a sospettare che abbia proprio
la radio in trasmissione. Purtroppo su tutti gli aerei, quando si è
in trasmissione, la ricezione è interdetta. Ho la conferma pochi
secondi prima che l’aereo impatti il terreno, in cuffia mi arriva un urlo
straziante e una gran fiammata conclude in tragedia la sua missione.
Il Mustang F 51
Il 28 novembre si torna a Lecce dove riprendo
a volare con il T 6 ed il G 59. L'attività di volo è intensa,
volo principalmente con il T 6 ma anche con il G 59, mediamente dai due
ai tre voli al giorno con qualche picco fino a cinque missioni. Il 6 maggio
1954 effettuo il mio primo volo sul F 51 Mustang. Il Mustang è una
macchina eccezionale, dotato dello stesso motore Rolls Royce da 1700 CV
dello Spitfire IX. Dopo questa esperienza di volo, mi rendo conto che era
impensabile per noi vincere la guerra contro un nemico che disponeva di
velivoli simili. Eppure nonostante queste prestazioni, è un aereo
meno impegnativo dei nostri Mc 202 e Mc 205. Noi costruivamo velivoli che
richiedevano grande abilità mentre, gli americani in particolare,
avevano compreso la necessità di puntare su macchine alla portata
di un pilota dalle capacità medie. In atterraggio il Mustang è
più “tollerante” del G 59 e se il pilota di quest’ultimo richiama
anche leggermente più alto del necessario, può abbassare
violentemente l’ala colpendo violentemente la pista con le prevedibili
conseguenze. Il Mustang, dotato di un motore con una potenza enorme, è
invece difficile da controllare all'inizio del decollo, a causa della forte
tendenza all'imbardata causata dalla coppia dell'elica. Sono frequenti
i casi di allievi che in decollo escono di pista danneggiando seriamente
il velivolo e per evitare ciò è previsto non dare la massima
potenza finchè non si è raggiunta una certa velocità.
Ci sono stati dei periodi a Lecce che quasi tutta la flotta dei Mustang
era fuori uso per "uscite di pista". Anche nelle "riattaccate", quando
vicino a terra si interrompe l'atterraggio per riprendere quota, è
richiesto un considerevole sforzo fisico sulla pedaliera e l’immediato
intervento con il compensatore del timone, per contrastare l’effetto della
coppia dell'elica. L’ala inoltre ha un profilo particolarmente “fine” che
permette di raggiungere rapidamente velocità elevate in picchiata,
i comandi di volo diventano molto "duri", tanto da sembrare bloccati ed
anche in questo caso è necessario intervenire con il trim. È
accaduto in più occasioni che i piloti, durante la finta caccia
o altre manovre, si siano trovati in queste condizioni, raggiungendo velocità
estremamente elevate, superiori a quelle di massima resistenza strutturale.
Un giorno assisto ad una di queste situazioni verificatasi sulla verticale
dell’aeroporto. Sto parlando con un allievo e sento il rumore di un motore
alla massima potenza, alzo lo sguardo verso il cielo e vedo un Mustang
con il muso basso e velocissimo che continua a scendere in picchiata poi,
a 500 metri di quota, si disintegra ed un gran numero di rottami scendono
verso il suolo. A rotazione, noi istruttori siamo di servizio in "biga",
una postazione radio semifissa posta accanto alla pista e dalla quale abbiamo
il compito di seguire le evoluzioni dei piloti "solisti" e dar loro assistenza
in caso di difficoltà, soprattutto in fase di atterraggio. Gli allievi,
ai primi voli con il Mustang, hanno disposizione di restare sul "cielo
campo” e deve essere in volo un solo allievo alla volta. Sul G 59 e sul
T 6 non ci sono invece limitazioni e, per evitare rischi di collisioni,
agli allievi sono assegnate zone di "lavoro" diverse e distanti dal campo.
È una bella giornata e sono di servizio alla “biga” e seduto con
Mascellani accanto alla postazione quando un allievo vicino a noi strilla:
"Maresciallo guardi quel Mustang!". Alzo lo sguardo e vedo il velivolo
a circa 3000 metri che sta precipitando in vite, roteando velocemente con
il muso basso. Corro verso la postazione radio, prendo il microfono e strillo
"cloche avanti e piede destro! ... cloche avanti e piede destro!". Mascellani
mi tira per il giubbotto "Cosa fai. Così lo fai ammazzare!". Il
Mustang intanto è sparito in uno strato di nubi ed alcuni secondi
dopo ricompare senza più roteare, in posizione verticale, e comincia
a prendere velocità. Con voce calma gli dico: "Ora tira dolcemente,
... livella. Fai un giretto per farti passare la tremarella e poi vieni
all'atterraggio!". Poi mi rivolgo a Mascellani: "E bravo … ora capisco
perchè a Gorizia col CR 32 salivi a 5000 metri, ti mettevi in vite
e facevi 15 - 20 giri. Non sapevi come si esce dalla vite, lasciavi i comandi
ed aspettavi che uscisse da solo!". Mascellani era riconosciuto da tutti
come un grande pilota ed eccelleva nell’acrobazia a bassissima quota, faceva
rimanere a bocca aperta anche noi più esperti ma ciò nonostante
non era considerato altrettanto bravo come istruttore, non riusciva a trasmettere
le sue capacità! Lasciata l’Aeronautica, perderà la vita
alcuni anni più tardi su un aereo a reazione dell’Aviazione Generale,
precipitando sulle Alpi.
Di nuovo a Gorizia
La Scuola lavora a pieno ritmo per "sfornare"
allievi sul T 6, G 59 e Mustang che, dopo un altro periodo addestrativo
ai Reparti, costituiranno il nerbo dell’Aeronautica Militare. Bandini ed
io diamo il nostro contributo fino nel giugno 1956, quando entrambi terminiamo
l'attività di volo come istruttori e veniamo assegnati al ruolo
Servizi presso l'aeroporto di Gorizia. Tornato a casa, dove ho lasciato
mia moglie e mio figlio nell’appartamento di corso Italia, mi viene proposto
l’incarico di istruttore all’Aero Club di Gorizia e nel 1957 a quello di
Ronchi dei Legionari, dove l’avvocato Furio Lauri, grazie ad un gruppo
di amici piloti, ha fondato nel 1947 una piccola azienda aeronautica per
la costruzione di velivoli leggeri e lavoro aereo, la "Meteor S.p.A". Lauri,
nato nel 1918 a Zara e cresciuto a Trieste, laureato in giurisprudenza,
arruolatosi nella Regia Aeronautica, termina il conflitto con una Medaglia
d’Oro, due d’Argento al Valor Militare, una Croce di Guerra. L’aeroporto
di Ronchi dei Legionari, utilizzato dai CRDA per la messa a punto degli
aerei terrestri, nella primavera del 1945 viene occupato e utilizzato parzialmente
dagli anglo-americani e definitivamente abbandonato nel 1946. L’area aeroportuale
è demanio aeronautico ma rischia di divenire terreno agricolo in
quanto aumentano gli appezzamenti coltivati abusivamente. In Regione, nei
campi di volo utilizzati dagli Alleati, giacciono decine di velivoli inglesi
Auster e di americani Farchild, possono essere venduti ai privati come
rottami solo dopo essere resi inservibili. L’intraprendente Lauri trova
il modo di far tagliare opportunamente i velivoli e trasportare i rottami
a Ronchi dove vengono rimessi in efficienza. Intanto, ottenuta dal Ministero
della Difesa una concessione ventennale per una parte dell’aeroporto di
Ronchi, vengono costruiti alcuni fabbricati dove la Meteor può svolgere
questa attività. Nel 1950, alcuni piloti reduci dalla guerra, insieme
a Lauri, fondano l’Aero Club Falco ed organizzano le “giornate dell’ala”
che richiamano gran folla proveniente da tutta la regione. Nel 1953 la
Meteor rileva la Francis Lombardi di Vercelli e, partendo dal biposto da
turismo FL3 di questa Società, realizza tutta una serie di velivoli
FL 53, 54 e 55, mentre nel settore degli alianti gli viene affidata la
produzione dell’aliante “Canguro” per il Centro Militare di Volo a Vela
di Rieti.
A Ronchi dei Legionari
I primi istruttori dell’Aero Club Falco
sono due ex piloti militari, Pilot e Larese. Pilot perde la vita poco dopo
in un incidente sull’aeroporto di Ronchi. Decollato con un Auster insieme
al motorista Zaramella per le prove di collaudo, in fase di atterraggio
effettua una scivolata d’ala ma tocca con l’estremità alare e l’aereo
si danneggia gravemente. Zaramella esce illeso dall’incidente mentre Pilot,
colpito in pieno viso dalla cloche, perde la vita. Larese poco dopo lascia
la Meteor perchè richiamato dalla ricostituita Aeronautica e inviato
ad Elmas dove continuerà a fare l’istruttore di G 59 e F 51 Mustang.
Il nuovo istruttore dell’Aero Club Falco è Mario Monzali che nel
1957 lascia l’incarico per motivi personali e che vado a sostituire. Monzali
prima di partire mi racconta che durante le prove di collaudo di un FL
55, è entrato in vite piatta e, vista l'impossibilità di
uscirne, si è slacciato ed ha aperto il tettuccio per lanciarsi.
Mentre stava alzandosi dal seggiolino, il velivolo è uscito dalla
vite e a quel punto ha ripreso i comandi e riportato l'aereo a terra. Alcuni
giorni dopo debbo proseguire con le prove di collaudo abbandonate dopo
l'inconveniente accaduto a Monzali. I tecnici per precauzione hanno installato
in coda al velivolo un paracadute stabilizzatore, azionabile in caso di
emergenza dall'interno dell'abitacolo. Vado in volo, salgo prudentemente
ad una quota abbastanza alta, riduco la velocità e poi, dando tutto
piede da un lato e con il motore al minimo, metto il velivolo in vite.
Come nel caso di Monzali, il velivolo non si mette con il muso verticale
e continua a ruotare con un assetto poco sotto l’orizzonte, è in
vite “piatta”! Cerco di uscirne dalla vite, provo dare e togliere più
volte il motore e portare la pedaliera al centro e poi nuovamente a fondo
corsa, non cambia nulla, non c’è verso di rimettere l’aereo in condizioni
di volo controllato! Sono trascorsi molti secondi ed il terreno si sta
avvicinando velocemente e decido di azionare il paracadute freno, l’aereo
si stabilizza in pochi secondi. Con il paracadute esteso l'azione frenate
è fortissima e pertanto poco dopo tiro la leva di sgancio. Il paracadute
però non si stacca! Provo più volte ma non c'è nulla
da fare, il velivolo scende con un forte rateo e lanciarmi con il paracadute
che indosso non mi sembra una buona idea, finirei dentro il paracadute
freno e precipiterei a terra insieme al velivolo. Con il motore a tutta
potenza l’aereo non riesce a mantenere la quota ma scende con un rateo
simile a quando si simula una piantata di motore. Essendo rimasto precauzionalmente
sopra al campo, mi porto all'atterraggio e tutto finisce bene. Il 13 giugno
1958 il col. Enrico Meille, abile e conosciuto pilota proveniente dal 4°
Stormo di Gorizia, giunge a Ronchi per ritirare un velivolo Partenavia
P 55 "Tornado" appena revisionato e modificato nelle Officine Aeronautiche
della Meteor. Si appresta a decollare per un volo prova e misurare la velocità
massima utilizzando dei punti di riferimento a terra. Lauri si offre di
accompagnarlo in volo per aiutarlo in quanto conosce bene la zona intorno
all’aeroporto. Sono in compagnia di Basilio Primosic ed Enzo Pian ed assisto
al decollo del velivolo che avviene in direzione Nord. La corsa è
molto lunga e la salita è piatta, dopo alcuni minuti, il rumore
del motore cessa improvvisamente ed il velivolo non si vede più.
Impensierito, metto in moto un velivolo dell’Aero Club, decollo e poco
dopo, a circa 2 Km a Nord dell’aeroporto, individuo i rottami del P 55
con vicino i corpi dei due piloti. Entrambi vengono portati all'ospedale
di Gorizia. I medici danno poche speranze per Lauri mentre le condizioni
del Meille sembrano leggermente migliori. Poco dopo invece il Meille muore
mentre Lauri supera i traumi dell'incidente. Per molti mesi Lauri sarà
costretto a camminare con le stampelle e per tutta la vita porterà
i segni di questo incidente. Lauri era da poco reduce da un altro incidente
con un aliante, avvenuto sempre a Ronchi. Sarà proprio questa esperienza
a fagli maturare l’idea di sviluppare i velivoli senza pilota di cui la
Meteor diverrà la prima azienda nazionale del settore. Nel marzo
del 1960, in un incidente di volo perdono la vita due piloti dell'Aero
Club di Gorizia, Rico e Calzetta. Al rientro da un volo con un L
5 Stinson, dopo aver lanciato una ghirlanda sul castello di Miramare, per
ricordare la morte del Duca, entrano in un banco di nebbia ed impattano
il costone carsico a breve distanza dalla ferrovia. Nel 1963, debbo assentarmi
per un mese per partecipare in Sardegna ad un corso d'aggiornamento per
istruttori. Lauri mi chiede di indicargli tra i soci dell'Aero Club un
pilota affidabile per effettuare i voli di collaudo di alcune apparecchiature
radioelettriche sperimentali, destinate ai teleguidati ed installate su
un FL53B. All’Aero Club di Ronchi ci sono piloti con molte ore di volo
ma la mia scelta cade sul più giovane di tutti, Gianfranco Sbocchelli,
un ragazzo di Trieste che nel 1958 ho iniziato al volo quando era appena
diciasettenne. Il mio fiuto d'istruttore non ha sbagliato, qualche tempo
dopo infatti Sbocchelli entra in Aeronautica Militare e poi nella compagnia
di bandiera, l’Alitalia. Nel 1974 supera il corso comando e nel 1999 lascia
la Compagnia da Comandante di Lungo Raggio, sul Boeing 747.
Ancora a Gorizia
Alla fine del 1963, l'Aero Club di Ronchi
cessa l'attività ed il presidente dell'Aero Club di Gorizia mi chiama
per addestrare i suoi soci. Nell’aeroporto di Gorizia, nell’hangar che
fu della 38^ Squadriglia della Ricognizione Aerea, operano due Aero Club,
quello di Gorizia e quello di Trieste. L’attività è intensa,
l’Aeronautica Militare incentiva il volo negli Aero Club, vengono assegnati
gli aerei dismessi dalle Scuole di Volo, i Macchi 416 ed i G 59, macchine
alquanto impegnative per piloti civili. L’Aero Club d’Italia concede contributi
per l’acquisto di nuovi aerei e l’Aeronautica fornisce consistenti quantitativi
di carburante per l’attività addestrativa delle Scuole di Volo.
L’hangar Gleiwithz dell’Aero Club è pieno di aerei ed un solo istruttore
per due Aero Club, non basta più. L’istruttore è Montanari,
una vecchia conoscenza del 4° Stormo, è nato e vissuto a Sagrado,
il paese di mia moglie e dei suoi genitori. Ha partecipato a tutte le più
importanti manifestazioni aeree ed ha fatto parte delle pattuglie acrobatiche
del 4° Stormo, negli anni '36, '38 e '39. Abbiamo volato spesso insieme
in pattuglia acrobatica, lui da gregario interno di sinistra ed io da gregario
esterno, sempre di sinistra. Aveva l'abitudine di volare "ala dentro ala"
con il capo-formazione mentre tutti noi stavamo, come previsto, ad un metro,
un metro e mezzo dall'ala dell'altro. Anch'io gliel'avevo fatto notare
più volte, purtroppo aveva un carattere spigoloso e non accettava
consigli. Dopo la guerra si è congedato dall'Aeronautica ed ha ottenuto
l'incarico di istruttore all'Aero Club di Gorizia e di Trieste. Motorista
dei due Aero Club è Giovanni Lazzari che con l’esperienza acquisita
in tanti anni di servizio in Aeronautica, garantisce una qualificata manutenzione
agli aerei. Lazzari, nato nel 1906 a Longarone, si arruola nel 1931 e viene
inviato in Tripolitania dove rimane per diversi anni. Nel 1938 è
a Gorizia con la 38^ Sq. della Ricognizione Aerea, poco prima della guerra
è inviato nuovamente in Africa, a Castel Benito (Bengasi) con la
94^ Sq. Caccia. Avendo aderito alla RSI, terminata la guerra, viene congedato
e dopo un periodo non facile, ritrova lavoro nell’hangar già della
38^ Squadriglia, a lui familiare. Nel 1963 il Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica,
il gen. Remondino, proveniente dal 4° Stormo di Gorizia, trova un accordo
con la compagnia aerea di bandiera per regolare il travaso di piloti che
sta creando difficoltà ai Reparti di volo. L’Alitalia è in
espansione e necessita di un gran numero di piloti che, attratti dalle
condizioni economiche più vantaggiose, lasciano l’Aeronautica per
l’Aviazione commerciale. Remondino si rende conto che ostacolare il congedo
dei suoi piloti è un palliativo e preferisce la collaborazione con
l’Alitalia, mettendogli a disposizione le infrastrutture dell’Aeronautica
presenti nell’aeroporto di Brindisi ed una dozzina di istruttori di volo
di Lecce. L’Alitalia intanto acquista quattro MB 326, velivoli con motore
a getto da poco realizzati dalla Macchi ed utilizzati anche a Lecce per
l’addestramento dei piloti militari. Con l’aiuto dell’Aeronautica nasce
così la prima scuola di volo di una compagnia aerea. Il giovane
pilota dell’Aero Club di Ronchi, Franco Sbocchelli, mio figlio e Claudio
Rossi, figlio del m.llo del 4° Stormo con il quale ci siamo ingegnati
per superare i difficili anni del dopoguerra, partecipano alle selezioni
e vengono ammessi ai corsi. Alcuni dei piloti che ho conosciuto a Lecce
o che sono stati miei allievi, saranno loro istruttori a Brindisi. Due
anni più tardi Sbocchelli, Rossi e mio figlio inizieranno a volare
per la Compagnia di bandiera. Anche in linea incontrano alcuni miei ex
colleghi ma soprattutto tanti miei ex allievi di Lecce che mi mandano i
loro saluti: Pisciotta, Alonzo, Santaniello, Bertarelli, D'alessandro,
Pagliarani, Fiorini, Lautizi, Russo, Ralli, Uberti, Stecca, Pulidori, Cattaruzza,
Cavallo, Faggiani, Tron, Dugar, Dentesano, Panario, Tarroni, Chiappelli,
Tatoni, Tomeucci, Malaspina, Fioretto, Lucchetti, Pettarin, Mori, Orlando.
Basta con il volo!
Il 17 dicembre 1970 un grave lutto colpisce
l'amico Castelletti. Suo figlio Guido di 23 anni, pilota di elicottero
dell'Agusta, transita all'aeroporto di Ronchi dei Legionari con un contingente
di elicotteri destinati all'Aeronautica della Persia, oggi Iran. Il Castelletti
durante la sosta prende a bordo l'amico Silvio Lombardo, un pilota dell'Aero
Club di Gorizia e lo porta in volo con il suo Agusta Bell 205 ma poco dopo
il decollo precipitano in vigneto poco distante dall'aeroporto.
Il limite d'età per i piloti civili
istruttori è di sessanta anni e raggiunti, smetto ogni attività
di volo. Il Presidente dell’Aero Club mi chiede se conosco un altro pilota
che mi possa sostituire e gli faccio il nome dell’amico Gino Baron che
faceva parte del gruppo istruttori di Lecce. Baron è una persona
semplice e cordiale, sempre pronto alla battuta, nessuno può immaginare
che sia uno dei più grandi assi della seconda guerra mondiale. Baron,
nato nel 1918 a Castelfranco Veneto, nel 1941 è in Africa Orientale
con la 412^ Squadriglia Caccia, affiliata al 4° Stormo e comandata
dal capitano Antonio Raffi. Il ten. Mario Visintini, il pilota del 4°
Stormo, con il quale nel marzo del 1939 siamo andati in Albania su un Ca
133, è anche lui alla 412^ Squadriglia ed è grande amico
del serg. Baron, suo gregario e con il quale effettua gran parte delle
misioni. Visintini è uno dei grandi assi per numero di abbattimenti
e molte delle sue 17 vittorie le ottiene proprio in coppia con Baron che
ha al suo attivo 10 abbattimenti individuali e 10 collettivi, una medaglia
d'argento ed una di bronzo ma non è il tipo da vantarsi, difficilmente
parla del suo passato, dà più importanza all’amicizia e,
da buon friulano, non disdegna un buon bicchiere di vino. Il cugino di
mia moglie, Enzo Pian, è un pilota da lunga data dell’Aero Club
ed amico di Baron che, prima di lasciare l'incarico d'istruttore per raggiunti
limiti d'età, gli confida un “segreto”. Si tratta di una voce che
già’ avevo sentito quando ero a Lecce e cioè che alcuni abbattimenti
“individuali”, accreditati a Visintini, in realtà erano “collettivi”,
cioè di entrambi, oppure conseguiti da Baron e poi “girati” all’inseparabile
amico. Proprio la fraterna amicizia con Baron è stata fatale per
Visintini che è deceduto l'11 febbraio 1941, schiantandosi sul monte
Nefasit. Visintini era decollato, nonostante le condizioni precarie, nel
tentativo di localizzare Baron che si credeva disperso e che era atterrato
invece a Sabarguma, fra Massaua e Asmara. Appena atterrato Baron aveva
chiamato con il telefono la sua base per informare il Comando ma purtroppo
Visintini era già’ decollato.
Il ritorno alle "origini"
Ho trascorso una vita tra aerei e piloti,
ho partecipato a due guerre, ho visto morire tanti miei compagni, ho conosciuto
le prigioni spagnole, ho visto in più occasioni la morte in faccia
ed ora è giunto anche per me il momento di cambiare vita. Sono del
parere che quando si arriva all'ultima pagina di un libro, bisogna avere
la forza di chiuderlo e pensare ad altro. Cominciano a riaffiorare i miei
ricordi dell’infanzia trascorsa in campagna e, dopo tanti anni trascorsi
in "cielo", sento il desidero tornare alla "terra", ai lavori da contadino,
voglio dedicarmi solo alla cura del mio orto e dei pomodori che ricordano
le mie origini partenopee. Nel 2001 partecipo alle celebrazioni per il
70° anniversario della costituzione e dell’insediamento del 4°
Stormo, giunto a Gorizia nel settembre del 1931 con un primo gruppo di
64 piloti. Gli unici superstiti di quel gruppo, di cui facevo parte anch’io,
sono Ruffilli e Bergamini. Alla cerimonia partecipa il Capo di Stato Maggiore
gen. Sandro Ferracuti, il Comandante del 4° Stormo il col. Vecciarelli
e due vecchi amici, Biffani e Del Moro. Prima di lasciare il luogo della
cerimonia mi si avvicina una persona distinta che non parla l’italiano,
un suo amico mi spiega che è il prof. Miomir Krizaj di Lubiana,
figlio di Giuseppe Krizaj, il pilota che ho conosciuto nel 1930 al corso
per allievi piloti di Capua e con il quale fui “scambiato” in Spagna nel
1937. Il prof. Krizaj è emozionato, ha perso il padre quando era
molto giovane e mi chiede di raccontargli di quando ci trovavamo a combattere
su fronti opposti in Spagna, della visita fattagli quand’era in ospedale
e dello scambio di prigionieri nazionalisti e repubblicani che salvò
la vita ad entrambi.