La prigionia a Valencia del pilota Cenni

tratto dal suo diario

 ......... A destra, sotto, s'alza la scia di fumo di un altro apparecchio che precipita.  Cenni lancia raffiche e l'avversario risponde: il duello si prolunga disperato. I due  apparecchi si colpiscono. Ma il motore di Cenni sternuta e l'avvisatore dice che solo per dieci minuti ancora puo' volare. Una nube lo avvolge; punta sul campo e discende.  Appena toccato terra, il motore si ferma. La benzina e' finita. Gli apparecchi della  Cucaracha sono tutti disseminati di fori: uno solo ne ha settanta.

 Ed ecco cio' che narra della sua prigionia fra i rossi.

 <<Il 29 gennaio con quindici apparecchi andiamo a la Virgen de la Cabeza a buttar giu'  viveri e armi.

 Siamo sei caccia. Ci sono dei cumuli, dentro e fuori, perdiamo un po' di contatto.  Entriamo in una nuvola grigia: non si vede piu' niente. Non vedo neanche la coda del mio  apparecchio. Sento come un urto, ma non so dove, e l'apparecchio mi perde quota; alzo  gli occhi, vedo due ombre: i miei compagni che non sono piu' in linea di volo e si  incrociano.

 L'altimetro segna 200 metri, punto i piedi e salto fuori. Sento lo strappo del  paracadute e, subito o quasi, sono con i piedi nell'acqua.  Mi metto a correre fra i sassi di un ruscello. Tutto si e' svolto in un lampo, avevo  perso la testa.

 Nascondo il paracadute. L'apparecchio brucia, non mi avvicino perche' le palle  cominciano a scoppiare.
 Sono certo in territorio nemico. Strappo le carte e i denari. Per tre giorni giro su e  giu' per la montagna sempre in mezzo alle nuvole e alla sterpaglia.

 Vedo dei leprottini, sparo con la pistola, ma piu' che altro per convincermi che non si  puo'. Al terzo giorno mi vedono e mi prendono. Scappo, ma si fa presto a prendere uno  digiuno. Sono tipi semi selvaggi di cacciatori. Mi portano a Pantano dove bevo un po' di  latte.

 Arriva un capitano che mi porta ad Anducar; mi offre sigarette.  Qui, il primo interrogatorio. Un maggiore rosso, un capitano francese, e un deputato  socialista che, a differenza degli altri due, vuol prendermi con le buone.

 Ma "yo se' nada". Io non so niente. Mi dicono che due aviatori nostri si sono  sfracellati a terra lo stesso giorno della mia caduta. Temo siano i miei gregari. Mi  chiedono quanti chilometri fa il CR32. Io dico 250. Ma loro lo sanno e si arrabbiano.

 Poi mi rinchiudono in uno stanzino e una guardia si diverte a tormentarmi parlando di  fucilazione.
 Dopo qualche giorno, mi portano con una macchina verso Valencia. Ad Albacete restiamo  senza benzina, e l'autista prima si procura un buono e poi la benzina; ma per far questo  c'e’ voluto una giornata e un monte di discussioni.

 In un'osteria ci sono dei russi ubriachi. Il tenente che mi accompagna va in bestia  perche' i russi stanno solo due o tre giorni al fronte, e poi li mandano indietro.  A Valencia mi mettono in una stanza di un palazzetto. Una guardia apre un uscio e, di
 la', seduto che mangia, c'e' Pesce che era con me nel cielo de la Virgen. Resto di  sasso, la porta si chiude senza che lo abbia chiamato.

 Finalmente riesco a parlargli: grandi meraviglie, e poi mi scrocca una delle poche  sigarette. Ci accordiamo su quello che dobbiamo dire.  Il giorno dopo, all'interrogatorio, chiedono se sono fascista.  Dico di si, e che sono iscritto alla Milizia Universitaria di Parma.  Vogliono sapere tante altre cose, ma "yo no se' nada". Quante volte l'ho detto! E loro:  "Usted no tiene cara de tonto, tiene que saver algo" (Tu non hai la faccia da sciocco,  sai dell'altro).

 "Si Ustedes quieren que yo diga mentiras, yo puedo decir si no es la verdad que yo no  se' nada".
 "Vuestra vida depiende de vuestras resquesta".

 Le guardie, con Pesce, mi mettono su un'auto; chiediamo dove ci portano, e loro: "A fare  una passeggiata".  Qui avrei giurato che ci facevano la pelle. Mi legano le mani con una corda, e si parte.  Invece siamo diretti ad Albacete. Lo scampato pericolo ci ha messo allegria, e troviamo  il governatore, un vecchio mezzo sordo, mica cattivo, che ci fa passare un'ora  divertente.

 Alle sue domande, rispondiamo solo che abbiamo appetito. Finalmente capisce e fa portare  pane con salame. Ma se lo tiene vicino, sembra, per darcelo solo se siamo bravi. Poi,  senza mai spazientirsi, ci rivolge una specie di rimprovero e ci manda via con un panino  per ciascuno.

 Da quel momento, abbiamo passato un mese in una cantina senza mai uscire.  Pesce era in una cella un po' distante, poi arrivo' all'improvviso il sergente Pelo  (Mario BANDINI) un altro della Virgen.  Immobilita' e buio e sempre a pensare. Da un'inferriata vedo i piedi della gente che  passa.  Quante scarpe ho visto in quel mese; piu' che in tutta la mia vita!. Perche' delle  persone non appariva altro. La loro personalita' era concentrata li'. Mi provavo a  ricostruire il resto, oppure dal genere del passo indovinare il sesso e l'eta'. Mi  piaceva che qualcuno si fermasse a discorrere li' sopra.

 Una volta sono passate due scarpette di vernice coi tacchi altissimi, due caviglie  sottili con calze di lusso: e' stato un attimo.
 Che impressione! Le ho sognate per una settimana...

 Pelo (Mario BANDINI) dormiva o questionava con le guardie, io cantavo o ero una bestia  furibonda e Pesce, piu' tranquillo, ci calmava.  Abbiamo avuto anche lunghe discussioni di politica con le guardie. I loro argomenti  erano i soliti, quelli della stampa rossa.  Con calma, e senza esagerare, li abbiamo convinti a non credere cosi' stupidamente, e  alla fine erano perplessi.

 Ho notato che tengono Franco in grande considerazione; infatti, Franco e' un eroe  nazionale.
 Credo che, dopo la vittoria, il popolo facilmente si convincera'.

 Giunge la notizia della presa di Malaga. Dopo due giorni, i nostri bombardano Albacete;  vedo gli scoppi di due bombe da 250. Pensiamo che, per rappresaglia, i rossi ci facciano  la pelle. Invece, continuano semplicemente a farci saltare qualche pasto. Nella cella  vicina mettono un pazzo criminale che ha ammazzato la moglie e violentata la figlia.  Grida tutto il giorno.

Il primo di marzo, ancora viaggio a Valencia, ancora interrogatorio; si rinnova  l'impressione della fucilazione.
Rimaniamo a Valencia al Carcel Modelo. E' piu' pulito, c'e' piu' luce, ma due mesi in  una celletta sono troppi.
Ho passato giorni come un pazzo, e questa era la sofferenza maggiore.  Riesco a vedere e comunicare con un altro aviatore (Raffaele CHIANESE) che, avendo un  po' di soldi, ci manda roba.  Due giornalisti dell'Araldo di Salamanca, fatti prigionieri, ci fanno trovare un pacco  nella cella.

 Si apre il cuore alla speranza quando sappiamo che il generale Aranda ha proposto uno  scambio di prigionieri. Dopo tre mesi di prigionia, non ricordo bene come, ho avuto una camicia, e mi sono  finalmente cambiato.

 Al primo di aprile, faccio lo scherzo del pesce a Pesce. Gli dico che ci lasciano  liberi, quello si mette a cantare, quando ha finito gli comunico la data. E' diventato  furioso. Passa quasi tutto il mese di aprile senza grandi novita', eccetto che uno si
 precipita dalla balconata, impazzito.

 Ci portano finalmente in cortile. Qui, conosco tanti personaggi politici, fra cui il  nipote di Franco; molti sono rinchiusi da parecchi anni.  C'e' un professore cubano senza una gamba, fervente ammiratore del Duce.  Il nuovo carcere e' un antico convento; parecchi prigionieri sono italiani.  Per un po' si sta in cella. Dal finestrino, vedo muratori che fanno un muro. Ogni tanto  smettono il lavoro e discutono di politica.

 Lunghe discussioni, intercalate da brevi pause di lavoro. Ho provato a fare un calcolo  del prezzo del muro: una somma enorme!.  La cosa che piu' mi ha impressionato, durante la prigionia, sulle abitudini dei rossi,  e' proprio questa mania di discutere.

 La prigionia si e' fatta meno dura quando ci hanno lasciati insieme. Ce n'erano di tutti  i fronti e di tutte le armi. Nei tre mesi di permanenza, ce ne siamo raccontate tante  che si potrebbero fare trenta romanzi.

 Un bel giorno mi hanno chiamato con altri aviatori (Pesce, Bandini e Chianese).  Le chiamate erano sempre motivo di apprensione. Un tenente ci ha condotti al porto e  consegnati alla Croce Rossa Internazionale. Questo voleva dire la liberta'.
 La nave inglese Maine ci ha portati a Marsiglia, e, di li', siamo venuti a rifarci le  ossa in Italia.>>