Associazione Culturale 4°Stormo Gorizia
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Ettore Erasmo di Valvasone

Il 6 Aprile 1940 presentai domanda per il corso di all’allievo sottufficiale pilota ma il fatto che non avessi concluso gli studi non andava bene a mia madre: voleva che facessi l’Ufficiale. Pur essendo entrato tra i primi otto, ed avendo quindi iniziato il corso conseguii la Maturità Classica dando gli esami da privatista, era il periodo intorno al 10 Giugno 1940, il giorno dell’entrata in guerra dell’Italia. Immediatamente dopo feci domanda per l’Accademia. Rimasi alla scuola sottufficiali fino al momento di entrare in Accademia, a Caserta, alla fine di ottobre del 1940. Ne uscii dopo tre anni, nel giugno del 1943, e fui mandato alla Scuola Caccia di Gorizia, aeroporto di Merna, per un addestramento specifico prima del trasferimento ai Reparti operativi e poi essere impiegato in operazioni belliche. Alloggiavo a Salcano,
paesino vicino a Gorizia sul fiume Isonzo ed  i pasti li consumavo all’albergo Posta. Doppio comando con il maresciallo Nicola sul CR30, passaggio sul CR32 ed inizio di preparazione con acrobazie di coppia. La vita era bella, la speranza era superiore a tutte le difficoltà, e le “mule” ci guardavano con occhi velati d’amore. La caduta del fascismo del 25 luglio fu un primo colpo alle mie patriottiche illusioni, ma tutto continuò nel migliore dei modi e volando, con la speranza di passare presto sul G.50 e Macchi 200 per addestrarmi con l’allora cap. Pezzè ed altri istruttori, ed essere al più presto pronto per servire il mio Paese. L’otto settembre 1943 mi trovavo all’aeroporto di Gorizia nell’hangar di mezzo, insieme con il mar.llo Nicola mio istruttore di volo su CR32, quando appresi la notizia dell’armistizio. Mi recai allora al primo hangar verso la strada di Merna, strada che costeggia l’aeroporto nella parte nord. Nell’hangar c’era un tenente anziano, o un capitano, che strappava un paracadute: a momenti facevamo a botte. Per me il paracadute era un simbolo (il paracadute salva la vita), a lui serviva solo per fare camicette o mutande per la moglie. La sera dell’8 mentre con il torpedone ritornavamo a Salcano molti cittadini specie ragazzi goriziani cominciarono a fischiare ed a sfottere. Il torpedone si fermò, scesi ma tutto finì lì. L'8 settembre 1943 è la data della delusione, del termine dei sogni e nel mio io rimase solo la voglia di volare. L’allora t.col. Botto Ernesto detto Gamba di ferro, medaglia d’oro vivente, comandava la linea di volo e quindi noi allievi del corsoVulcano. Il giorno 9 settembre ci radunò e disse: “chi ha parenti o amici vicini può andare via”. Poi Botto, divenne Sottosegretario all’Aeronautica nella Repubblica di Salò. Graziani era Sottosegretario per l’esercito ed un ammiraglio di cui non ricordo il nome per la Marina.
Botto era medaglia d’oro, ed era detto «gamba di ferro» in quanto gli mancava una gamba persa durante un combattimento in volo nella guerra di Spagna. Botto disse – come ho ricordato -  che chi aveva parenti o amici vicino a Gorizia poteva andare da loro. Io volevo recarmi a Valvasone ma mi dissero che al ponte della Delizia sul Tagliamento c’erano i tedeschi e sul Tagliamento fermavano tutti i giovani. Allora mi fermai a Saciletto nei pressi di Cervignano dal sergente Cesare Dibert, mio compagno del corso Allievi Sottufficiali  piloti che aveva due molini uno a Cervignano, che funzionava con l’elettricità e l’altro a Saciletto con la ruota ad acqua.
Imparai a fare il mugnaio. Usavo la tuta di volo bianca, quella estiva. Rimasi a Cervignano per due mesi fino a novembre. Sospettavo che all’aeroporto di Gorizia non fosse rimasto quasi nessuno e ne ebbi conferma quando un giorno provai a rientrare all’aeroporto e lo trovai deserto. A Cervignano viveva il maggiore De Agostinis ed ascoltando lui seguii tutte le vicissitudini per la nomina di Botto a capo dell’Aeronautica della Repubblica Sociale Italiana. Botto era a Padova, alla Fiera Campionaria. Io insieme a Fiumicelli e ad un ufficiale superiore, un maggiore soprannominato «il Biondo» [nota: nel raccontarmi di questo ufficiale mio padre omise volontariamente il nome dicendo che era una persona che aveva fatto carriera dopo la guerra non ammettendo mai di essersi unito dai repubblichini ; la mia insistenza fu tale per cui alla fine mi disse il nome] andammo a Padova, avendo saputo del proclama che la Repubblica di Salò aveva emesso per far rientrare i piloti.
A novembre del 1943 presi il treno a Cervignano e mi presentai alla Zona Territoriale di Padova e fui reimpiegato. Assegnato all’ufficio del t.col. Beneforti trovai con me il compagno di corso Erminio Grandinetti [nota: con Grandinetti mio padre farà la “ripresa voli” all’aeroporto di Gioia del Colle nel 1950/51]. Ci dettero la mensilità di settembre e 7.000 lire di perdita bagagli. Con questi soldi potevamo andare al ristorante e così ci recammo al ristorante Stoppato:, dove mangiai Faraona arrosto con i carciofini. In questo ristorante tornai in viaggio di nozze e Anna [nota: mia madre] imparò lì a fare i carciofi, del tipo alla romana con aglio e prezzemolo. Da Stoppato andammo in quattro. C’era anche il tenente Alvaro Querci di Lucca che poi ai primi di agosto del 1944 passò le linee per andare a trovare la fidanzata a Lucca. Fu preso e portato in un campo di concentramento a Coltano vicino Pisa. Questo era un campo gestito da partigiani o badogliani dove venivano internati i fascisti. In realtà fu beffato, in quanto invece di essere considerato un eroe per avere passato le linee fu considerato fascista come quelli della «Decima» e gli altri che subiranno la sorte degli sconfitti.
A proposito della X MAS, in località Garfagnana al passo dei Carpineti combattevano contro gli americani la  Divisione «Monterosa» e la «Decima ». Ci fu un episodio: questi “ragazzi” andavano a svaligiare i magazzini degli americani (sigarette e cioccolato). In queste loro scorribande si erano accorti che gli americani avevano steso un filo collegato a una mitragliatrice che sarebbe scattato se qualcuno ci inciampava. Di queste trappole ve n’erano più d’una. Una sera girarono la
direzione di mira delle mitragliatrici contro gli americani. Gli italiani dettero un calcio al filo che collegava le mitragliatrici che incominciarono a sparare, a quel punto gli americani scapparono credendo fosse in atto un attacco in grande stile. Arrivarono oltre Lucca e ho saputo che fu istituito un processo contro questi soldati americani che erano fuggiti. Erano dell’Ottava Armata. Botto tenne un discorso il 17 novembre 1943 alla Fiera Campionaria a Padova di questo tono: «l’Aeronautica è l’Aeronautica, quindi, noi ci presentiamo qui e speriamo che quelli andati a sud ci perdonino, noi perdoneremo loro». Questa è l’amicizia fra aviatori. Tant’è che quando ero alla 2^ ZAT (Zona Area Territoriale) a Padova, noi salutavamo ancora con la mano alla visiera e l’esercito già salutava alla romana, e ci furono delle discussioni con quelli dell’esercito, al teatro vicino al Pedrocchi. Infatti Graziani e l’Ammiraglio avevano cambiato il saluto senza dirlo a Botto.
A Padova ero assieme ad Erminio Grandinetti: ci avevano sistemati all’ufficio personale della segreteria della 2^ Zona Aerea con il t.col. Beneforti, che all’8 settembre comandava un Gruppo caccia del 1° Stormo. Questo gruppo di stanza a Ronchi dei Legionari era equipaggiato con i Macchi 200 ma avrebbe dovuto ricevere i Macchi 202 che non arrivarono mai. Il Colonnello Beneforti era una ottima persona, poi venni a sapere che era di Pistoia. Poi fui trasferito alla segreteria del col. Vossilla, che era il Comandante della 2^ Zona Aerea; assieme a lui c’era anche il magg. Bertoni. Alla ricezione di quelli che si presentavano c’era il serg.m. Castellani, che poi morì al 1° Stormo con il gruppo di Visconti, e un certo magg. Musolino.
Di Lollo, mio compagno di corso e con me a Gorizia in un primo tempo, fu il primo italiano a pilotare un Messerchmit 262, a reazione. Volava nel gruppo di Visconti. All’Ufficio Personale Ufficiali c’era il magg. Baruffi al quale domandai di tornare a Gorizia. Mi disse di no. Un giorno ad Erminio Grandinetti fu proposto di andare con un aereo Saiman 202 presso un comando tedesco a Tricesimo.
Dopo alcuni mesi venne offerto anche ad un mio subalterno di volare con un Saiman presso l’aeroporto di Povoleto in collegamento con il comando tedesco che si trovava a Tricesimo  per l’eventuale trasporto del personale. Lui doveva studiare, allora gli dissi di dire che sarei andato io perché così potevo rivolare.
 Fui trasferito nel febbraio del 1944 a Tricesimo al Flugzeug Fhurer Comander [?sic!], quello che oggi chiamano «guida caccia». L’attività del Comander era la presa di segnalazione della partenza degli aerei americani da Foggia che andavano in Austria, Germania ed Italia a bombardare. Una volta intercettati i bombardieri veniva avvisata la «Caccia» che interveniva dove era segnalato che stavano arrivando le fortezze volanti. I caccia tedeschi e italiani si alzavano in volo a difendere il suolo italiano. Il comandante di questo gruppo tedesco era il col. Von Maltzan. [sic!]. Atterrai a Povoleto, feci poi un giretto con l’aereo, ma i tedeschi usavano dare motore al contrario di noi. Noi si tirava la manetta, loro la spingevano. Feci una puntata su un gruppo di tedeschi ed italiani e sbagliai dando manetta con il Saiman e passando sopra le loro teste; avevo rischiato di ucciderli e di schiantarmi al suolo. Loro invece mi applaudirono pensando che avessi fatto chi sa quale impresa.
Nel marzo del 1944 morì mio patrigno Attilio Bencaster per un attacco di cuore. Chiesi a Von Maltzan un aereo, e mi fu dato un Saiman. Pensavo di atterrare a Sarzana, ma era stata bombardata. Allora atterrai a Parma e di lì in treno arrivai a casa a La Spezia da mia madre.
Successivamente il Comando Flugzeug [?] fu trasferito vicino Bologna a villa Marconi (Sasso Marconi) e portai il Saiman all’aeroporto di Bologna. Il Comandante Von Maltzan mi propose di entrare come tenente nella Lutwaffe, io ero sottotenente, ma gli feci vedere il distintivo di orfano di guerra e dissi: «Comandante, vede, mio padre è morto per avere combattuto contro di voi ed io non posso tradire la sua memoria. Mio nonno Nicolò aveva combattuto nella I GM dal 1916 al 1918, ed era stato congedato nel luglio 1919 col grado di Tenente. A causa delle ferite e in particolare del freddo e malattie che aveva preso sia sul Pasubio nel 1916/17 che attraversando il Piave a nuoto come ufficiale del servizio informazioni dell’VIII armata nel 1918, morì nel 1926 ad appena 39 anni; per questo gli era stata riconosciuta la causa di guerra. Anzi lei che può mi faccia trasferire a Gorizia».
Andai a finire al Gruppo Trasporto Velivoli “De Camillis” di Gorizia. Gruppo trasporto velivoli di varia qualità, dall’FL3 al Macchi 200, dall’Italia in Germania. Era all’incirca tra marzo e aprile del 1944. Mi presento all’aeroporto e dico: «sono Valvasone»; mi dice un caporale maggiore tedesco: «non c’è» (intendeva
nell’elenco). In quel momento era presente Pontevivo, un altro del Vulcano, che disse: «Graf» (Conte), e il caporale «Ja,Ja»; nell’elenco c’era scritto «Graf Von Valvasone».
A Gorizia ritrovai oltre a Pontevivo anche Peppuccio Gennaro, Marangoni, Minotti che era di Gorizia, Di Lollo, e tanti altri del corso Vulcano. Il giorno dopo mi dettero un  foglio di viaggio con l’ordine di andare a portare un FL3 a Muenkendorf, che è un paesetto in Austria dove all’epoca si trovava una scuola di volo. L’FL3 era la balilla d’Italia, con un litro faceva dieci chilometri. Aveva un motore leggerissimo. Un giorno Non riuscivo a farlo decollare controvento, allora lo presi per il ruotino di coda e lo trascinai mettendolo verso la direzione del vento, così decollai col vento in coda.
Da Gorizia la maggior parte dei voli era in direzione di Graz e dei laghetti di Klagenfurt, verso Vienna, in Austria. Spesso portavamo aerei a Graz dove c’era la «scuola allievi» tedeschi. Poi tornavamo con uno Junker 52 che ci raccoglieva tutti riportandoci a Gorizia. Graz, luogo frequente di arrivo del trasporto degli aerei, aveva più piste sia per la scuola di volo con FL3 che con gli Arado ed una pista per la scuola di volo a vela con alianti.
Nella seconda metà di luglio ci affidarono il compito di trasferire da Gorizia quattro Saiman a Baltringen, verso Magonza in Germania, via Innsbruck, ad un’altra scuola di volo. Le cattive condizioni del tempo ci costrinsero a deviare per Bolzano ove restammo fermi per circa 20 giorni in attesa di miglioramento delle condizioni climatiche. Il 9 Agosto ottenemmo il permesso di decollare. Con me c’erano il s.ten. Zucconi ed i marescialli Zorn e Montanari. Poco dopo aver superato il Brennero, all’altezza dei laghi di Schongau, fummo improvvisamente attaccati sul fianco destro da una pattuglia di quattro aerei Mustang americani. Virai istintivamente a sinistra cercando di infilarmi nelle valli strette delle Alpi [nota: a mia madre aveva detto che s’era infilato in una gola dove volando parallelo al terreno avrebbe rischiato di toccare con le ali la montagna, ma che quello era l’unico modo per salvarsi]. Gli aerei inglesi ed americani non potevano certamente volare così bassi ed in spazi così angusti. Vidi il m.llo Zorn tentare un atterraggio di fortuna virando e tornando verso la direzione da cui eravamo venuti. Fu raggiunto dai caccia nemici quando oramai era a terra e ripetutamente colpito sino a quando l’apparecchio non prese fuoco. Ci salvammo in tre raggiungendo Baltringen e rientrammo in sede il 13 agosto. I Saiman in Italia venivano usati per il volo strumentale. Li avevo usati durante i corsi in Accademia, a Capua. C’erano due strumenti che servivano per valutare se uno «andava via liscio». In maggioranza portavamo Saiman ed FL3 utili alle scuole di volo. I CR32, che a volte portai anche all’aeroporto di Graz, venivano usati come aereo civetta oppure demoliti per recuperare il ferro, strumenti e quant’altro di utile. A proposito dei CR32, il 28 maggio partimmo da Gorizia diretti a Muenkendorf in tre: io, il s.ten. Pitocchi, che era del corso Vulcano, ed il serg.m. Buccero. Pitocchi, che era l’unico ad avere la bussola, si infilò dentro le nuvole. Sentii un aereo che mi passava sulla testa. Era Buccero che tornava indietro in direzione di Gorizia. Probabilmente si perse e forse finì in mare o in qualche palude. Fu dato per disperso e non si seppe mai che fine aveva fatto. Io proseguii e facendo dei gestacci a Pitocchi lo oltrepassai e me ne andai per i fatti miei. Arrivai a Graz prima di lui, senza bussola.
Un giorno, con un CR32, ero diretto verso un altro aeroporto dell’Austria. Un sottotenente di complemento disse: «facciamo la coppia»; ma mi passava sopra e sotto continuamente. Diedi manetta e scappai perché capii subito che la coppia non l’aveva mai fatta. Infatti, come si dice, non reggeva la coppia, ovvero stare in volo affiancati. Dava continuamente «piede» per cercare di avvicinarsi. Meglio togliersi prima che mi finisse addosso. Facemmo molti viaggi fino all’Agosto del 1944. C’era un aeroporto vicino a Vienna nel cui sottosuolo, ad una profondità di dieci metri, avevano costruito una fabbrica di benzina sintetica. Gli alleati a « suon di bombe » raggiunsero la fabbrica distruggendola.
I tedeschi avevano promesso i Me 109, invece non fecero altro che cercare di portare i piloti italiani in Germania alla Lutwaffe. Io non accettai. Infatti era successo un «casino» nell’agosto del 1944: i tedeschi volevano mettere i piloti italiani con la divisa tedesca, ovvero istituire una legione italiana all’interno della Luftwaffe. Pochi lo volevano e sciolsero molti Gruppi. A causa delle tensioni con i tedeschi per due mesi fu bloccata quasi ogni attività dell’aviazione repubblicana. Il reparto G. T.V. era stato reso inoperativo il 15 agosto  e trasferito a Lonate Pozzolo. Nel settembre fu sciolto e ai piloti fu data libertà di congedarsi o passare ad altri reparti.
Lasciata a settembre Gorizia, andai ad Udine alla Caserma Erasmo di Valvasone. Dopo qualche tempo passò Marangoni e mi disse che mi cercavano, mi avevano dato per disperso.
Andai a Bergamo all’ufficio personale dove incontrai Fiumicelli. Mi mandarono al Gruppo Azzurro a Trezzo d’Adda dove c’era il deposito macchine della 1^  Legione Aerea, Zona di Milano. Il mio fratellastro Sergio Bencaster mi venne a trovare a Trezzo d’Adda. Era entrato nella Milizia Ferroviaria, aveva 15 anni e portava un pistolone per cui gli dissi: «il carro armato dove l’hai lasciato?». Sergio era grande e grosso e veniva continuamente bloccato dai tedeschi che lo volevano portare a lavorare nella Todt credendo fosse un renitente alla leva. Lui invece voleva andare alla Decima MAS, ma io scrissi a mia madre che era meglio entrasse nella Milizia Ferroviaria. Un giorno a Trezzo diedi un permesso ad un aviere che voleva andare a Palazzuolo vicino Brescia. Era un sabato ed io gli dissi che doveva essere presente in tutti i modi all’appello di lunedì mattina. Partì sui pattini a rotelle ed il lunedì mattina era rientrato in caserma. Poco tempo dopo, quando Mario Anzichi (altro del Vulcano)  mi chiese di andare con lui a Mantova, (Mario Anzichi assieme al s.ten. Porro mi avevano invitato a lasciare il servizio. In seguito alla morte del s.ten. Porro per un incidente di macchina Mario aveva insistito perchè lasciassi il servizio), dissi a Fiumicelli che me ne volevo andare, perché di fare il «fante» nel battaglione azzurro a me non andava. Mi diede una licenza illimitata senza assegni.
Con Mario Anzichi, Luciano Semeraro e Franco Dalè andai quindi a Mantova tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio 1945; poi arrivò anche Antonio Berillo, un altro del Vulcano. Mario aveva un foglio, un permesso dei tedeschi, che dava la possibilità di comprare automezzi e rivenderli a loro. Avevamo preso in affitto un garage grande alla Molina dove sistemavamo macchine e camion da rivendere.
Una volta un tedesco ci vendette un Taurus verniciato con pittura mimetica per cinquecentomila lire. Noi lo portammo in garage alla Molina, lo pitturammo d’azzurro, unica vernice che avevamo, ed il giorno dopo lo rivendemmo ai tedeschi per un milione e mezzo.
Un giorno, mentre con Mario tornavamo da Bergamo su una “1100”, fummo attaccati da due aerei americani Thunderbolt. Stavamo viaggiando tranquilli e poco prima avevamo chiesto a due operai, due «stradini», se avevano sentito o visto aerei, ottenendo un cenno negativo. Solo dopo scoprimmo che erano due sordomuti.
Ad un certo punto dissi a Mario di rallentare, anzi di fermarsi. Avevo l’impressione che la ruota posteriore destra fosse bucata. Appena in tempo. Mario rallentò ed inserì la “terza”, ed in quel mentre ducento colpi di mitraglia si stamparono sul cofano anteriore della macchina. Mario sterzò bruscamente e finimmo in un fosso. La prima passata dei caccia americani aveva bucato il pneumatico posteriore e non ce ne eravamo accorti. La seconda invece arrivò talmente vicino che un
pallottola bucò il sedile dove ero seduto, mi passò in mezzo alle gambe. Inoltre nel fosso era stato accumulato il letame fresco, come usava un tempo, in attesa di spargerlo nei campi. Mario, nell’uscire dall’auto passando dalla parte dove sedevo io, era finito in quel letamaio. Ci nascondemmo sotto un piccolo albero poco distante ma per fortuna gli aerei si erano già allontanati.
Lasciata Mantova con Mario andammo a Bergamo e cercammo di trafficare con merce varia. Una mattina sentimmo degli spari e meravigliati ci dissero che erano scesi in città i partigiani, era il 25 Aprile 1945.
Nell’ottobre del 1945 ero a Vicenza da Armando Marangoni che mi disse : «come! non ti sei ancora ripresentato?». Era uscito un bando per la raccolta di quelli che erano stati nella Repubblica Sociale. Mi presentai a Vicenza. C’era un capitano che mi disse: «peccato voi del Vulcano, così giovani»; intendeva dire che non ci
avrebbero accettato nell’Aeronautica per il nostro passato nella RSI. Allora dissi che lo avevo visto quando nel 1943 si era presentato alla ZAT di Padova, quindi della  Repubblica di Salò, per i soldi. Mi disse: «si, ma poi mi sono dato ammalato»; ed io: «anch’io mi sarei dato ammalato, se avessi potuto, e comunque ti ho visto in via Dante alla mensa». Mi diede cinque giorni di arresti con una scusa.
Dopo una settimana tornai a casa a La Spezia. Mi avevano epurato. Mi avevano fatto delle domande del tipo «perché hai aderito alla Repubblica di Salò?» ed io scrissi «perché avevo lì i miei superiori», e «hai avuto contatti con i partigiani?» ed io «si, dopo la liberazione».
A casa mia madre mi presentò Lamberto Colapietro. Mentre ero in Accademia mi ero iscritto a Legge a Pisa. «Così studiate assieme» disse mia madre. La nonna di Lamberto aveva un bar in via del Torretto a La Spezia. Lo zio di Lamberto trasportava i giornali da Genova fino a Pisa con un camioncino e qualche volta lo accompagnavo. Un giorno ad una curva sulla Foce, vicino a Spezia, trovammo del ghiaino sull’asfalto e uscimmo di strada finendo in un burrone .Anche quella volta mi andò bene.
Un giorno con Lamberto dovevamo andare  a Pisa per pagare le tasse universitarie. Ma non lo facemmo e, tornati indietro, comprammo un camion per il trasporto di benzina. Io avevo trecentomila lire, un milione e seicentomila me li prestò mia nonna Elvira, duecentomila lire era quel che aveva Lamberto. Il camion lo pagammo in tutto tre milioni e mezzo, quel che mancava l’avremmo pagato col lavoro. Io mi occupavo del lato «commerciale» dell’impresa, Lamberto ed un altro facevano gli autisti. La mattina andavo da « Peola » sotto i portici, verso le 10 e mezzo o 11. Arrivavano i clienti, offrivo un caffè od un aperitivo, se chiedevano una certa quantità di carburante, ad esempio 50 quintali di olio combustibile, andavamo alla “Shell”, caricavamo l’olio combustibile pagandolo subito, e lo portavamo al cliente. Comprammo un camion tipo «66» con quattro milioni e mezzo per trasportare catrame. Per Lamberto questo finì per essere il suo lavoro, e così lo è stato per i suoi figli. Divenne uno degli uomini più ricchi di La Spezia.
Io rientrai in Aeronautica, dopo cinque anni, perché pur di rientrare e volare avrei fatto i salti mortali. Infatti mi richiamarono, nell’ottobre del 1949, dandomi 60 giorni di fortezza per essere stato nella Repubblica Sociale. La pena fu trasformata in dieci giorni di arresti poi condonati anche questi. Fui mandato a Firenze.
La sera del 10 dicembre 1950, alla festa per la Madonna di Loreto, protettrice degli aviatori, alla Scuola di Guerra Aerea di Firenze, conobbi Anna, mia moglie. Nel marzo del 1951 ci sposammo e, dopo il viaggio di nozze, ci trasferimmo a Gioia del Colle dove continuai la «ripresa voli» su aerei americani, gli Stinson.
Nell'agosto del 1974 sono stato messo a riposo, nella riserva, con il grado di Colonnello. Pochi giorni prima avevo effettuato le ultime ore di volo in seno all’Aeronautica Militare Italiana. Solo successivamente a me e ad altri colleghi del Vulcano hanno riconosciuto il grado di Generale. Sempre a titolo onorifico ho poi ricevuto il grado di Generale di Divisione Aerea.