Sono nato ad Ostia
il 27 marzo 1915. Ho conseguito il brevetto di motorista civile d'aeromobile
nel 1931 a Napoli e nel 1933 il brevetto di pilota civile di primo grado
sull'Idro CA100 presso l'unica Scuola di Volo aperta in quel periodo in
Italia e precisamente all'Aeroclub di Genova. Qui continuai con i voli
di allenamento annuali volando contemporaneamente come motorista e secondo
pilota sui Dornier della SANA, Società Anonima Navigazione Aerea
con base ad Ostia. Nel '36 mi arruolai in Aeronautica e fui inviato a Foggia
dove conseguii il brevetto militare su Breda 25 e CR 20. Il 1° di agosto
del 1936 fui assegnato al 4° Stormo di Gorizia. Mi feci raccomandare
per andare a Gorizia ed infatti ci riuscii.Mi assegnarono alla 73^ Squadriglia,
sotto la guida di Pezzè, di Renzi e di altri. Mi portarono su loro,
cominciammo con la prima coppia e poi sempre avanti con gli allenamenti.
Prima di volare sul CR32, provai doppio comando sul CR30 con il povero
Corsi, e gli amici mi avevano detto: "Te la passi bene, vedrai quello che
ti combina!". Me l'ha combinata. Mi ha fatto fare il decollo, poi
mi ha detto: "Lascia la cloche". Ha effettuato una serie di tonneau non
so quanti, sul Carso, sul San Michele. Poi mi ha detto: "Andiamo a casa".
Mi ha fatto fare l'avvicinamento e l'atterraggio e poi mi ha battuto una
mano sulla spalla dicendomi: "Vai, vai!". Ho poi volato con Pezzè
che mi ha autorizzato ad effettuare il passaggio sul CR32. A Gorizia conobbi
Silvio Salvatori un toscano che aveva una fidanzata pure lei toscana. Durante
un trasferimento a Roma con la pattuglia acrobatica per una manifestazione,
mentre sorvoliamo la Toscana, si stacca dalla formazione per andare a fare
una puntata sulla casa della fidanzata. Si abbassa troppo e si infila con
il CR20 nella finestra dell'abitazione della ragazza. L'aereo finisce proprio
dentro la casa mentre le ali rimangono di fuori e, cosa incredibile, non
si fa nemmeno un graffio. E' morto dopo la guerra. Volava con quegli aerei
che irrorano i campi ed ha urtato nei cavi di una linea elettrica. Era
un pilota straordinario, credo non ce ne siano stati molti come lui. Ricordo
che faceva i tonneau sfiorando letteralmente gli hangar del 4° Stormo.
Puntava sulla zona della 73^ Squadriglia, dove eravamo noi, verso i tre
hangar vicino alla strada arrivando dall'Isonzo e sembrava ci finisse addosso.
(Anche Ugo Corsi era eccezionale. Ah, Corsi, Corsi, Corsi, non ce ne sarà
mai più uno uguale. Non ce ne sarà mai più uno come
lui!. Sto criminale, decollava, riduceva motore e si metteva con la coda
per terra che cosi' non staccava e girava dentro l'aeroporto. Merna non
è grande, lo sai, ma a lui bastava.)
Anche Ugo Corsi era
eccezionale, non ce ne sarà mai più uno uguale. Spesso decollava,
riduceva motore, si metteva con la coda per terra senza staccarsi dal suolo
e girava dentro l'aeroporto non certamente grande ma a lui bastava. Non
toccava terra, la sfiorava. Si sosteneva sul cuscino d'aria creato dall'elica
sotto l'ala. Allora questa tecnica non si conosceva. Aveva una padronanza
senza uguali nel’eseguire la vite: volava lungo l'Isonzo sui 400/500 metri
ed improvvisamente entrava in vite. Lo si vedeva scendere girando e ci
aspettavamo che terminasse la manovra ed invece continuava ad avvicinarsi
sempre piu' al terreno. Lo vedevamo sparire ancora con il muso basso dietro
gli alberi dell'Isonzo e trattenavamo il respiro. Dopo un po' ricompariva
verso Savogna. Rimetteva l'aereo dalla vite nell'avvallamento dell'Isonzo
non so a quanto, forse a 20 metri. Era talmente padrone dell'aeroplano
che tutto gli veniva con una indifferenza e serenità eccezionale.
Corsi era qualcosa di trascendentale, veramente!. Tanto bravo e tanto sfortunato.
In Spagna dopo pochi voli verrà abbattuto e dovrà restare
13 mesi in prigionia.
Credimi, mi ha salvato
la guerra. Mi è sempre piaciuto bere: il vino in quantità
giuste, a pasto un bicchiere, due bicchieri, e quando capitava un cognacchino,
un grappino, una graspa. Ma se fossi rimasto a Gorizia non mi sarei salvato
più, non tanto dai colleghi ma dai borghesi. Uno di questi era Gianni
Defilippo. Un goriziano, alto, lo chiamavano "Gianni Flascutta (Fiaschetta).
Il pullman che dall'aeroporto ci portava a Gorizia fermava al bar
"Alle Ali" e terminava la corsa in Piazza della Vittoria e ricordo che
mi abbassavo, cercavo di non farmi vedere dagli amici che mi aspettavano
e che inesorabilmente ti portavano in osteria. Ricordo Sergio Pitassi,
aveva un negozio di abbigliamento. Erano tre o quattro fratelli, e lui
aveva un bel negozio in Corso. Arrivato in piazza della Vittoria scendevo
e andavo in cerca di qualche ragazza. Camminavo e mano, mano mi rinfrancavo
quando improvvisamente: "Biffi, ... Biffi!" Porca miseria sono rovinato!."Beh,
Biffi, Biffi andiamo a bere un tajut" Poi incontravi quell'altro e diventavamo
cinque o sei come minimo. Insomma dopo un'ora ero sbronzo. Veramente sbronzo.
E la serata era rovinata.
Intanto era iniziata
la guerra in Spagna. Avevo solo 200 ore di volo ma feci comunque domanda.
Mi dissero: "Ma tu sei matto". Va bene, ero matto ma ci volevo andare.
Infatti andai in Spagna, alle Baleari, dove ho totalizzato circa 300 ore
di volo, tutte sul mare.
Nell’estate
del 1937, insieme ad alcuni colleghi piloti del 4^ Stormo di Gorizia, agli
specialisti ed alcuni CR32, veniamo caricati su un treno per La Spezia
dove ci imbarchiamo su una nave mercantile, destinazione Palma de Maiorca
(Mallorca), Spagna. Dopo una sosta a Cagliari di uno o due giorni, dove
trovo il tempo per alcuni bagni e tuffi dal ponte della nave, giungo all’aeroporto
di Son San Juan, nelle Baleari. Qui oltre ai nostri CR32 ci sono anche
gli S79 ed S81. Incontro subito il caro amico Ferrulli, un “buon” pilota
oltre che un “bel” ragazzo. Il comandante e’ il tenente D’Agostinis. I
colleghi mi raccontano di un divertente episodio, D’Agostinis qualche giorno
prima del mio arrivo aveva abbattuto un Potez ed il pilota, salvatosi con
il paracadute, arrivato a terra gridava “un buque, un buque!”, voleva una
nave per scappare.D’Agostinis poco dopo il mio arrivo viene rimandato in
Italia ed a me viene assegnata la sua tuta di volo, ci stavo dentro due
volte!
Un giorno sono in
pantaloncini ed improvvisamente c’e’ una partenza su allarme. Sull’ala
del CR32 ero solito appoggiare i pantaloni, giubbotto e paracadute. Corro
verso l’aereo, indosso il paracadute, non faccio in tempo ad indossare
pantaloni e giubbotto che restano sull’ala. Durante la corsa di decollo
il giubbotto vola via mentre i pantaloni si mettono meta’ sopra e meta’
sotto l’ala. Su Soller c’era la nostra contraerea ed era proibito passare
perche’ avrebbero sparato a chiunque. Penso tra me “… io qua sopra ci passo
tanto questi non c'azzeccano mai”. Agito le ali sperando che capiscano
che sono uno dei loro ma cosi’ facendo i pantaloni si staccano dall’ala
ed a terra cominciano a sparare ai pantaloni scatenando un putiferio.
Avevamo al campo un
telefonista spagnolo di Bunol, un paese vicino, il giorno dopo mi dice:
“chi ha perso i pantaloni
in volo su Soller?”. Rispondo:
“io, perche?”
“li hanno trovati,
ma deve andare a prenderseli”
Cosi’ vado a Soller
dove distillano un’anice eccezionale e passo delle simpatiche ore.
Dopo D’Agostinis arriva
un nuovo comandante, il capitano Pratelli che vuole vedere i suoi piloti
come “volano” e li invita a montare su un CR32 senza munizioni ed esibirsi.
I piloti fanno a gara per partire per primi e far vedere quanto sono bravi.
Io dico a Ferrulli
“ … stai buono, aspetta che si consumi la benzina e che l’aereo diventi
leggero …”. Ferrulli va in volo per penultimo ed io per ultimo.
Quando tocca a me,
decollo, vado verso il mare, viro basso, basso, torno sul campo e faccio
venti, dico venti, tonneau senza interruzione, uno dietro l’altro. Ovviamente
i tonneau dovevano essere per forza perfettamente orizzontali altrimenti
avrei toccato per terra. Ero talmente basso che all’ultimo tonneau mi trovai
davanti un mulino a vento e lo evitai di un soffio. Alla fine i due piloti
scelti da Pratelli saranno Ferrulli e Biffani!. Sono gli unici piloti provenienti
da Gorizia!. Le differenze con i piloti provenienti da altri aeroporti,
Rimini, Torino, ecc. sono enormi.
Un esempio: siamo
a Gorizia ed un giorno ci vengono assegnati i CR42. Il pomeriggio facciamo
il passaggio che consiste in un giro campo, decollo, atterraggio e nient’altro.
Altro che ambientamento, stalli, ed altre manovre, o ce l'hai il “manico”
o non ce l’hai e cambi mestiere. Al mattino successivo arriva Dentis da
Torino che porta altri CR42 nuovi per il 4° Stormo. A mensa ci troviamo
allo stesso tavolo, non ci conoscevamo prima ed ad un certo punto esclama:
“Biffi, questa mattina
quando atterravo ho visto un CR42 che faceva un looping rovescio, ma chi
era?”
gli dico:
“a che ora sei atterrato”
“alle undici”
“ero io!”
“ma quante ore hai?”
“veramente ho fatto
il primo decollo ieri sera”
Dentis e’ rimasto
gelato, di ghiaccio!
Questo voleva dire
essere piloti a Gorizia! CR32 o CR42 cambia il numero, cambia la forma,
cambia il motore ma l’aeroplano per aria era lo stesso, identico, anzi
il CR42 era qualcosa meglio.
Torniamo alla Spagna,
Baleari. C’e’ un allarme, io non ho un aeroplano disponibile e mi infilo
in un rifugio. Subito dopo viene dentro lo specialista addetto all’agganciamento
del tubo dell’aria compressa agli aeroplani per l'avviamento del motore
e strilla:
“Un avion es sin piloto!”
Salto fuori, un pilota,
il s.ten. Pallavicini, nella fretta s’era messo il paracadute davanti e
non riusciva piu’ a sganciarlo. Tutto questo naturalmente in mezzo alle
esplosioni delle bombe che cadevano intorno a noi. Gli strappo il paracadute,
lo indosso, metto in moto il CR42 e decollo mentre il campo e’ ancora sotto
bombardamento.
Do tutta manetta,
o meglio tutta “tacca”, come si diceva allora. La manetta si tirava indietro
per dare potenza, a fondo corsa si arrivava a 2200 giri al minuto, c’era
poi la “tacca”, superando questa si aumentava di altri 150 giri al minuto.
Questo extra di potenza si poteva usare solo in emergenza e per pochi minuti,
si rischiava altrimenti di bruciare il motore. Mentre sono in salita vedo
ancora i Martin Bomber, bombardieri veloci, e’ una formazione di 28 aerei.
“Questi sono partiti
da Reus, Barcelona e tornano a Reus” dico tra me. La formazione vira verso
Ovest, verso Ibiza “Non mi fregate, voi tornate a Barcelona”. Li abbandono
e punto cosi’ verso Barcelona, a Nord, sempre tenendo la massima potenza,
“tirando” il motore. Se non regge, dico tra me, chiudo gli occhi, spingo
la cloche tutta avanti finche’ mi infilo in mare e tutto e’ finito. Meglio
cosi’ che un ammaraggio ed una lunga agonia in prigione.
Ad un certo punto
li vedo nuovamente, " ... avevo ragione, ... bravo Biffi!". Saranno passati
40 minuti e sto ancora salendo, saranno circa 6.000 metri di quota.
“Ora vi frego” penso. Gli arrivo addosso, loro rimangono fermi in formazione.
Forse non mi hanno nemmeno visto arrivare. Sparo ad uno che “va giu’”,
sparo ad un altro e poi dico “Basta Biffi, torna a casa, questi hanno la
radio, avvertono la caccia io sono da solo, arrivano i Rata e mi fanno
fuori!” oltre tutto ero vicino alla costa.
Verso la fine del
'37 alloggiavamo in una cascina presso l'aeroporto di Son San Juan, vicino
alla stazione radiogonometrica. Una sera vado ad osservare il lavoro degli
operatori del gonio che si occupano del rientro radioassistito di un SM
81 che aveva effettuato un bombardamento sul continente. Non e’ tempo brutto,
forse qualche nube, comunque l'operatore al radiogoniometro entra in contatto
radio, inizia con dei rilevamenti QTE e QDM ma quelli non ne tengono alcun
conto e vagano per l'area a nord di Mallorca finche' dopo circa un'ora
di vani tentativi dell'operatore addetto al radiogoniometro, quelli tacciono.
Sapremo il giorno seguente che avevano fortunosamente preso terra sull'isola
di Menorca, in mano ai repubblicani. Tutti prigionieri, e meno male che
ebbero salva la vita.
Dopo tredici mesi
alle Baleari rientro in Italia. Pratelli non voleva mandarmi via ma ero
debilitato, non stavo piu’ in piedi, tanto che ero svenuto durante il volo
riavendomi mentre l’aereo veniva giu’ in vite. Facevamo una vita
da matti. Eravamo una ventina di piloti e si andava in volo all’alba, le
missioni erano pesanti ed oltretutto rinunciavamo al riposo per andare
a ballare, bere e divertirci.
Rientrato dalla Spagna,
fui assegnato di nuovo a Gorizia, alla 73^ Squadriglia. Mi misero nella
Pattuglia Acrobatica di Remondino come gregario di riserva.
Poi arrivò
Botto, per salire sull’aereo lo aiutava Pezzè, poverino, aveva una
gamba sola. Costituimmo una pattuglia in nove, ma non ti dico che razza
di programma! Ben 45 minuti di programma. Fuori da una figura, dentro nell'altra,
in nove!
Poco dopo inizio'
la guerra e col CR42 fui trasferito a Comiso da dove si operava su Malta.
Tutto da ridere, capirai. Quanta acqua c'era pure li' ! Una volta con un
mitragliamento su Alfar fui colpito sull'alettone sinistro, che mi
rimase bloccato in basso. L’aereo si sarebbe messo a fare un tonneau dietro
l’altro e allora ho dovuto contrastarlo e continuare a volare con tutto
l’alettone destro in basso, cloche a sinistra, per compensare quell'altro
e rimasi solo. I miei colleghi mi lasciarono perchè pensavano che
fossi stato abbattuto. Andai a finire a Catania, perche' l'aereo "la' voleva
andare", per me dove andava, andava. Atterrai a Catania, me lo misero a
posto e tornai a Comiso.
In luglio fummo trasferiti
in Libia. Ero a Bengasi con tutto il Gruppo e dovevamo partire per un'
azione il pomeriggio. Saremmo andati a El Adem (Tobruk) che era la nostra
base operativa. Decollammo e subito dopo il mio motore si mise a vibrare.
Tra me dico: "Non posso continuare la missione. Sara' una candela, un magnete.
Torno indietro,faccio sistemare, riparto e li raggiungo". Atterrai
e mi misero a posto il motore. Era infatti una candela che non funzionava
e questo causava le vibrazioni. Il maresciallo Turchi aveva una candela
sola, mi sistemo' subito il motore, era bravissimo.
Botto era rimasto
a terra perchè aveva alcune cose da sistemare. Gli dissi:
"Comandante, vado
via subito. Li raggiungo a El Adem. Faccio in tempo a ...
"No, no, andiamo via
insieme. Facciamo insieme l'azione"
"Comandante ... "
"Ho detto di no. Andiamo
via insieme!"
"Va bene"
Siamo cosi' partiti
il pomeriggio e quando siamo arrivati a El Adem i colleghi avevano gia'
portato a compimento l'azione ed erano rientrati. Sette dei nostri erano
stati abbattuti. Sette della 73^! Io sarei stato tra costoro senz'altro.
Ho avuto fortuna.
Il 9 dicembre 1940
sono stato fatto prigioniero. Per me la guerra era finita!. E' stata la
mia salvezza. Siamo partiti in 78 piloti ed alla fine della guerra abbiamo
avuto 83 morti. Com'e' possibile? Per ogni pilota che "andava di sotto"
ne arrivava un altro. Abbiamo avuto cinque prigionieri. Io ero uno dei
cinque.
Hai sentito parlare
di Sergio Stauble? Era di Venezia ed eravamo molto amici, gli facevo dei
dispetti madornali, di tutti i colori, pero' mi voleva bene ed io gli volevo
bene e lo stimavo moltissimo. E’ morto al largo della Sicilia durante un
volo di trasferimento in Africa. A proposito potresti sentire che fine
ha fatto la sorella che dopo la sua morte abitava a Gorizia . [A seguito
di ricerche ho accertato che dopo la morte di Stauble, la sorella si era
riunita alla famiglia a Venezia e negli anni '40, durante un bombardamento
su Mestre, mentre si trovava in un bunker, e' morta insieme ad un altra
sorella ed i genitori. E' sopravvissuto solamente un fratello].
Dicevo, il 9 dicembre
... la sera prima Botto ci aveva detto:
"Domani mattina verso
le 09.00 si parte".
Eravamo ad El Adem
in Libia nella stessa tenda io e Stauble. Al mattino sveglio Sergio:
"Dai, Sergio, via
che c'e' l'azione, dai c'e' l'azione .... e va in malora!".
Non riuscivo a buttarlo
giu' dal letto era come morto:
"Va all'inferno!".
Monto sul pullman
e andiamo in linea. Botto mi fa:
"... e Stauble?"
"Non s'e' voluto alzare"
"Va beh, vieni tu"
"Vengo io!"
Siamo andati in volo
e sono ritornato in Italia 63 mesi dopo.
Torniamo indietro
prima di quel 9 dicembre: come pilota ero in un certo qual modo considerato,
quindi stimato:non andavo male e pertanto non avevo usurpato niente. Cosi',
quando arrivavano da Roma capitani, maggiori, colonelli per fare quattro
o cinque missioni tanto per dire " ... ho fatto la guerra dammi la promozione",
li assegnavano al sottoscritto come gregari. Quindi avevo questa zavorra
da portarmi appresso. Quelli sapevano appena stare in volo, avevano fatto
un passaggio ordinario sul CR42, quindi avranno avuto un’esperienza di
volo di10 ore, … ma quali 10 ore, 5 ore di volo massimo.
Quel fatidico 9 dicembre
avevo come gregario il sottotenente Querci che poi si e’ ammalato, tumore,
si è suicidato. Mentre siamo in quota mi fa un gesto indicando dietro
(non c'era la radio). Sempre a gesti gli rispondo:
"Dove? Dove sono?"
"Oh!, porca miseria.
Allora ci sono veramente!" dico tra me "Ma dove? non li vedo". Querci da
tutto motore e si sfila, si va mettere in mezzo agli altri, sotto le ali
della chioccia.
E allora sparo per
avvertire Botto. Alla prima raffica vedo Botto che accenna un rovesciamento.
Io tiro subito su e mentre sono con il muso in alto, vedo passare
tre "Hurricane". Dunque non li vedevo perchè li avevo proprio sotto
la pancia e quasi sicuramente mi aveva già collimato. Mi sono passati
avanti, quindi saranno stati forse a 200 metri, a 300 metri al massimo.
Vado su, in candela,
e vedo la 73^ Squadriglia avanti, questi tre Hurricane in mezzo e dietro
a loro la 96^ Sq. e la 97^ Sq. Tutta una candela che andava fino a terra.Mentre
sono nella mischia, vedo che un Hurricane taglia la corda. Evidentemente
deve essersi guardato alle spalle e vista quella fila di musi ha pensato
di squagliarsela."Non si fanno queste cose, ora (mo') te sistemo io!"
Continuo a salire,
ero il più alto di tutti, poi mi butto giù con tutto motore,
... gli arrivo addosso ... riduco motore e metto i giri entro i 1850 e
i 2250 perchè altrimenti ti tagliavi l'elica, come successe a Gon
e come successe ad altri.
Si, perchè
l'elica andava fuori sincronizzazione,e il colpo partiva quando la pala
dell'elica passava davanti alle armi. Eh i nostri tecnici, ... grandissimi,
sai? Il meccanismo di sincronizzazione delle mitragliatrici che sparano
attraverso l'elica è semplicissimo, è elementare ma dico
io non potevano montare le armi sulle ali come tutti gli altri? E allora
andate all'inferno! Avete vinto tutti i record, battuto tutto, conquistato
tutto quello che c'era da conquistare per aria e ci mandate senza radio,
senza corazza, il serbatoio della benzina sotto il sedere. Ma noi andavamo
su tranquilli, sereni e quando rientrava la formazione, il pilota che era
rimasto a terra, successe a me più di una volta, tirava moccoli
e pugni perchè in quel combattimento lui non c'era.
Uno del quale non
faccio il nome, della 73^ Squadriglia che tu hai conosciuto anche di persona,
mi diceva:
"Biffi, questa guerra
la perdiamo. Biffi, non possiamo, non possiamo combattere contro questi.
I nostri aeroplani sono inferiori"
Un bel giorno dissi:
"Senti, o la pianti
o ti denuncio, perchè questo non devi dirlo a me”
Come dicevo ... quando
gli sono addosso apro il fuoco. Collimo, vedo i proiettili esplosivi che
scoppiano nell'ala. Non succede nulla, perchè? Non c'è benzina?
Nell'altra ala la stessa cosa, scoppiano, nulla. Sparo nel motore, nulla.
Le vedo bene le traccianti e poi non era la prima volta che sparo.
A Gorizia prendevo
il palloncino che innalzavano con 10 colpi.
Nel frattempo perdo
velocità. Quello con tutto motore si sfila "... va beh arrivederci!".
Viro per riportarmi
verso ovest e tornare verso El Adem. Poi guardo indietro, vedo che sta
tirando su e virando anche lui. Quindi non gli ho fatto niente. Ma come,
gli scoppiavano i proiettili addosso! Allora dico "... dai Biffi, tira
su".
E tira su anche lui
e cosi' ci troviamo appiccicati per aria. Sai, li' è un istante.
Se prendi la decisione giusta bene, senno' sono guai seri. Somma le due
velocità ed arrivi in un istante alla distanza di tiro, saremmo
stati alla fine della virata a circa 500 - 600 metri l'uno dall'altro.
Prima che questo mi prenda in coda, dico tra me, gli sparo di muso. Sparo
di corsa, senza guardare il collimatore.
Vedo le traccianti
che gli arrivano addosso. Un bel momento le sue semiali si illuminano e
contemporaneamente il mio aeroplano prende fuoco. E' stato un attimo!.
Mi sono arrivati addosso, capirai, i proiettili di otto armi contemporaneamente,
quattro su ogni semiala, calibro piccolo tant'e' che collimavano sui 300
metri. Otto armi che collimano in un punto fanno un disastro!
A quel punto mi sono
rovesciato. Io ero solito fare una manovra, il looping "rovescio". Nel
fare questa manovra esce la benzina e prende fuoco il motore. Allora prima
di iniziare chiudevo la benzina e toglievo contatto e poi "rovesciavo".
Quando ero sopra, riaprivo la benzina e ridavo il contatto. Fu una fortuna
per me perchè questa mano istintivamente ha tolto contatto e chiuso
la benzina. Con mia sorpresa l'incendio si e' spento.
Nel frattempo pero'
mi ero rovesciato e sciolto per lanciarmi. "No!" dico "non mi lancio perchè
quello mi spara". Infatti la RAF sparava addosso al paracadute, l'aeroplano
lo trascurava. Hanno cominciato prima gli americani, poi anche gli inglesi
o meglio, non so se fossero inglesi o neozelandesi ma erano della RAF.
Quindi era un ordine che avevano ricevuto. Un nostro aereo, non era del
4° Stormo, atterro' vicino a Bardia perche' colpito, l' Hurricane gli
ando' appresso, non sparo' sull'aeroplano, sparo' sul pilota che correva
per allontanarsi.
Come ti dicevo mi
ero rovesciato per lanciarmi, mi tenevo con i piedi sul seggiolino attaccato
al parabrezza,. Quanto tempo ci vuole per rovesciarti? Un secondo? In quel
secondo avevo fatto tre cose: contatto, benzina e sciolte le bretelle.
E m'ero dato uno slancio. In quell'istante, l'incendio si e' spento. Decido
di rientrare. Eh si, e' una parola. Mettiti un po' sottosopra con l'aeroplano
e rientra. Sono rientrato. Non lo so come, ma sono rientrato.
Per fortuna l'aereo
continuava a volare rovescio senza imbarcarsi nonostante avessi mollato
la cloche. A quel punto dovevo andar giù a candela ed avvicinarmi
al mare. Sotto c'era il deserto, chi mi avrebbe trovato?. Mentre scendevo
continuavo a guardarmi intorno per cercare l'inglese finche' l'ho visto
con una scia di fumo che perdeva quota. Arrivato per terra è esploso.
"Pigliatela in saccoccia!"
"Beh," dico "allora
cerca di andare più vicino che puoi alla strada, sfrutta la quota".
Ho provato a riaprire la benzina e mettere il contatto. Fuoco! Basta, non
se ne parli più! Usciva la benzina, quindi mi avra' colpito i tubi
vicini al convogliatore di scarico. No, il serbatoio non era colpito, mi
aveva sparato di muso, il serbatoio era protetto dal motore.
Atterro in mezzo ai
carri armati inglesi. Mi mettono su una camionetta e viaggiamo tutta la
notte. La mattina arriviamo all'aeroporto di Marsamatruk dove c'e un concentramento
di prigionieri italiani. Mi fanno scendere, mi consegnano, resto in attesa
col caschetto e le mani nelle tasche, capirai quanto ero allegro!
Mi si avvicina un
individuo in uniforme. Lo guardo e penso: "ha il distintivo con l'aquila,
questo è un pilota!". Mi viene vicino, mi fa:
"Buongiorno, che è
successo?"
Parla italiano, anzi
fiorentino.
"Ieri ho avuto un
combattimento ed eccomi qua. Lei conosceva il signore inglese che ho abbattuto,
era un suo collega?"
"No, no, lui comunque
è rientrato".
Evidentemente s'era
lanciato, il paracadute non l'ho visto perche' è rimasto sopra,
io guardavo sotto.
Dunque gli faccio:
"Lei è molto
tempo che è qui?"
"Si, dall'inizio della
guerra".
Era dicembre, erano
trascorsi sei mesi, volava sui Blenheim.
"Da dove viene lei?"
"C'è scritto
sull'aeroplano: 4° Stormo"
"Dov'è il 4°
Stormo?"
"El Adem"
"Ah la!, ieri ve l'abbiamo
date eh?"
"Ah, lei era uno di
quei tre Blenheim?"
"Si!".
Al mattino avevamo
avuto ordine tassativo di non decollare neppure se ci avessero bombardato.
Verso le 10, "Allarme, allarme, allarme!" Passano tre Blenheim, sganciano
le bombe, fanno una gran cagnara ma nessun danno, son cadute fra gli hangar
e gli edifici, la mensa ... tutte le bombe in fila, non han fatto nemmeno
un buco nelle lamiere degli hangar.
"Si, ci avete bombardato,
ma non avete fatto niente assolutamente perchè ... " gli faccio
uno schizzo sulla sabbia " ... qua, qua, qua …siete passati ma senza danneggiare
nulla. Pero' se doveste tornare, qui c'è un edificio, all'ingresso
dell'aeroporto"
"Si, si"
"Bene, quello salvatelo"
"E perchè?"
"Perchè dentro
ci sono le donne"
"Come sarebbe a dire?"
"Le donne, le donne
... parliamo d'altro ... Lei allora che è tanto tempo che è
qua, sa qualcosa dei miei colleghi che non sono rientrati?"
"Mi dica, mi dica
i nomi"
"Bir El Gobi, Renzi"
"Abbiamo trovato il
suo cadavere nei rottami dell'aeroplano".
Era Norino Renzi!,
L'avevano già trovato, subito e nessuno di noi lo sapeva. Loro avevano
i mezzi che giravano nel deserto, le camionette, la facevano seriamente
la guerra, noi no! Dei venditori di vasetti come siamo stati noi. Non noi,
che combattevamo. Continuo ad elencare i nomi dei colleghi:
"il colonello Piraggino"
"Prigioniero"
"il tenente Lanfranco"
"Prigioniero"
"Corsi"
"Ah, quello ci è
costato caro!" proprio, credimi, fece: "Ahh!"
"Perchè?"
"Quello ci è
costato caro"
"Perchè, come
ando' il combattimento?"
"Si e' trovato da
solo in mezzo a cinque Hurricane e ne ha abbattuto tre!".
Me lo disse in inglese
questo.
Di Ugo Corsi nessuno
ne ha mai parlato. Io ho cercato di contattare, di trovare notizie attraverso
l'Ambasciata, attraverso l'Addetto Aeronautico inglese, non ci sono riuscito.
Perchè non è giusto che Corsi sia caduto nel dimenticatoio.
Tanto era una persona a postissimo, bell'uomo, simpatico, pilota unico.
"Quello ci è costato caro. Da solo in mezzo a cinque Hurricane,
ne ha abbattuti tre, ... da solo ne ha abbattuti tre!". Poi è stato
sopraffatto dagli ultimi due. Mettiti un po' da solo in mezzo a cinque
Hurricane con un CR42, te lo immagini? Questo me l'ha detto l'inglese eh?
Lo sapevamo già noi, perchè da Bardia era stato visto il
combattimento, quindi si sapeva. Dall'aeroporto di Bardia, li' nel golfo
di Sollum, li vedi gli aeroplani.
Ugo Corsi di Pirano
d'Istria. Torno' dalla prigionia nel '38. Raccontava che appena catturato
ci fu una visita della "Pasionaria" una famosa comunista:
"estos quien son?"
"pilotos italianos"
"y che esperais a
matarlos?".
(Questi chi sono?
Piloti italiani. Che aspettate ad ammazzarli?).
Dal giorno dopo, la
mattina li bendavano, li portavano in un certo posto, una scarica di fucileria.
Sparavano per aria. Perchè questo? Li liberarono grazie ad uno scambio
con piloti rossi. Erano preziosi, altrimenti li avrebbero uccisi tutti.
La prigionia: Prima
in Egitto, a Ismailia, poi in Palestina, Latrun. La fame, la fame !. Poi
in India a Dehra Dun, a Yol c'erano gli ufficiali.
Dopo un anno
o due, ci trasferirono a sud di Bombay, a Bophal. Dopo l'otto di settembre
del '44 decisi di "cooperare", come tanti di noi, ... seguendo l'esempio
del Re (!).
Partiti dall'India
con il caldo, arrivammo in Inghilterra, a Glasgow che c'era la neve,
era gennaio. Sono rimasto in Inghilterra fino al rimpatrio avvenuto nel
'45 o '46. Dopo un mese di licenza premio e ho chiesto di rientrare al
Reparto e son tornato cosi' a Lecce al 4° Stormo ed ho ripreso
a volare naturalmente dopo un po' di "doppio comando."
Anche dopo Lecce son
rimasto al 4° Stormo poi sono stato trasferito a Napoli, a Capodichino.
Li' c'erano i Mustang,
bei aeroplani ... il piu' bell’ aeroplano e' stato pero' il Lightning.
Una meraviglia.
Quando mori' mio padre,
per ragioni di famiglia, rimasi a disposizione a Torino. Superato questo
periodo, tornai in servizio come avevo chiesto e mi mandarono alla DAT,
Difesa Aerea Territoriale.
Andai poi a Parigi
a frequentare il corso per istruttore di GCA Ground Controlled Approach
(Avvicinamento Controllato da Terra con il radar). Tornato nuovamente a
Torino avevo due aeroplani a disposizione, un Savoia Marchetti 102 ed un
C45 e con questi volavo ed facevo l'istruttore di procedure GCA.
Il 4° Stormo da
Capodichino si trasferi' a Pratica di Mare, quindi a due passi da Ostia.
Chiesi ed ottenni cosi' di andare là, sempre quale operatore GCA.
Al Colonnello Verrengia
dissi:
"Comandante, io voglio
volare sull'aeroplano sul quale volate voi"
"Sul F86?. Va buono,
va buono!"
Era un napoletano,
una persona carissima.
Volai anche sul T33
ed il Vampire.
Andai in pensione
dall'Aeronautica Militare nel '60 e dopo poco tempo incontrai, o meglio
mi cerco', il comandante Staffieri. Mi disse:
"Noi stiamo costituendo
una Società, ti interesserebbe?"
"Come no?"
Conseguii cosi’ anche
il brevetto di Terzo Grado e di Ufficiale di Rotta e venni assunto dalla
SAM dove volai con il DC6 e col Caravelle. Rimasi alla SAM finchè
chiuse e poi mi assorbi' l'Alitalia dove continuai a volare sul Caravelle.
Non avrei potuto fare
il comandante in quanto non avevo il titolo di studio di scuola superiore.
Il comandante Rambaldi, un amico, un bolognese, parlo' con Rech il nostro
Capo Pilota. Mi mise in addestramento al Comando con un certo Mucci sul
DC 6. Un mese circa assieme, non mi disse mai una parola: "tu hai sbagliato,
avresti dovuto fare … "hai fatto bene, hai fatto male". Mai niente, io
facevo quello che facevo di solito. Un bel giorno vado in linea, dovevo
fare un altro volo con Mucci ma viene il Capo Pilota e mi dice:
"Facciamo un controllo,
Biffani"
Andiamo in volo ed
arrivati su Ciampino, il Controllore del Traffico Aereo ci mette in holding
ed io stupidamente, ero nel pallone completo, entrai in holding con virata
a destra. Era invece con virata a sinistra.
Lui disse:
"Basta, basta!"
Mi tolse i comandi
dalle mani e andammo a terra. Non mi fece abile al Comando. Avevo 13.400
ore di volo, non erano da buttare via e cosi' andai a volare in Libia.
Erano gli anni '78
- '79 e mi mandaronoa a Gat, avevo 62 - 63 anni. Non ero poi da buttar
via come pilota.
Un giorno ero in volo
con l'allievo nella mia area e vedo avanzare da Nord verso Sud un banco
di ghibli formidabile che non avevo mai visto. Avverto la torre e dico:
"Fate rientrare immediatamente
tutti perchè si chiude l'aeroporto".
Tornai subito sul
radiofaro, mi misi sopra a tutti e aspettai che l'ultimo avesse atterrato
ma nel frattempo si era chiuso l'aeroporto. Chiuso di brutto.
Dissi all'allievo:
"Adesso ti faccio
vedere un avvicinamento senza visibilità. Stai bene attento a quello
che faccio".
Non credo che abbia
capito molto quello che stavo facendo, era un allievo alle prime armi.
Lascio il radiofaro
in allontanamento e comincio a scendere per iniziare la procedura strumentale
di avvicinamento. Risorvolo il radiofaro alla quota prevista per l'avvicinamento
finale, ho il radiofaro in coda, la lancetta e' spostata un po' sulla destra
rispetto al valore previsto. "Voglio stare tra la pista e il raccordo"
dico tra me "Se non vedo uno, vedo l'altro", giusto?. Scendo, un bel momento
vedo sulla sinistra il bordo del raccordo, accosto a destra e mi poso.
Chiudo il motore e chiamo la torre:
"Mandatemi il follow-me,
non posso rullare, non ci vedo!".
Insomma un avvicinamento
con visibilità bassissima! Credimi, quando arrivava la sabbia eran
dolori. Non potevi neanche rullare per andare al parcheggio.
Arrivato al parcheggio
c'era un colonnello, una brava persona, che mi disse:
"Lei li fa fuori tutti,
questi qua!".
"Questi qua". Non
li classifico' diversamente. Dico: "In Compagnia hanno speso milioni per
addestrarci, se non abbiamo capito niente siamo proprio dei deficienti!".
Insomma, rientrai
e Salvaneschi, che era il nostro comandante, una bravissima persona, mi
disse:
"Biffi, che fai adesso?.
Vuoi venire con noi?"
Avevano appena fondato
una Compagnia Aerea a Bologna o Parma, non mi ricordo. Avevano due o tre
Caravelle ma non disponevano di piloti qualificati. Mi disse:
"Con i secondi che
ci sono, non ci posso volare. Dai, vieni tu!"
Feci alcuni voli con
loro come secondo pilota.
Un giorno mi scadeva
il brevetto di volo ed andai all'ufficio brevetti di Bologna, da Belleu
per rinnovarlo. Lui lo guardo' e disse:
"Ma lei non puo' mica
portare passeggeri a pagamento!"
"E perchè?"
"Sopra i 60 anni non
puo'!"
E va beh, e allora
dico:
"Basta, finisce cosi'!".
3.Vincenzo Patriarca
Per poter volare sono
stato costretto ad andare in Italia. Non avevo altra scelta. Negli USA
volare costa caro. Un corso di volo avanzato per il conseguimento della
licenza di pilota commerciale costa intorno ai duemila dollari. In realta’
anche di piu’ poiche' bisogna aggiungere le spese per il vitto e l’alloggio.
Esiste un'altra soluzione:
arruolarsi nell'Aeronautica Militare americana. Ma quali possibilità
ha un semplice aviere di diventare pilota ? Puo’ darsi che qualcuno si
accontenti di rifornire di carburante gli aerei, sedere ai comandi per
riscaldare il motore, togliere i tacchi dalle ruote e guardare qualcun
altro decollare. A me queste esperienze frustranti non interessavano.
Di solito andavo all'aeroporto
di Long Island con in tasca solo il denaro per l'autobus e trascorrevo
il tempo guardando gli aerei e torturandomi. Andai per la prima volta in
quell'aeroporto nel 1931 per alcune lezioni di volo. Ero riuscito a risparmiare
un po' di denaro facendo lavori occasionali nella darsena degli yachts
nella periferia di New York, vicino a casa mia.
Avevo 17 anni ed ero
affascinato dal volo. Mio padre che sembrava comprendere ed incoraggiare
la mia ambizione per il volo mi aiuto' nelle spese del corso. Avevo venti
ore di volo come "solo pilota" al mio attivo e stavo per sostenere la prova
d'esame per ottenere la licenza di pilotaggio, quando una disposizione
governativa cambio' il regolamento e porto' a cinquanta ore le venti previste.
Fu un colpo disastroso per me. Sapevo che le mie possibilità di
trovare il denaro sufficiente per pagare le trenta ore addizionali erano
molto remote.
In quel momento non
vi erano molti lavori precari per i giovani, nel Bronx dove vivevo io quasi
tutti erano disoccupati.
Una mattina d'estate
subito dopo l'alba andai all'aeroporto per osservare un amico che stava
allenandosi nel volo acrobatico. A quell'ora del mattino di solito l'aria
è fresca e calma, perfetta per l'acrobazia. Non c'è turbolenza
nell'aria ed il velivolo risponde docilmente. Nelle altre ore del giorno
non potete immaginare il ballo che si incontra effettuando dei tonneau
od una serie di stalli.
Quel mattino osservai
a lungo le acrobazie del mio amico e poi mi recai nella sala piloti. Ero
pieno di rabbia per la mancanza di mezzi che mi costringeva a terra. Mi
lasciai cadere sconfortato su una sedia e distrattamente raccolsi una rivista
di aviazione che qualcuno aveva lasciato e cominciai a sfogliare
le pagine.
Improvvisamente trasalii.
"I figli di italiani residenti all'estero" - queste erano approssimativamente
le parole - "che intendono frequentare corsi di pilotaggio possono essere
addestrati a spese del Governo italiano presso le Scuole di Volo. Rivolgetevi
al Consolato italiano per ulteriori informazioni".
Lessi e rilessi queste
parole, quindi con un grido di gioia corsi fuori. Molto prima che il Consolato
italiano di NewYork aprisse ero già ad aspettare. Finalmente, quando
il console mi ricevette, ero cosi' emozionato che potevo a malapena parlare.
Il novembre successivo
al Ministero dell'Aeronautica di Roma appresi che ero il primo americano
ad approfittare della generosa offerta dell'Italia. In seguito incontrai
altri compagni che erano venuti come me dall'estero alle Scuole di Volo
italiane.
Fui assegnato inizialmente
ad un gruppo Osservatori. Il mio addestramento cominciò cosi' all'aeroporto
di Grottaglie, nel Sud Italia, noto per la serietà degli istruttori
e proseguì poi all'aeroporto di Gorizia, vicino Trieste, fucina
di brillanti piloti.
Dopo circa tre mesi
trovavo molto noioso starmene seduto nel cielo e scattare fotografie. Il
mio compagno, Ernesto Monico, odiava anche lui questo lavoro. Ottenemmo
la qualifica di "osservatori" e poco dopo fummo trasferiti al prestigioso
4° Stormo Caccia, che stava sul lato opposto dell’aeroporto, il tutto
grazie ad un “fortuito incidente”.
Un giorno, mentre
io e Monico stavamo provando due aerei Caproni, ci dirigemmo verso il vicino
Adriatico. Questi aerei erano pesanti e non era il caso di tentare l'acrobazia.
Pero' ci sentivamo cosi' ringalluzziti che nel volo di ritorno volammo
per un po' con le estremità delle ali che si toccavano.
Era un divertimento
pericoloso e severamente vietato dai regolamenti. A nostra insaputa, il
comandante stava volando un migliaio di metri più alto. Questo giochetto
ci costo' dieci giorni di arresti senza paga. Un mese più tardi
fummo trasferiti al 4° Stormo dove, cosi' ci fu detto, avremmo potuto
sfogarci come avremmo voluto.
Nell'agosto 1935 sentimmo
per la prima volta parlare di piani per invadere l'Etiopia. Come cittadino
americano all'inizio non avevo l'intenzione di andare, ma in seguito cambiai
idea e mi offrii volontario.
La primavera dell’anno
dopo trascorsi due mesi all'ospedale di Napoli tentando di dimenticare
Massaua sul Mar Rosso, dove all'ombra c'erano "solo" 52° centigradi
ed i comandi di volo erano cosi' caldi che non si potevano toccare; Asmara,
dove di notte la temperatura scendeva sotto lo zero, duemilaquattrocento
metri sul livello del mare; Gura, dove pattugliavamo il confine sapendo
molto bene che fine avremmo fatto in caso di atterraggio forzato in territorio
nemico; Assab, ancora più calda di Massaua, dove non era raro vedere
un pilota smontare dalla carlinga ed accasciarsi svenuto.
Giacendo nel mio letto
d'ospedale, ricordavo in ogni dettaglio l'unica vera azione di guerra cui
avevo preso parte il giorno di Natale del 1935, quando ci trovammo sopra
una mitragliatrice della contraerea nascosta sotto un albero e la mettemmo
fuori uso mitragliandola in picchiata. Fu una piccola vendetta personale
per la sorte di due compagni rinvenuti presso i rottami dei loro velivoli
e scuoiati vivi, con i cuori strappati ed al loro posto infilate le scarpe.
Stavo molto male ma
dopo qualche tempo, una volta ristabilito, fui lieto di ritrovarmi
di nuovo al mio Reparto a Gorizia, con "solamente" un'ulcera allo stomaco.
Una sera di agosto mi fermai ad un caffè al ritorno dal cinema.
Ad un tavolino sedeva un uomo alto con i capelli grigi che giocava al solitario.
Improvvisamente mi
fece segno di raggiungerlo e con mia sorpresa mi chiamo' per nome. Prese
un piccolo calendario dalla sua tasca e indicandomi una data mi chiese
se sapevo cosa significasse:
"Domenica, 19 luglio
…."
Scossi la testa. Mi
spiego’ che era la data ufficiale dell’inizio della Rivoluzione spagnola.
La cosa interessante
di tutto questo era che il governo ribelle offriva 200 dollari al mese,
tutte le spese, comprese le sigarette, se fossi andato in Marocco a combattere
per il generale Franco con la Legione straniera spagnola.
Tutto questo poteva
andarmi bene, ma una cosa mi preoccupava: che aeroplano mi sarebbe stato
assegnato? Avevo sentito che c'erano pochi aeroplani decenti in Spagna
da ambedue le parti belligeranti.
"Che aereo vuole?"
"Un Fiat, … sono i
migliori"
L’agente spagnolo
scosse la testa:
"Impossibile, non
ce lo possiamo permettere, ma non preoccuparti, avrai un buon aereo"
"No - risposi - non
accetto se non mi viene assegnato un Fiat"
In passato non avrei
mai accettato di rischiare la vita per un paese straniero, ma ora improvvisamente,
quando fu chiaro che tutto dipendeva solo da me, non vedevo l’ora di partire
per la Spagna. Non avevo mai provato una simile sensazione, non avrei mai
pensato ad una simile eventualità’.
Per essere sicuro
di partire ed avere l’aereo che desideravo, mi recai in banca e prelevai
tutti i miei averi, circa 15.000 lire. Con quel gruzzolo ottenni quello
che volevo.
Il 22 agosto ero già
in Marocco dove cominciai le prime esperienze di guerra. Il mio primo volo
in Spagna fu su un Junker adibito al trasporto passeggeri, con due piloti
e due meccanici, tutti tedeschi.
A bordo c’erano anche
alcuni ufficiali spagnoli e marocchini. Sul pavimento erano sparse dieci
bombe da 500 libbre.
A meta’ strada da
Seville (Siviglia), nostra destinazione, incontrammo forte vento e le bombe
cominciarono a rotolare sul pavimento dell’aereo. Fortunatamente eravamo
vicini a Jerez, territorio degli insorti. Atterrammo e fissammo le bombe
con sacchetti di sabbia per evitare che continuassero a rotolare.
Improvvisamente un
meccanico dagli occhi spiritati mi disse di fare attenzione agli aeroplani
che volteggiavano intorno a Seville.
Ero ancoro scosso
da questo avvertimento della mia prima missione di guerra, quando a circa
20 minuti dalla citta’ vidi un puntino in avvicinamento ad una velocità
terrificante. Era un biplano. Ci volle un bel po' di tempo per sapere se
era amico o nemico.
Gli aerei franchisti
come emblemi per distinguersi avevano una croce nera sulla coda e un disco
nero sulla fusoliera e sotto le ali. Gli aerei repubblicani, portavano
due cerchi rossi separati da una striscia rossa sulla parte superiore e
inferiore delle ali e una bandiera rossa quadrata dipinta sulla coda.
Mentre lo Junker virava
per allontanarsi, sparai alcuni colpi per scaldare le mie mitragliatrici.
Non fu necessario, le insegne che vidi erano come le mie, non solo, notai
anche qualcosa di familiare nel modo di pilotare l'aeroplano.
Quando entrammo in
formazione stretta e le nostre estremità alari erano pochi piedi
l’una dall'altra, ci scambiammo un cenno di saluto, quindi l'altro pilota
sollevo' gli occhialoni e sorrise: era il mio compagno di Gorizia, Ernesto
Monico!
Subito dopo il nostro
incontro nel cielo di Seville, Monico, che era un ufficiale, "mosse alcune
maniglie" per trasferirmi alla loro base di operazioni a Caceres.
Lo stesso giorno ebbi
il mio battesimo del fuoco. Stavamo tornando a Seville scortando i nostri
bombardieri dopo un’azione coronata da successo, quando dalla mia destra,
da un banco di nubi, venne fuori in picchiata un aeroplano da caccia color
rosso ad ala alta, filante e preciso come una freccia, che si avvicino'
al bombardiere.
Il mio compito era
proteggere il bombardiere che scortavo. Mi inclinai e gli virai incontro,
ma lui aveva picchiato passandomi sotto sparando selvaggiamente senza colpire
ne' me né il bombardiere che lo aveva evitato virando con 90 gradi
di inclinazione.
Era un aereo molto
veloce che si arrampicava molto bene. Quando riuscii a mettermi in coda,
cabro’ violentemente effettuando rapidi rovesciamenti per sganciarsi e
portarsi fuori tiro.
Improvvisamente picchio'
di nuovo, prese velocità e parti’ per un looping. Capii che
cercava il combattimento, ma il suo looping era piu’ ampio.
Stando incollato alla
sua coda strinsi ancora il mio looping. Giunti al culmine, stavamo
volando rovesci, quasi sospesi nel vuoto e aderenti al sedile grazie alle
bretelle.
Erano momenti difficili,
ma ero all'interno del looping. Prontamente puntai il collimatore telescopico
su di lui, partirono le mie traccianti che colpirono in pieno la sua fusoliera.
Vidi l'aereo entrare
in vite incontrollata, eravamo a circa 8000 piedi, (2440 metri). Mentre
precipitava, percepivo il sudore sgorgare da tutto il mio corpo e pregai
che si lanciasse col paracadute.
Quando rientrai alla
base i colleghi si complimentarono per l’abilita’ che avevo dimostrato
in occasione del mio primo combattimento aereo. L’equipaggio del bombardiere
mi abbraccio’ a lungo riconoscente per lo scampato pericolo ed alla sera
ebbi un elogio ufficiale.
Ma quella notte, per
la prima volta della mia vita, non potei dormire. Andai nella chiesa più
vicina e pregai per l'uomo che avevo abbattuto, ma cio’ non mi fu di molto
aiuto.
Il peggio doveva ancora
venire. Quando raggiunsi la mia squadriglia a Caceres, venni a sapere che
Monico era stato abbattuto dall’asso repubblicano Felix Urtubi e catturato
vivo dietro le linee nemiche. E non era tutto, un nostro informatore -
che era stato testimone oculare dei fatti- aveva riferito al nostro
comando di Caceres che Monico era stato trattato in modo disumano. Consegnato
ad una folla di donne inferocite che simpatizzavano per i repubblicani,
le stesse donne che si vedono nei filmati propandistici, queste lo avevano
graffiato, sputato addosso e strappati i vestiti. Sotto il sole ardente
gli avevano attaccato alle braccia ed alle gambe i finimenti di quattro
cavalli poi lanciati ciascuno in una direzione diversa. Squartarono il
suo giovane e fragile corpo trascinando i miseri resti sull’arsa terra
spagnola. La folla impazzita esultava di compiacimento.
(Il diario "Viva la
muerte” di Ruggero Bonomi, capo della spedizione italiana, riporta che
Monico si era lanciato col paracadute e aveva preso terra incolume a circa
sette chilometri da Talavera verso Oropesa. Fatto prigioniero da un gruppo
di miliziani in ritirata era stato ucciso a rivoltellate. Successivamente
gli autori vennero identificati dalle truppe nazionali e a loro volta fucilati.
NdR)
Ora avevo solo un'idea
in mente: anche a costo di morire avrei vendicato Monico!
Mentre il mio aeroplano
era in manutenzione, dipinsi una testa di indiano sulla fusoliera con una
penna per ciascun aeroplano che avevo abbattuto. Sopra la testa scrissi:
“MONICO PRESENTE” ed altrettanto fecero i miei compagni di squadriglia.
Era un modo, tipicamente
italiano, per ricordare una persona amata che era scomparsa. Monico era
costantemente presente nei miei pensieri ed ora chiunque avesse rivolto
lo sguardo ai velivoli della sua squadriglia si sarebbe ricordato di lui.
Nel giro di un mese
il mio meccanico dipinse due altre penne sulla testa di indiano.
Un giorno uno dei
nostri piloti, non ancora ventenne e senza esperienza di combattimento,
mi venne incontro mentre ci preparavamo per partire, ripetendomi
nervosamente:
"Dimmi Patriarca,
cosa debbo fare?"
Lo guardai e per la
prima volta ero provavo una strana sensazione nel trovarmi in Spagna.
"Stai tranquillo,
Cenni" - dissi - "stai tranquillo!"
Continuavo a pensarci.
Avevo la sensazione che quel giorno qualcosa di diverso sarebbe accaduto.
Stavamo effettuando
una missione di vigilanza su Talavera e Toledo, in una bella domenica calda.
Avevamo portato a termine la missione senza incidenti quando le squadriglie
di Salamanca vennero a rilevarci per il cambio.
Mentre viravamo per
ritornare al nostro campo, vidi due bombardieri nemici e tre aerei da caccia
con la parte superiore delle ali mimetizzate, a circa 500 metri piu’ in
basso.
A gesti lo segnalai
al capopattuglia ed egli di ritorno:
"No, … lasciali
andare".
Deliberatamente disobbedii
agli ordini. Buttandomi in picchiata, sparai con le mitragliatrici sulla
formazione degli aerei da caccia.
Ne colpii uno e mentre
lo inseguivo per un breve tratto, un altro caccia venne sulla mia sinistra
e mi si mise in coda. Tentai di sganciarmi ed uscire dal suo campo di tiro
ma quell'individuo sapeva come volare e combattere.
Mi piombo’ nuovamente
addosso e di nuovo virai bruscamente. Questa volta manovrai cosi' brutalmente
che il sangue deflui' dalla mia testa e per alcuni interminabili secondi
rimasi totalmente cieco.
Riuscii alla fine
a sganciarlo e come me lo ritrovai davanti, si butto’ in picchiata, tirai
allora un looping per uscirne in cima.
Capii subito che non
era un pilota normale, un cacciatore normale. Doveva essere un pilota molto
abile. Improvvisamente capii: questo era l'uomo responsabile della morte
di Monico, Felix Urtubi !.
Persi la mia calma.
Improvvisamente mi sentii gelare in tutto il corpo. Prudentemente ridussi
la potenza e con un freddo calcolo evitai di passargli sotto quando usci'
dal looping, lo raggiunsi e mi incollai alla sua coda.
Feci partire una raffica.
Eravamo tanto vicini che potevo vedere le traccianti finire alcuni pollici
sotto l'ogiva della sua elica. Sapevo che oramai era una questione di pochi
secondi.
Quando vidi sprigionarsi
prima il fumo e subito dopo le fiamme dal serbatoio di riserva sopra l’ala,
pensai che avevo finalmente regolato i conti per Monico.
Credo che abbia potuto
vedere la scritta “MONICO PRESENTE” e deve aver compreso che ero determinato
ad abbatterlo ad ogni costo.
Improvvisamente, con
un abile cambiamento di tattica, mi sperono' violentemente con la sua ala
sinistra, danneggiandomi l’ala e bloccandomi l’alettone. Entrambi entrammo
immediatamente in vite. Il suo aereo precipitava avvolto dalle fiamme.
Non avevo rimorsi per Felix Urtubi ma con il pensiero lo salutai come un
coraggioso cacciatore, un grande pilota.
Ernesto Monico era
vendicato!
Improvvisamente mi
sentii pervaso da una grande calma e mi sembrava un miracolo. Una sensazione
che non ho mai piu’ provato. Portai la manetta al minimo, spinsi la cloche
ma notai che non si muoveva, anche quando l’afferrai con entrambe le mani.
L'aereo vibrava e mi sballottava sul seggiolino. Stavo girando in vite
sempre più stretta e veloce.
Non so neanch’io perche’,
ma detti tutta potenza, slacciai le bretelle, mi sporsi e mi gettai fuori
lateralmente. Era il mio primo lancio col paracadute.
Ebbi un senso di sollievo
quando il mio corpo volteggio' nello spazio e subito tirai la maniglia
che liberava l’estrattore del paracadute.
Veleggiando appeso
al paracadute in una leggera brezza, mi sentivo sereno e spossato. Sotto
di me l'aeroplano di Urtubi continuava a bruciare. Il mio si era schiantato
al suolo poco distante. Si era schiacciato come un cannocchiale, la coda
era entrata nella fusoliera.
Pensai: "Non potro’
aggiungere un’altra piuma sulla testa dell’indiano dipinto sulla fusoliera".
Mentre scendevo appeso
al paracadute mentalmente feci un rapido calcolo: avevo abbattuto cinque
aeroplani esattamente in due settimane.
L’impatto col terreno
fu piu’ brusco di quanto m’aspettassi. Ero convinto di essere finito dietro
le linee dei Repubblicani ma improvvisamente dovetti constatare che mi
trovavo proprio in mezzo di esse.
Mi liberai subito
del paracadute e mi rifugiai in una buca di granata mentre le pallottole
sibilavano attorno.
Quando gli spari cessarono,
tentai di trascinarmi carponi verso quelle che ero certo fossero le nostre
linee. Poco dopo ebbi un’amara sorpresa: ero circondato da militari repubblicani
che mi aspettavano in una buca più profonda. In quel momento mi
torno' alla mente il destino di Monico.
Fui catturato e costretto
a marciare fino ad una casetta dietro le linee dove fui perquisito anche
nelle scarpe. Fui sottoposto ad un primo interrogatorio da parte di un
generale dall'aria paterna che interruppe a metà le sue domande
per chiedermi se dovevo andare al bagno.
“Mercenario!”esclamo'
il generale repubblicano guardandomi sarcasticamente ”Pensavo che voi tutti
eravate morti con i conquistadores”,
risposi “Immagino
che sono qui per essere mandato davanti al plotone d'esecuzione domani
all'alba. Le sarei grato se telegrafasse a mio padre, qui c'è il
suo nome e l'indirizzo. Come ho detto, sono un americano e mi sono arruolato
nella legione straniera spagnola sotto il falso nome di Cesare Boccolari.
Non volevo che lui lo sapesse e si preoccupasse.
Poco dopo fui messo
sotto scorta rinforzata e caricato su un automezzo diretto a Madrid: nella
piu’ fortunata delle ipotesi sarei finito davanti al plotone d'esecuzione
il mattino successivo, ma il comportamento delle guardie che stavano sul
cellulare e di quelle che stavano sul predellino, mi preoccupava.
Ad alta voce ed in
modo provocatorio, discutevano sui dettagli delle torture che avevano inflitto
ai prigionieri nemici prima di sopprimerli.
Durante quelle due
ore di viaggio verso la capitale, il filo che mi legava i polsi mi penetrò
nella carne bloccando la circolazione del sangue, facendole diventare bluastre
le mani. Un soldato lo noto’, rise e sputo' sulle mie mani con disprezzo.
Cominciai a dire il
rosario, più volte. Un rosario immaginario. Il mio era stato confiscato
al momento della perquisizione assieme a cronometro, pullover, sciarpa,
800 pesetas e 200 franchi. Il giorno prima avevo ricevuto il salario mensile
equivalente a 200 dollari americani.
Avevo messo in conto
di cadere prigioniero ma, quando uno dei soldati che mi avevano catturato
mi tolse una piccola spilla, ricordo di mio fratello piu’ giovane, Carmine,
arruolato nella Marina degli Usa in Cina, vidi rosso. Considerando il momento
ed il luogo, cio’ potrebbe sembrare bizzarro.
A Madrid fui sistemato
in una buia cella dei sotterranei del Ministero dell'Aria e della Marina.
Avevo sudato ed ora, mentre attendevo l’alba, nella mia leggera tuta di
volo, il mio corpo era scosso dai brividi. Non accadde niente per ore finchè
una guardia mi porto' dell’acqua e fagioli. Più tardi altre due
guardie mi scortarono ai servizi igienici. Questa routine continuo' per
giorni.
Una notte improvvisamente
entrarono nella mia cella cinque individui che indossavano delle tute e
dei berretti rossi e neri sui quali c'erano le lettere FAI, Federazione
Anarchica Iberica, uno di questi mi tiro’ giu’ dalla brandina.
Mentre mi spingevano
lungo un corridoio fino ad una parte più illuminata dei sotterranei,
vicino ad una caldaia, stesero alcune carte su un tavolo, mi misero una
penna nella mano e mi ordinarono di firmare.
Chiesi di cosa si
trattasse e come risposta ricevetti un colpo in faccia con il calcio del
fucile. "Fai quello che ti abbiamo detto" strillarono. Mi rifiutai di firmare!
Mi fissarono per un
momento in silenzio quindi, uno che sembrava il loro capo, comincio' ad
interrogarmi sulle dimensioni della forza aerea di Franco, il numero di
tedeschi e di marocchini e se quest’ultimi erano stati trasportati dal
Marocco in aereo o per nave. Risposi semplicemente: “Non lo so”. Avrei
voluto raccontare loro un sacco di frottole, ma ero troppo intontito
da quel colpo con calcio di fucile ed i miei riflessi erano rallentati.Alla
fine, dopo avermi torto piu’ volte le braccia, puntate le pistole allo
stomaco e con queste colpitomi il capo, capitolai e firmai i documenti.
Ero troppo esausto
per sospettare che le carte riportavano una dichiarazione completamente
falsa nella quale si diceva che ero stato obbligato dalle autorita’ italiane
ad arruolarmi nella Legione Straniera di Franco. Questi documenti dovevano
essere consegnati a Ginevra quale prova contro il Governo italiano.
Solo chi ha trascorso
giorni e giorni in una buia cella, attendendo che accada qualcosa di diverso,
sia essa buona o cattiva, purchè accada, può comprendere
la disperazione e senso di impotenza che si prova.
"Quando tocchera’
a me? Quando mi fucileranno?"chiedevo alle guardie. Loro sghignazzavano.
"Vuoi andare alla «Corrida» chico?" “Alla «Corrida»?”
non capivo e loro facevano il gesto di sparare col fucile.
Dopo circa due settimane
inaspettatamente fui portato sotto scorta in un ufficio dei piani superiori.
Mi dissero che due scrittori americani, Jay Allen e Louis Fischer volevano
vedermi. Non avevo mai sentito i loro nomi. Pensai che questo fosse un
nuovo trucco per farmi parlare.
Appena entrai nell'ufficio
dove mi attendevano, notai che uno di loro (poi lo avrei identificato in
Allen) aveva carta e matita pronto a scrivere quello che avrei detto. Mi
preparai mentalmente per dare meno informazioni possibile.
Allen fu il primo
a farmi le domande.
“Lei e’ il primo
pilota americano catturato in azione. Si rende conto delle gravi conseguenze?”
Compresi allora che
forse loro avrebbero potuto aiutarmi. All'improvviso Allen affermò
che non c’era alcun motivo per cui dovessi rimanere in Spagna. Fischer
assenti' affermando che ero fortunato ad essere ancora vivo e dubitava
che lo sarei stato tra una decina di giorni. Mi rassicurarono che avrebbero
fatto tutto il possibile per risolvere al meglio quella brutta situazione.
Due giorni più
tardi all'alba mi tirarono fuori dalla cella, mi misero le manette e mi
caricarono su un cellulare.
“Siamo alla fine,”
pensai “e’ giunto il momento!” Ora tutto ciò che desideravo era
farla finita il più presto possibile.
Al “Conde Duque”,
le piu’ vecchie caserme di Madrid mi sistemarono in un sotterraneo. Dovetti
passare in un cortile, attraverso delle vecchie scuderie, prima di raggiungere
la mia cella sotterranea. Era freddo e tirava un gelido vento e ad un certo
punto vidi un gruppo di tremanti soldati, circa una cinquantina, che avevano
disertato dall'esercito di Franco. Notai tante donne ammassate supplicanti
che agitavano le mani. Erano le madri interrogate dai funzionari repubblicani
in merito alla posizione dei loro figli. Loro non lo sapevano, e l'opinione
generale era che si fossero aggregati alle truppe di Franco. Queste madri
erano tenute prigioniere tra la popolazione civile.
La guardia che mi
aveva condotto nella cella del “Conde Duque” era un uomo anziano dallo
sguardo gentile. Appena mi libero' dalle manette, le braccia mi tremarono.
"Hai paura?" mi chiese.
"No, e’ soltanto l’incertezza
del mio futuro. Mi farebbe un atto di carita’ cristiana se riuscisse a
sapere quando saro' fucilato"
"Non si curano di
atti cristiani da queste parti" rispose con tono duro
"ma, … paciencia !
Sei giovane e hai tempo per morire”
La cella era infestata
da ratti, scarafaggi, pulci e formiche. Di notte, mentre giacevo sulla
paglia, sentivo i ratti correre sul mio corpo. Mi abituai a loro ma dormivo
raramente.
Indossavo ancora la
mia leggera tuta di volo. In ottobre a Madrid fa freddo. La mia cella era
umida e un lenzuolo di cotone non mi teneva caldo.
Nello spesso muro
di pietre c'era in alto una piccola apertura con le sbarre dalla quale
passava una forte corrente d'aria. Spesso giacevo in una specie di trance
o stupore pensando di essere ancora nella casa di mio padre nel Bronx.
Avrei voluto liberarmi di questi sogni, probabilmente cominciavo ad impazzire.
Ogni settimana la
guardia mi portava una candela e sette fiammiferi. Potevo cosi’ vedere
gli avanzi di grasso che mangiavo e la scodella d'acqua che mi veniva consegnata
ogni giorno. Solo con la luce della candela potevo tenere lontani i ratti
dal mio cibo.
Avevo trovato una
piccola nicchia piana nella parete di pietra della cella, dove appoggiare
la candela. Un giorno essa cadde sul pavimento ma non con la velocità
che dovrebbe avere un oggetto di quelle dimensioni. Venne giù lentamente
come al rallentatore, ruotando su se' stessa come un velivolo senza controllo.
La piccola fiamma che si diffondeva lungo la cera sembrava un aereo in
fiamme.
Mi sentii mancare,
mi coprii gli occhi con le mani ed ebbi una visione. Vidi Urtubi precipitare
con l’aereo in fiamme più chiaramente di come lo vidi quel fatidico
mattino.
Sebbene inizialmente
non ne rendessi conto, tutta Madrid sembrava sapesse che ero rinchiuso
nel Conde Duque. Credo che l'unica cosa che mi evito’ di impazzire sia
stata la moltitudine di persone che venivano a vedermi. Praticamente non
ero mai solo durante il giorno. La porta della mia cella era in lamiera
d’acciaio. La gente mi scrutava dallo stretto corridoio che portava alla
mia cella. Mi sentivo come un animale allo zoo.
Alle donne non era
permesso vedermi ma le guardie, quando erano fuori servizio, portavano
le loro ragazze. Loro non si limitavano ad osservarmi, inveivano e mi sputavano
addosso. Una ragazza invece non lo fece ma esclamo': "Sei troppo bello
per morire".
Gli uomini mi lanciavano
degli insulti, mi maledivano, altri mi lanciavano pietre attraverso le
sbarre. Un giorno arrivo' in caserma un reparto di seimila militari e le
guardie stentarono a tenerli lontani dalla mia cella.
Una settantina di
loro riuscirono ad entrare con la forza gridando insulti osceni nei miei
riguardi. Mi e’ rimasta impressa una voce piu’ acuta che sovrastava le
altre e gridava in inglese:
"Che la malasorte
ti accompagni, ragazzo".
Questi fanatici Repubblicani
erano cosi' pazzi che contribuirono ad evitare che io impazzissi.
Le due guardie del
turno di notte erano molto gentili con me. Qualche volta andavano a comprare
a loro spese pane, uva e caffè e me li offrivano quando eravamo
soli. Dovevano stare molto attenti che nessuno li vedesse.
Una notte udii in
distanza delle voci maschili che cantavano l’inno fascista.
”Sono circa trecento
e vanno a morire”
disse la guardia.
Un'altra notte udii
delle donne urlare.
”Per amor del cielo”
chiamai la guardia “cosa succede la fuori?”
“Hanno preso le prostitute
che Franco ha mandato per diffondere le malattie veneree nei ranghi dei
Repubblicani”mi disse la guardia che in passato mi aveva detto di avere
pazienza.
“Le ragazze che Franco
mando’ a diffondere le malattie veneree tra i ranghi dei Repubblicani?.
Veramente tu credi a questa propaganda?” esclamai.
”Quien sabe? (chi
lo sa?). Non so se credere ai miei occhi, ma questa è la guerra.
Oggi in strada ho visto un combattimento tra il P.O.U.M. (Partido Obrero
Union Marxista) ed il F.A.I. (Federacion Anarquista Iberica). Domani il
Partito Socialista combatterà tutte e due e noi ci chiamiamo lealisti
(republicani), uniti insieme per una causa comune. Non si sa a cosa credere
oggi, l’unica cosa sicura e’ la propria pancia che dice quando e’ vuota.
Soltanto lei dice la verita’ “ mi rispose la guardia.
Mentre parlava le
grida delle donne aumentavano. Acute e più alte e sovrastanti i
rumori dei motori che provenivano dalla strada. Facevano rabbrividire.
Non avevo mai sentito simili urla strazianti.
"Dove le stanno portando?"
chiesi.
"Alla Corrida", disse
la guardia passandomi una sigaretta.
Un sorriso strano
apparve sulle sue labbra come se facesse fatica a controllarsi. Si allontano'
dalla
porta della mia cella. Le grida cessarono improvvisamente. Non riuscivo
a togliermi dalle orecchie le grida di quelle sventurate.
Una mattina una guardia
irruppe nella mia cella:
"Stai per uscire",
disse.
Avevo difficoltà
a sentire la sua voce, ma poco dopo ero davanti ad un generale spagnolo
e, con mia grande sorpresa, a due membri dell'ambasciata americana.
Al mio fianco c’era
il Facente Funzioni dell’Ambasciatore Wendelin ed il Consulente Generale
Johnson.
"Siedi diritto, sei
in una situazione molto critica, ma forse potremo tirarti fuori"
sussurro' Mr Wendelin.
Al ritorno nella mia
cella avevo il dubbio di avere sognato e mi sembrava impossibile che si
stesse facendo qualcosa per liberarmi. Solo i resti del cibo che Mr Wendly
mi aveva portato, una bottiglia vuota di latte ed alcuni torsoli di mele
provavano che non sognavo.
Da quel giorno non
dovetti più mangiare i rifiuti della prigione. Ogni pomeriggio veniva
qualcuno dell'Ambasciata con un canestro di zuppa calda, pane e frutta.
Fui anche trasferito dalla cella sotterranea ad uno dei garage nel cortile.
Mi fu permesso di fare della ginnastica. Una volta giocai perfino a palla
con la guardia.
E, incredibile, mi
fu dato un pezzo di sapone: potei fare il bagno nell'abbeveratoio dei cavalli
della prigione e lavare finalmente la mia tuta di volo sporca, indossata
per tutte quelle interminabili settimane.
Cominciavo a perdere
la speranza di essere rilasciato, tuttavia nelle mie preghiere imploravo
la fine di questa prigionia. Quando finalmente era arrivato un aiuto, forse
era già’ tardi. Presto una notte anch’io sarei stato portato alla
“Corrida” per essere giustiziato. Stupidamente mi stavo facendo del male
da solo.
Un tardo pomeriggio
due Franchisti (Nazionalisti), un portaordini del Marocco ed un artigliere
italiano, furono rinchiusi nel garage con me. Il primo era quasi morto.
Sussurro' che gli avevano messo una corda attorno al collo ed era stato
trascinato per le strade di Toledo. Non si capiva come fosse ancora vivo.
La folla lo aveva lapidato e un esagitato gli ha gridato: "Hai ucciso mio
cugino" e poi colpito alla la testa con la baionettta.
Il prigioniero italiano,
un ragazzo sotto i 19 anni, era isterico, terrorizzato. Quando i soldati
che lo portarono in cella si voltarono per andare via, egli si piego’ sulle
ginocchia piangendo e baciando loro le mani.
Osservavo ed ero disgustato
dalla scena. Quando la guardia non ci poteva sentire, mi avvicinai a lui:
"Tenta ancora una
volta quella specie di baciamano e se i Repubblicani non ti sistemano,
ci penso io. Puoi esserne certo che lo faro’!"
gli dissi.
Mi guardava attraverso
le lacrime come un bambino. Ho pensato che non fosse fatto per la guerra.
"Sarai interrogato”
continuai “e ricorda una sola cosa, non dichiarare mai la verità.
Tira fuori i muscoli, fai vedere che hai del fegato. Esagera o diminuisci
i fatti, intimoriscili, falli preoccupare. E' l'unico modo per aiutare
i compagni di prigionia"
Quella stessa notte
fu portato al Ministero per un interrogatorio. Immagino che sia crollato
perche’ racconto’ tutto quello che gli avevo detto, parola per parola.
Fui rispedito nuovamente nella cella situata nei sotterranei del carcere.
Quando all’indomani,
William Krieger, terzo segretario dell'Ambasciata Americana, venne da me
con il cibo, mi fisso’ a lungo:
"Hai una predisposizione
per ficcarti nei guai. Come sei riuscito a rimanere vivo per 23 anni?",
mi disse.
Krieger mi aveva portato
dei canditi e quella notte, quando un tenente venne nella mia cella, gliene
offrii alcuni.
"Molto buoni" disse
ma i suoi pensieri sembravano molto distanti.
"E' un candito americano",
risposi. Prese un altro:
"A proposito, stasera
verranno a prenderti per portarti via"
Non ebbi il tempo
di rispondere, se n'era già andato. Provai di nuovo un senso di
sollievo.
Ero dispiaciuto per
il personale dell'Ambasciata che avevo stupidamente messo nei guai con
i consigli al prigioniero italiano. Jay Allen e Louis Fischer si erano
adoperati per me ed io gli avevo procurato delle noie per niente.
A mezzanotte salutai
le due guardie che erano state sempre premurose e mi avevano trattato bene.
Una guardia dall'aspetto molto fiero venne verso di me, non l'avevo mai
vista prima. Mi porto' in un ufficio della caserma, la canna del suo fucile
premeva tra le mie scapole.
All'interno aspettammo
due colonnelli Repubblicani. Uscimmo subito nel cortile. Un capo delle
guardie mi saluto' e mi sussurro': "Ti auguro buona fortuna".
C’era qualcosa che
non riuscivo a ricordare, poi improvvisamente mi rammentai:
"Ci sono due coperte
nella mia cella, appartengono a Bill Kriger dell'Ambasciata Americana".
Uno dei colonnelli
ordinò di andare a prenderle. Poi mi spinsero sul sedile posteriore
di una limousine che stava aspettando. Sentivo i battiti del mio cuore,
ma la mente era lucida. Cio’ nonostante non riuscivo a pregare, continuavo
a ripetere a me stesso:
“Ricordati che questi
sono i tuoi ultimi momenti, in questo luogo che non dimenticherai per tutta
la vita”. Improvvisamente quella parola "ricordati" sembrava divertente,
era tutto finito!.
Eravamo partiti da
poco quando l'autista si volto’ verso il colonnello:
"Dove andiamo?"
Il colonnello, seduto
alla mia destra rise, mi guardo' negli occhi e rispose:
"All'Ambasciata Americana"
Il mio viso dev'essere
sbiancato o arrossito, non lo so neanch’io.
L’altro colonnello
alla mia sinistra aggiunse:
"Noi rispettiamo il
Governo Americano perchè rispetta il trattato di non intervento”
“Dove pensa che la
stavamo portando?", chiese il colonnello alla mia sinistra.
"Alla Corrida", risposi
spontaneamente.
Se sono un mercenario,
come disse il generale repubblicano, allora non sembra proprio sia stato
un grande affare! Il governo degli Stati Uniti non riconosce quei “bizzarri”
piloti che vanno a combattere per altri Paesi.
E cosi’, sebbene abbia
quattro anni di addestramento in due delle migliori scuole militari italiane,
su un aereo da caccia fra i piu’ moderni ed un’esperienza unica nella disciplina
di due guerre in un anno, nel mio Paese non ho diritto neanche una semplice
licenza per il volo turistico.
Secondo la regolamentazione
in vigore negli Stati Uniti, dovrei frequentare nuovamente una scuola di
volo e ricominciare d’accapo tutto il corso di pilotaggio.
Mi e’ “concesso” invece
trovare lavoro come autista d'auto o di camion, come marinaio su uno yacht,
come verniciatore a 70 cents l'ora, ma guadagnare da vivere col lavoro
che meglio conosco, cioè il volo, quello proprio no!
“Sono stato messo
a terra”, come si dice nel gergo aviatorio. Le parole più tragiche
per un uomo che vive solo per volare!