Cesti Pietro
classe 29/11/1919
Scuola Caccia di Gorizia 14/03/1940
Le recenti vicende legate alla caduta di velivoli per
incidente sopra o nei pressi di edifici mi hanno fatto tornare alla mente
due episodi dei quali fui mio malgrado protagonista. Nell'estate 1941 mi trovavo
alla scuola di alta acrobazia nell'aeroporto di Merna, vicino Gorizia, dove
fui incaricato di eseguire un volo di prova con un Fiat CR.32 che era stato
riparato. Mentre aspettavo di salire a bordo gli specialisti lo stavano rifornendo:
ricordo che un getto di benzina fuoriusci' dal tubo ed invase il posto di
pilotaggio, tanto che potei decollare solo quando si penso' che il carburante
fosse evaporato. A circa 1.500 metri di quota, nell'eseguire un tonneau in
piedi con scampanata, vidi una vampata uscire dal motore e, mentre l'abitacolo
veniva invaso dalle fiamme, sentii un'esplosione in fusoliera. Mi venne in
mente un incidente nel quale il pilota, lanciatosi col paracadute con la
tuta gia' incendiata, fu trasformato in una torcia umana e fini' arso vivo:
il cervello mi ordino' quindi di aspettare qualche istante prima di lanciarmi.
Quando lo feci, mentre precipitavo verso terra in posizione eretta con le
mani appoggiate al ventre ed aspettavo ad occhi chiusi lo strappo di apertura
del paracadute, mi parve che questo tardasse troppo ed aprii gli occhi. Vidi
volteggiarmi davanti il moschettone strappato e mi resi subito conto che
dovevo azionare la maniglia di sicurezza, che era a portata della mia mano
destra. Dopo averla tirata il paracadute si apri' subito e con mio grande
sollievo mi trovai a dondolare lentamente verso l'Isonzo, tanto che pensai
piu' volte che sarei caduto in acqua e che avrei dovuto togliermi le scarpe
- cosa che pero', vedendomi spostato dal vento, non feci. Il guaio comincio'
quando sulla sponda del fiume notai una linea di pali di alta tensione. La
miasperanza di riuscire a superarla fu presto delusa perche'‚ il vento mi
manteneva sopra di essa ed io mi trovai terrorizzato dal pensiero di finire
fulminato. Pensai di tentare di dirigere il paracadute e cominciai a dondolanni
freneticamente (bisogna ricordare che i paracadute Salvador allora in dotazione
tenevano il pilota agganciato per la schiena, cosi' che le corde restavano
fuori della portata delle mani) finche'‚ riuscii ad agganciarle e, tirandole
da una parte e dall'altra, il paracadute mi sposto' sulla sinistra, consentendomi
di evitare i fili. Finii in compenso addosso ad un contadino che arava coi
buoi, sfiorandogli la testa coi piedi e atterrando sul terreno appena arato.
Recuperai il paracadute e vidi che la corda del moschettone era avvolta alla
cintura di fissaggio e non aveva quindi potuto scorrere: la mia abitudine
di non agganciare la chiavetta nell'apposito anello ma di passarla nell'intelaiatura
metallica della fusoliera ed agganciare la chiavetta nella corda stessa
mi aveva salvato la vita. Facendo acrobazia il laccio si era allargato, poi
la fiammata aveva incrinato la corda che nello strappo d'apertura del paracadute
si era strappata. Quando arrivo' l'ambulanza mi fu subito chiesto perche'‚
avessi tardato tanto ad aprire il paracadute. Risposi che non avevo tardato
io ma che il moschettone si era rotto. Impossibile, risposero i tecnici: "La
corda sopporta tre quintali a strappo". Testimoni oculari mi raccontarono
poi che l'aereo fumante si era prima diretto verso il campo, ma che solo dopo
qualche istante avevano visto il paracadute. C'era stato un fuggi fuggi perche'
il CR 32 puntava verso i Macchi 202 del 6° Gruppo che dovevano andare
in Sicilia per operare su Malta, ma poi, giunto a circa duecento metri di
quota, aveva virato a destra andandosi a schiantare sul prato senza causare
nessun danno. Nell'abitacolo fu poi trovato il pezzo di moschettone con la
chiavetta stretta al laccio, ma fui pregato di non riferire il particolare
nella relazione dell'incidente per evitare un susseguirsi di visite ed analisi
da parte dei tecnici del Ministero sull'efficienza e validita' del moschettone.
Non avendo avuto altra alternativa che ricorrere al paracadute, solo il caso
mi aveva salvato la vita e aveva evitato una catastrofe immane. Un anno dopo,
in forza al Gruppo complementare del 51° Stormo sull'aeroporto di Ciampino
Sud, dovetti nuovamente lancianni. Era quasi mezzogiorno quando il capitano
Montanari, che comandava il Gruppo, mi ordino' di provare un Macchi 200 riparato.
Facendo acrobazia in salita verticale, a duemila metri di quota, improvvisamente
il motore perse potenza e l'aereo, dopo diversi capovolgimenti non rispose
piu' ai comandi e cadde in vite piatta rovescia. Pur sapendo che, una volta
entrato in quella vite, il MC.200 non ne usciva piu', tentai varie volte di
rimetterlo in assetto normale di volo. Inutilmente: i comandi erano divenuti
inefficaci per cui, visto che l'aereo continuava ad avvitarsi e a scendere
verso terra, decisi di lanciarmi col paracadute. Mi trovavo a testa in giu'
e credevo che questo avrebbe facilitato il compito. Invece, per quanto tirassi
con tutte le mie forze aggrappato alla carlinga con le braccia fuori dell'abitacolo,
non mi riusci': la forza centrifuga mi teneva schiacciato dentro. Inutilmente
mi tirai dentro e ripresi i comandi. Ripetei per tre volte la manovra, ma
fu tutto inutile ed avendo perso molta quota fui preso dal panico. Lo spettro
della morte confondeva i miei pensieri, vidi mia madre che piangeva, intravidi
il mio funerale, poi fra tutti fulmini che mi traversavano il cervello ebbi
un'illuminazione: carrello e flap fuori, tutto motore. Quasi istantaneamente
e l'aereo si fermo' col muso rovesciato leggermente verso terra e io mi trovai
fuori. Ero a circa 45.0 metri: contai fino a dieci, poi tirai la maniglia
di sicurezza e il paracadute si apri'. Dopo pochi istanti toccai terra sano
e salvo poco lontano dall'aereo che, sempre rovesciato, si era piantato nel
prato di erba medica che costeggiava la strada dell'aeroporto. Se avesse fatto
una leggera virata a destra, come il CR 32 di Gorizia, sarebbe precipitato
sulla palazzina della mensa dove molti miei colleghi stavano pranzando. Gli
impulsi del mio cervello mi avevano salvato la vita ed il caso aveva evitato
una catastrofe. Tutto questo mi fa credere che quando si sta toccando la morte
l'apparato sensitivo, in frazioni di tempo minuscole, indichi la via della
salvezza. Poi, come in tutte le catastrofi, decide il caso. Se a Gorizia avessi
procurato un'immane catastrofe, se a Ciampino avessi causato la morte dei
miei colleghi, sono certo che oggi avrei ancora un profondo dolore nell'anima
ancora un profondo dolore ma non mi sentirei in colpa. Il pilota che si accinge
a decollare sa che il caso potrebbe anche troncare la sua vita ma continua
a volare per fare il suo dovere di Italiano e di soldato.
Pietro Cesti
Lettera inviata il 18/06/2010 dall'allievo pilota Pietro Cesti, giunto nell'agosto 1941 alla Scuola Caccia di Gorizia, al suo istruttore Raffaele Chianese
Caro Chianese
Non so descrivere quale commozione provo nel scriverti,
nel ricordare quando ti ho conosciuto, il tuo modo di insegnare a volare,
gentile e molto convincente e dimostrativo. Al di fuori di Nicola
ed il maresciallo romagnolo di Faenza ed anche sbruffone. Il tenente Belo'
faceva paura. Ti ricordo come fossi arrivato ora dalla scuola di Foggia
e di Rimini: l' aeroporto, con le spalle alle 12, alla destra la palazzina
comando, alla sinistra gli hangar degli aerosiluranti e dopo, nella stessa
linea, l'hangar della Scuola Caccia, sedie , poltrone, allievi in attesa
del volo istruttori Traverso, Vacchelli tenente. Il comandante
Capitano Morsciani di Bologna, sempre scherzoso e gentile, il tenente
Belo' coi Fiat G. 50, il capitano Pezze', comandante la scuola e ultimo
stadio (periodo) con i Macchi 200. Con il Fiat C R32, causa lo stesso rifornimento
che fecero a te in Spagna e che ti fece cader prigioniero. Di questo, dopo
tanti anni, la nostra rivista pubblico' la storia che io scrissi e che ti
mando copia. Da gorizia Pezze' mi mando' al 51° Stormo dal Colonello
Remondino che stava formando lo Stormo con i Macchi 202 per partire
per Gela, Sicilia, ed operare su Malta. Tutto il resto lo raccontero' in
seguito, ora ti invio le mie foto, forse ti ricorderai di me. Di te ho il
ricordo piu' vivo. Non so piu' perche' ti avevano fatto girare i pendicoli
e nel pomeriggio in una prova aereo arrivasti veloce da sud, in volo radente
e "avione" a 90 gradi, muso in cabrata e l'erba che volava al cielo. Nessuno
fiato' e tu atterrasti come non fosse accaduto nulla e con tutta calma, come
insegnavi tu. Meraviglioso ricordarti e scriverti e farti tanti, tanti auguri,
abbracciandoti.
Pietro Cesti detto "Piraza".
Insieme a me ricordo un altro allievo della Scuola Caccia, il m.llo Aldo Barbaglio (classe 1919), nominato poi Sottotenente e assegnato al 51° Stormo, deceduto nell'estate 2010.